A distanza di quasi un anno dagli incendi che hanno saccheggiato l’Aspromonte al ritmo di un paio di focolai al giorno, si va avanti a vista, confidando anche nelle statistiche che segnano sempre un intervallo di una manciata di anni tra un disastro e l’altro. Quattro morti, settemila ettari di area protetta andati in fumo, decine di sentieri cancellati dalle fiamme e intrappolati dalle frane che ne sono figlie, e un paio di paesi che hanno seriamente rischiato di essere devastati dai roghi: l’estate del 2021 verrà ricordata come l’estate della devastazione. Devastazione che ha avuto il suo epicentro nella provincia di Reggio e che ha visto il Parco nazionale d’Aspromonte pagare un prezzo altissimo al tavolo dei piromani che per quasi un mese hanno messo a ferro e fuoco uno dei polmoni verdi della Calabria.
Cronologia di un disastro
Una ventina di giorni, quelli compresi tra il 29 luglio e il 17 agosto: sono queste le date che segnano il passo degli incendi e che registrano almeno un nuovo fronte di fuoco. Fronti che, a leggere i primi dati raccolti attraverso il sistema Copernicus – il programma satellitare di osservazione della Terra coordinato e gestito dall’Unione Europea – sono scoppiati praticamente in contemporanea a distanza di decine di chilometri l’uno dall’altro. I primi episodi, sporadici, si registrano nei primi giorni di luglio a monte di Mammola e San Luca. Ma è con la fine del mese che le cose precipitano.
Il 29 il fuoco attacca l’entroterra di Gerace mangiandosi quasi 10 ettari di foreste. Poi, in un’escalation tremenda dove è difficile non individuare la mano dell’uomo, le fiamme aggrediscono i territori di Condofuri, di nuovo San Luca, Mammola e Oppido. Quindi si allungano fino ai confini estremi di Reggio. Ancora poche ore, e nella notte tra il 4 e il 5 agosto le fiamme prendono piede nell’area di San Lorenzo. Dalle campagne del piccolo paesino dell’Aspromonte grecanico i roghi scendono e risalgono i costoni della montagna portando devastazione e morte in tutta l’area. Minacciano da vicino anche l’abitato di Roccaforte del Greco e quello di Bagaladi.
Non c’è pace fino a settembre
All’alba di ferragosto, quando il fronte ha ormai distrutto quasi ogni cosa gli si parasse davanti spostandosi più a sud verso la diga del Menta, si conteranno più di 6mila ettari di boschi, in area sottoposta a tutela, completamente distrutti. E mentre le fiamme corrodono i boschi secolari di “pino calabro”, i nuovi fuochi continuano ad aggredire le ricchezze del parco.
Il 5 è la volta di Oppido. Poi il sette di nuovo a San Luca in quello che, probabilmente, è il fronte (850 ettari andati in fumo) che ha minacciato da vicino le foreste vetuste di Faggi, a quota 1200 metri di altezza: l’Unesco le aveva dichiarate patrimonio dell’Umanità appena una manciata di mesi prima. E ancora Martone, Cittanova e Grotteria il dieci agosto e di nuovo San Luca – il paese che presenta la maggiore estensione territoriale in tutta la provincia – Canolo e Mammola in un inferno di fuoco che s’interromperà solo nei primi giorni di settembre.
Paradiso perduto
Sono le guide ufficiali del Parco a certificare lo stato di devastazione causato dagli incendi. Loro lo studio che compara i dati Copernicus con le carte che mappano la biodiversità vegetale presente sul territorio. E sono sempre loro a battere la montagna annotando nuove frane sui percorsi noti e a toccare con mano l’entità del disastro.
Sono stati i boschi più pregiati a pagare il prezzo più alto dell’estate degli incendi, soprattutto nella zona compresa tra i centri di Bagaladi, San Lorenzo e Roccaforte del Greco. Qui, il report stilato dalle guide del Parco, certifica come siano oltre 1700 gli ettari di “pino calabro” – uno degli alberi che maggiormente caratterizza la vegetazione autoctona e le cui foreste erano vecchie di secoli – andati completamente perduti. Un patrimonio inestimabile a cui si devono aggiungere le foreste di faggi, castagni e lecci (circa 550 ettari) e quelle venute fuori dal rimboschimento di conifere e ormai evaporate (quasi mille ettari).
Animali e sentieri
E ancora boschi di ginestre, pascoli e decine di fondi coltivati a uliveto. Per non dire degli animali. Tassi, faine, scoiattoli e martore che non hanno trovato scampo come cinghiali, volpi e lepri. Confusi dal fumo e circondati dalle fiamme, sulle loro carcasse hanno banchettato per giorni corvi e cornacchie.
