Accoltellata a morte dal marito. Il barbaro femminicidio di Sonia Lattari, 43enne, assassinata dal marito, Giuseppe Servidio a Fagnano Castello, nel Cosentino, riapre il dibattito sulla condizione delle donne in Calabria. Discriminate, ghettizzate, con minori opportunità di accesso al mondo del lavoro e alle istituzioni. E, spesso, vittime di violenze o uccise.
I numeri su omicidi e violenze
In un anno, in Italia, sono state uccise 105 donne. È il 38% degli omicidi volontari. Il dato emerge dall’annuale dossier del ministro dell’Interno. Il periodo di riferimento del dossier è quello che va da agosto 2020 a luglio 2021.
Sonia Lattari è la quarta donna uccisa in Calabria dall’inizio dell’anno per mano di partner o ex compagni. Spesso il delitto si consuma al termine di un periodo, più o meno lungo, di violenze fisiche e psicologiche. Se, infatti, il numero di vittime in Calabria non registra picchi particolarmente significativi rispetto alla media nazionale, ciò che preoccupa sono i cosiddetti “reati spia”. Quelli, cioè, che possono preludere a un epilogo ancor più drammatico. «In questo momento in Procura abbiamo un numero elevatissimo di denunce per reati di violenza di genere ed è un trend che è in crescita». Ad affermarlo il procuratore capo di Cosenza, Mario Spagnuolo.
Ma non sempre si denuncia. La stessa Sonia Lattari, nel passato, aveva subito percosse dall’uomo. Ma non aveva denunciato. «Troppe volte ematomi e ferite vengono giustificati in termini non credibili, quando arriva la polizia sul luogo delle violenze. E allora invitiamo a denunciare, perché abbiamo tutta una struttura di supporto per affrontare i drammi di queste persone, se si affidano a noi», aggiunge Spagnuolo.
Antonella Veltri, presidente della Rete nazionale dei centri antiviolenza, dà una chiave di lettura diversa: «Le donne stanno dimostrando grande resistenza. Ma le donne non denunciano perché con il sistema attuale si ripropongono a una vittimizzazione secondaria».
La donna in Calabria
Oltre ai casi di violenza diretta, ciò che preoccupa è la condizione generale della donna in Calabria. A cominciare da quella lavorativa. Il mercato del lavoro calabrese che sino al 2019 mostrava un lieve ma costante recupero, nel mese di giugno 2020 registra un arresto di tale trend positivo. A certificarlo il rapporto sull’economia della Calabria della Banca d’Italia. Ovviamente su tale situazione, molto ha inciso la pandemia da Covid-19. Ma a pagare sono sempre le “solite” categorie. La riduzione della occupazione ha riguardato principalmente la fascia di lavoratori di età compresa tra 15 e 29 anni. E la componente femminile.
Nel 2018 per l’Italia aumenta la distanza nel tasso di occupazione femminile dalla media europea. Che passa da 11,5 a 13,8 punti percentuali. A livello nazionale si riduce il gap tra uomini e donne. Questo per effetto della contrazione nel periodo del tasso di occupazione maschile. Ma il divario è più elevato rispetto alla media europea. Tra il 2008 e il 2018, per quanto riguarda il tasso di occupazione femminile il Mezzogiorno, già molto lontano, perde ulteriormente terreno. Attestandosi al 30,5 del 2018.
Numeri già non lusinghieri. Che, nella nostra regione, peggiorano ulteriormente. Secondo quanto riportato nel Documento di indirizzo strategico regionale per l’avvio della programmazione 2021-2027 «la Calabria esprime un tasso di occupazione del 31%, di oltre 30 punti inferiori alla media europea». Sempre nel medesimo Documento, l’individuazione delle cause di tali numeri inquietanti: «La scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro è legata in buona parte alla carente disponibilità di servizi di cura e assistenza (anche, ma non solo, per la prima infanzia), insufficienti investimenti nelle politiche di welfare e di conciliazione tempi di lavoro/tempi di vita, rigidità organizzative del lavoro, squilibrio persistente nel riparto del lavoro di cura all’interno della famiglia».
