Kasbah, borgo, villaggio: il quartiere dell’autostazione è un mondo a sé rispetto al resto di Cosenza. Contenitore di storie e di vite, migranti e stanziali. All’alba, nel silenzio della città che ancora dorme, il quartiere si sveglia prima degli altri tra i rumori dello scarico della merce, le saracinesche che si alzano e il furtivo guardarsi intorno di chi ha trascorso la notte sulle panchine e sa che deve dileguarsi prima che arrivi il primo autobus carico di pendolari.
Il buongiorno multietnico dell’autostazione di Cosenza
Una pattuglia della polizia è all’ennesimo giro di controllo e avanza lenta tra le corsie ancora deserte. Nel Buongiorno si intrecciano le lingue. Ognuno ringrazia il suo dio. Il bar sforna cornetti, prepara i primi caffè e comincia svogliatamente a popolarsi. Davanti al money transfer prende forma la mesta processione di chi è in attesa di un aiuto economico da familiari lontanissimi e chi conta i soldi che oggi invierà a casa.
Il cinese Chang diventa Ciccio
In una città in cui i pochi turisti restano incompresi e ci si affida ai gesti per comunicare, il paradosso è che qui i negozianti, anche i più anziani, si sono assicurati un repertorio di frasi per interagire in inglese con clienti di tutte le nazionalità. Nella dimensione comunitaria del borgo i nomi, quelli impronunciabili, si reinventano in chiave cosentina. E così Kaunadodo, che arriva dal Mali, per qualche bizzarra associazione diventa Tonino, mentre Chang che è cinese, per tutti è Ciccio. Il tempo è scandito da arrivi e partenze. I ragazzi nordafricani con i dreadlock, belli come statue, si mischiano agli studenti che a partire dalle sette scendono dai bus in arrivo dai paesi della provincia, incrociano le badanti col velo che tornano a casa dalle notti trascorse ad accudire gli anziani.
Degrado o luogo come un altro?
I viaggiatori di passaggio vanno ad acquistare nei bazar gestititi dai cinesi, la comunità araba mangia il kebab dall’egiziano e fa la spesa nelle macellerie halal e nei supermercati che vendono prodotti internazionali. Le ragazze nigeriane si sistemano le treccine con i cosmetici acquistati all’african shop. Qui acquistano prodotti specifici per la loro pelle e trucchi che valorizzano l’incarnato. Ci sono sguardi indignati e sguardi indulgenti. Per alcuni questa babele è causa di degrado e criminalità, per altri è un luogo come un altro.
I cosentini non si sentono al sicuro
Il dato di fatto è che i residenti non si sentono al sicuro. Nei condomini quasi tutti hanno potenziato sistemi di allarme e telecamere. «Guardi qui», Anna mostra il suo cellulare, «24 ore su 24 controllo dal mio telefono cosa accade davanti alla porta di casa. Se c’è qualcuno un beep mi avverte. Viviamo così, con la paura costante di rientrare nel portone o nel parcheggio e trovare qualche malintenzionato». I palazzoni che fanno da cintura intorno all’autostazione sono edifici eleganti con appartamenti di metrature smisurate rispetto agli standard attuali. Ogni amministrazione comunale che si è succeduta ha promesso il trasloco delle corsie dei bus con il loro pesante carico di inquinamento atmosferico. «Argomenti buoni solo in campagna elettorale – sbotta una signora davanti al supermercato – ormai abbiamo smesso di crederci. Questo era un quartiere di famiglie, professionisti, negozi. Adesso abbiamo spazzatura, traffico, degrado, prostitute, ubriaconi e risse».
Autostazione Cosenza: l’amicizia possibile e il compare cinese
I nomi sui citofoni, cancellati e sovrascritti, dicono qualcosa della geografia di questi condomini multietnici in cui al profumo del soffritto preparato dalla vecchietta del primo piano si mescola l’odore dell’aglio dell’adobo filippino. Arriva su, fino al quinto piano, dove incontrerà le note speziate del pollo in padella affondato nel riso basmati della tradizione pakistana. È tutto un dualismo, un alternarsi, passato e presente, nuovo e antico, prossimità e lontananze. Molti negozi storici resistono, convivono muro e muro con i negozi che aprono come funghi per assecondare le esigenze della popolazione multietnica che gravita intorno all’autostazione. Certe volte i rapporti si trasformano in amicizia, un commerciante cinese ha dato al figlio il nome di un collega italiano e gli ha chiesto di battezzarlo. Certo non è sempre così, ci sono situazioni di conflitto sempre sul punto di esplodere. Bande rivali che ogni tanto seminano il panico.
«Sono i ragazzi cosentini a darmi fastidio»
«Questo è un porto – dice un esercente che non vuole esporsi e chiede di restare anonimo – e nei porti si sa, arriva di tutto: la gente per bene e i disperati. Ma se vuole saperlo a me danno più fastidio gli italiani, i cosentini, i ragazzi che ho visto crescere nel mio quartiere e che oggi sono diventati degli sbandati. Mi presentano la tessera del reddito di cittadinanza e pretendono non la spesa ma i soldi. È una continua richiesta, snervante, ossessiva. Gli rispondo: ma c’è scritto banca sull’insegna? Che rabbia. Certe volte sono costretto a chiudere prima, è l’unico modo che ho per sfuggire. A questo siamo arrivati».
