Trasformare i bunker in sale espositive, riconvertendo i cunicoli del malaffare scavati nel ventre del paese in moderne “passeggiate” sotterranee aperte ad «arte ottica e concettuale, folklore, sistemi con pannelli e mostre». Un progetto che il comune di Platì intende portare avanti – al costo di oltre due milioni di euro – per provare a dare nuova (e diversa) vita al sistema di capillari collegamenti criminali scavati nella roccia in quasi mezzo secolo per nascondere latitanti, prigionieri, droga e armi. Un “controcanto” che il piccolo centro – poche migliaia di abitanti sul versante jonico d’Aspromonte – vorrebbe intonare per mostrare il volto ripulito di una cittadina che, suo malgrado, è considerata da sempre come una della capitali storiche della ‘ndrangheta.
Contrastare il binomio Platì-criminalità
Un progetto dai tratti vagamenti bipolari, nato per smarcarsi da una nomea pesantissima e che non manca di cedere alla retorica un po’ vittimistica di tv, giornali e social che «le hanno riccamente documentate, spesso in maniera malevola con intenti di criminalizzazione generalizzata della popolazione» in una narrazione «folkloristica che contribuisce a infangare l’intera comunità». Da una parte vuole contrastare il binomio Platì uguale mafia. Dall’altra intende portare i turisti proprio in quello che a lungo è stato il regno sommerso di alcune delle più influenti famiglie di narcos a livello globale.

La città nascosta
E d’altronde erano state proprio le cosche platiesi a costruire la città sotto la città. Gallerie, cunicoli, bunker e stanze nascoste che i boss, in anticipo di un ventennio sulle gallerie scoperte al confine tra Messico e Stati Uniti, avevano commissionato per i propri intenti criminali. E che squadre di “bunkeristi” specializzati avevano realizzato collegando le nuove strutture a vecchi scarichi fognari e grotte naturali per un reticolo imponente di nascondigli e vie di fuga che a lungo avevano protetto i segreti del crimine organizzato locale.
Era il marzo del 2010 quando i carabinieri del gruppo di Locri durante una retata si erano imbattuti nella “catacombe” platiesi. Perquisendo un garage nella disponibilità del clan Trimboli, i militari avevano scovato un portello automatizzato e ben mimetizzato tra calcinacci e vecchi mobili. Dietro si nascondeva l’ingresso al “sottosopra” criminale platiese. Un mondo al contrario che le cosche avevano fatto scavare negli anni e che, grazie al lavoro mastodontico di una serie di operai “specializzati”, aveva sostituito le precedenti gallerie (meno sofisticate) scoperte nel 2003.

Ingegneria mineraria al soldo dei clan
Gli investigatori, che a lungo tennero riservata la notizia del rinvenimento, si trovarono di fronte ad una vera e propria opera di ingegneria mineraria. Dal piccolo box nel cuore del paese vecchio infatti, partiva una galleria lunga più di 200 metri costruita 8 metri sotto il livello del suolo e larga poco meno di un metro. Dotata di un moderno impianto di aerazione che consentiva il continuo ricambio dell’aria e di un funzionale impianto di luci al neon, la galleria collegava diversi bunker, a loro volta infrattati nelle intercapedini nascoste delle case dei boss, per un sistema quasi perfetto di mimetizzazione. Grazie ad esso capi e gregari delle cosche – che, come da tradizione mafiosa, difficilmente si allontanano dal proprio feudo d’appartenenza – erano rimasti a lungo al sicuro.
Fuori case senza intonaco, dentro rubinetti d’oro
E così, attorno alle case cadenti del centro storico, le magioni dei mammasantissima – nudo intonaco fuori, rubinetti d’oro nei bagni e mobilio d’ebano nel tinello –erano state dotate, tra picchi d’ingegneria mineraria e folkloristiche immagini della Madonna di Polsi lasciate a presidiare il territorio, di un sistema “arterioso” artificiale che poteva essere usato di volta in volta dalle primule rosse del malaffare della montagna. Un mondo al contrario che, scavato sotto i ruderi di un paese in rovina e stritolato dallo strapotere dei clan di ‘ndrangheta, oggi vuole essere riconvertito in un’operazione “acchiappaturisti” dal retrogusto amaro.

Vita da topi
E se le “catacombe” di Platì rappresentano, probabilmente, un unicum dell’ingegneria votata al malaffare, i bunker dentro cui si rintanano i pezzi da novanta del crimine organizzato calabrese sono invece una presenza costante in tutto il territorio reggino. Anche perché una delle regole non scritte del crimine organizzato, prevede che un capo, anche se braccato, non si allontani mai troppo dal proprio territorio di “competenza”. E così, nascosti dietro finte pareti, occultati dietro porte scorrevoli e botole meccaniche, i nascondigli dei boss sono sempre più sofisticati e costruiti con tutte le comodità dettate dai tempi moderni, per consentire un soggiorno degno del blasone di chi lo ha commissionato.
Il “bilocale” di Ciccio Testuni a Rosarno
Come nel caso del mini appartamento che Francesco Pesce, alias Ciccio Testuni, si era fatto costruire proprio sotto un deposito giudiziale nelle campagne di Rosarno. Braccato dalle forze dell’ordine in seguito all’operazione All Inside, l’allora reggente del potentissimo clan della Piana, si era “sistemato” in un bilocale sotterraneo di circa 40 metri quadri costruito di nascosto da veri esperti del settore. Tv satellitari, impianto di video sorveglianza esterno, collegamento internet e consolle per videogiochi: nella residenza nascosta di Pesce, i carabinieri del Ros (che la mattina del ritrovamento si presentarono al cancello della Demolsud con ruspe e scavatori meccanici) trovarono tutto l’occorrente per trascorrere una latitanza tranquilla.

I muratori specializzati nei bunker
Una tradizione, quella dei bunker, che coinvolge praticamente tutte le cosche criminali del territorio e che ha creato, paradossalmente, operai specializzati che le stesse cosche si contendono: «Ricordo – aveva raccontato agli inquirenti la collaboratrice di giustizia Giusy Pesce, che di Ciccio Testuni è prima cugina – di avere più volte visto un muratore di Rosarno, uscire dalla casa abbandonata di mia nonna. Era sempre vestito con una tuta da lavoro e mio padre mi spiegò che l’operaio stava ristrutturando per conto suo un vecchio bunker nascosto nella casa».