La rete antiviolenza smantellata
In Italia, il reato di femminicidio è stato introdotto solo nel 2013. La legge 19 luglio 2019, introduce talune disposizioni a tutela delle vittime di violenza domestica e di genere. Ed è l’occasione per chiarire il funzionamento del sistema penale per la tutela delle vittime di femminicidio. Il cosiddetto “Codice Rosso”. Negli ultimi 10 anni, in Calabria sono circa 100 le donne uccise.
«Vorrei superare lo stereotipo calabrese del vittimismo. La situazione delle donne in Calabria rispecchia grossomodo quello che avviene a livello nazionale. Ma vorrei che su questo si interrogassero anche gli uomini. Non c’è stata una presa di coscienza maschile. Che io invece invoco», afferma ancora Antonella Veltri.
Nonostante il Documento di indirizzo strategico regionale per l’avvio della programmazione 2021-2027, individuasse precisamente entità e cause della condizione di svantaggio in cui versa la donna in Calabria, è stata di fatto smantellata la rete di consultori familiari, presidi socio sanitari e centri antiviolenza. Tutte strutture che potrebbero prevenire delitti. Ma che potrebbero contrastare, anche culturalmente, le violenze e le discriminazioni nei confronti delle donne.
Nessun segnale dalle istituzioni
Tali strutture necessitano di figure professionali quali psicologi, psicoterapeuti e psichiatri. Ma sono stati colpiti dalla scure del Piano di rientro dal debito sanitario della Calabria. Sul punto, Antonella Veltri chiede un impegno a tutte le istituzioni: «Non ha senso sbandierare le belle panchine rosse, su cui andiamo a fare accomodare le donne vittime di violenza. Chiedo quindi che venga data forza ai centri antiviolenza. Essi sono l’avamposto per contrastare tutto questo».
Ma la cartina al tornasole di quanto manchi una presa di coscienza, soprattutto culturale, è data dalla scarsa partecipazione alla vita pubblica delle donne. Anche il Consiglio regionale della Calabria è, da sempre, un “affare” quasi esclusivamente per uomini. E anche le imminenti Regionali (che porteranno al voto con la doppia preferenza di genere). Anche su questo, Antonella Veltri ha un’idea controcorrente: «Sono sempre stata contraria alle Pari opportunità, ma la doppia preferenza può essere, effettivamente, un facilitatore. Non mi piace, ma vedremo cosa accadrà. Insisto, però: le donne non sono messe nelle condizioni di dimostrare il proprio valore».
La lista delle “zoccole”
Non si perde l’occasione, però, di dimostrare, anche pubblicamente, un presunto disvalore femminile. Sarebbe infatti grottesco, se non fosse parimenti inquietante, quanto accaduto qualche giorno fa a Cinquefrondi, in provincia di Reggio Calabria. Sui muri del paese della Piana di Gioia Tauro, infatti, è apparsa quella che è stata battezzata la “lista delle zoccole”.
A segnalare l’accaduto, un’attivista cosentina del Collettivo Fem.In (lo stesso che incastrò l’allora commissario alla sanità, Giuseppe Zuccatelli con le sue dichiarazioni no-mask). Sul punto è intervenuta anche l’amministrazione comunale di Cinquefrondi, entrando in contatto con le autorità. Nel tentativo di individuare il responsabile o i responsabili delle continue affissioni notturne. Ma anche i cittadini si sono organizzati in vere e proprie “ronde” per scovare chi, tra i 6500 abitanti di Cinquefrondi abbia ideato questa lista offensiva e discriminatoria.
Un elenco di donne, con tanto di nomi e cognomi, additate come “zoccole”. Un pratica che viene ormai praticata da tempo, avendo trovato anche una connotazione sociologica: “slut shaming”. La vergogna pubblica nei confronti di donne considerate troppo disinvolte nei comportamenti sessuali. O nel modo di vestire. Donne di facili costumi, quindi. O, comunque, degne di riprovazione. Soprattutto per ragioni di tipo sessuale. Ma non solo. Alle malcapitate viene affibbiato ogni tipo di insulto. «Leggi, ma non strappare», il messaggio di accompagnamento.