Nel “porto” cosentino c’è tutto un flusso di migranti in partenza e in arrivo, che segue le rotte del lavoro o della sua ricerca, dalla raccolta nei campi alla vendita ambulante. E c’è un indotto cospicuo, di cibo e servizi, dalle ricariche telefoniche al trasferimento di denaro, dal parrucchiere specializzato nelle acconciature afro al disbrigo pratiche burocratiche e interpretariato.
La vecchia trattoria si trasforma in supermercato multietnico
«Quando ho aperto, i miei colleghi mi guardavano male. Mi accusavano di aver reso questo posto più pericoloso perché frequentato dagli stranieri. Oggi devono riconoscere che sono stato un imprenditore lungimirante. Avevo visto lungo«. Massimo De Luca ci è cresciuto tra le corsie dell’autostazione, dove gestisce un supermercato di prodotti internazionali “I cinque continenti”. Oggi vende tapioca e aringhe essiccate negli stessi spazi in cui suo padre, negli anni ’60 serviva ai tavoli della sua trattoria i viaggiatori che arrivavano a Cosenza con la littorina, quella col portapacchi sul tettuccio. «C’erano diverse trattorie in questa zona ed erano una tappa obbligatoria per i pendolari. Venire a Cosenza significava godere della gioia di mangiare un piatto caldo prima di ripartire».
Serve uno sforzo notevole per immaginare questo posto e ricostruire lo scenario completamente diverso che ruotava intorno alle corsie della stazione degli autobus: l’alimentari-trattoria Scarpelli, il deposito del pastificio Amato, Forgione Calzature, il Paradiso dei Piccoli, il Salone del lampadario. L’ultimo ad abbandonare la sua storica sede è stato Giordano il Musichiere, mentre la trattoria De Luca ha cambiato pelle e si è adeguata ai tempi. Prima Conad Margherita e poi supermercato multietnico. «Tutto è iniziato quando ho cominciato a vedere che la clientela si stava modificando – racconta De Luca – . Cinesi e filippini mi richiedevano dei prodotti, ho cominciato ad ordinarli, poi ho capito che la mia strada era proprio quella di differenziarmi, di rendermi indipendente”.
Dopo filippini e cinesi con l’istituzione dei i centri di accoglienza legati allo Sprar (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati) sono arrivati i nordafricani, tantissimi. Ragazzi e ragazze, intere famiglie. Hanno un disperato desiderio dei profumi e dei sapori dei loro paesi d’origine: il cibo è il ponte che tiene saldi i legami, li ancora alle loro origini. «Qui c’è un movimento di persone incredibile – spiega De Luca – puoi averne contezza solo se lo vivi come me dall’interno». E non solo nordafricani, cinesi, filippini. «Argentini, venezuelani, brasiliani sono in forte aumento. E non dimentichiamo il flusso degli studenti Erasmus».
Quasi tutti bravi ragazzi, poche teste calde e qualche amico
De Luca difende la multietnicità dell’autostazione. «Sono quasi tutti bravi ragazzi, a parte qualche sporadica testa calda. Mai avuto un problema nel mio negozio: entrano, comprano, pagano. E spendono anche nei negozi intorno, non solo qui. Dobbiamo vedere la presenza dei migranti come una risorsa, non come un problema». De Luca critica però la gestione dell’area: «Per contrastare il degrado non serve togliere i servizi. È stata eliminata la sala d’attesa, hanno tolto le panchine. A cosa è servito?».
Ciccio Caruso è diventato adulto dietro il bancone di generi alimentari che gestisce fin da quando era un ragazzo. Il suo core business sono i panini imbottiti, è riuscito a convertire alla schiacciata piccante anche i suoi amici cinesi del vicino ristorante orientale. Ma è anche amico dei ragazzi arabi che gestiscono il piccolo market halal alla sua sinistra. «Siamo tutti sulla stessa barca – scherza – alla fine andiamo oltre la nazionalità e la lingua. Siamo colleghi e in qualche caso anche amici».
Serve un posto di polizia permanente
Per Caruso la questione da affrontare riguarda l’afflusso di pendolari. «Gli autobus arrivano nelle corsie dell’autostazione già vuoti, fanno scendere i viaggiatori, in particolare gli studenti prima di arrivare qui. Questo per me significa perdere la parte più cospicua dei miei potenziali clienti. Bisogna migliorare i servizi – dice – rendere quest’area più accogliente e quindi più sicura, magari con un presidio permanente delle forze dell’ordine».
Quando gli ultimi autobus abbandonano le corsie, restano cumuli di spazzatura, gli ambulanti trascinano la merce verso casa. Si sentono le risate di un gruppo di ragazzi fermi sul muretto con una birra in mano. Il lampeggiante annuncia un nuovo stanco giro di perlustrazione. È tutto a posto. O almeno così sembra.