Nel lungo elenco dei danni ancora in corso di realizzazione sono finite anche le aziende e le associazioni che il parco d’Aspromonte lo vivono e lo fanno vivere ai turisti. Sono decine i chilometri di sentieri e stradine interessate dagli incendi su tutti i versanti della montagna, che fanno parte dei consueti percorsi turistici. Dal sentiero “Italia” nel tratto che collega Reggio a Gambarie e poi più a nord in quello che collega Montalto – la cima più importante d’Aspromonte – con San Luca. E, ancora, i percorsi che scavalcano le vette e collegano Bova nell’area grecanica con Delianuova sul versante tirrenico e tra Samo e il cuore della montagna.
Aspettando Godot
Se la reale portata degli incendi non è ancora del tutto chiara, buona parte del problema viene dai comuni (37 in tutto) che ne compongono il cuore. Spetta a loro il compito di censire dettagliatamente i confini dei roghi che hanno interessato i rispettivi territori. È un lavoro che andrebbe eseguito nelle immediatezze degli eventi. Serve, infatti, per avere una visione chiara delle aeree in cui intervenire e la priorità degli interventi da mettere in campo oltre che a progettare un adeguato piano di difesa. Nessuno (o quasi) dei centri del Parco ha ancora consegnato le planimetrie dei censimenti. Così nei giorni scorsi gli uffici amministrativi dell’Ente sono stati costretti a inviare una comunicazione ufficiale a ogni comune nel tentativo di capire quanto fatto finora.
E sono sempre i comuni a dovere garantire la pulizia dei fondi – soprattutto quelli nelle immediate vicinanze dei centri abitati – in modo da creare delle zone taglia fuoco in grado di proteggerli. Anche in questo caso la situazione attuale registra un preoccupante ritardo, nonostante la scorsa estate le fiamme siano arrivate a toccare le prime case di Grotteria e di San Giovanni di Gerace.
I cittadini si improvvisano pompieri d’Aspromonte
In quell’occasione furono anche gli abitanti dei due piccoli centri a dare una mano alle squadre antincendio: incuranti delle ordinanze sindacali che disponevano l’evacuazione decine di semplici cittadini si diedero da fare con pale, rastrelli e sifoni da giardino per domare le fiamme che avevano attaccato la rupe su cui si affacciano il comune di Grotteria e la chiesa di San Domenico, da cui un drappello di fedeli aveva “evacuato” per precauzione la statua del Santo protettore. L’incendio che lambiva l’abitato ebbe anche la conseguenza di “dirottare” l’unico canadair presente in quei giorni sulla montagna che, come ordine di servizio, deve dare priorità ai centri abitati.
Soldi e bandi pubblici dove sono finiti?
Da una parte i comuni, a loro difesa, mettono sul piatto una pianta organica ridotta all’osso, che dilata i tempi e complica le cose. Dall’altra provano a battere cassa, indicando i costi pesanti dell’affidamento a società esterne per il censimento degli incendi passati.
Eppure di soldi legati ai bandi pubblici ne sono girati. E ne continuano a girare. Soldi, come quelli del bando “Clima 2021” che hanno preso varie strade, previste dai bandi ma solo “adiacenti” a quelle che ci si immaginerebbe dopo il disastro dell’anno scorso. Quello che i fuochi del 2021 hanno mostrato è infatti la drammatica carenza di strutture, mezzi adeguati e uomini preparati ad affrontare eventi così imponenti.
Sono circa una quindicina, ad esempio, i punti di rifornimento di acqua a cui possono accedere i mezzi antincendio impegnati sul territorio. Punti disseminati a macchia di leopardo dentro i confini del parco – tra reti idriche, piccoli laghetti e, sparute, vasche antincendio – ma che sono risultati decisamente insufficienti alla prova dei fatti.
Solo un milione su 4 per le vasche antincendio
Degli oltre 4 milioni di euro garantiti dal ministero della Transizione ecologica e veicolati attraverso il Parco nazionale, però, solo uno dei nove progetti finanziati prevede la costruzione di una vasca antincendio. Succede nel comune di Cosoleto, che ha chiesto e ottenuto 200mila euro per allestirne una a cui possano “abbeverarsi” i mezzi spegni fuoco.
Il resto dei soldi è andato invece, legittimamente, per la ristrutturazione e l’efficientamento energetico dei municipi di Bova, Gallicianò e Cinquefrondi. Mentre a Cittanova serviranno per la ristrutturazione dell’ostello della gioventù e per la costruzione di un vivaio forestale. Questione di priorità, anche alla luce del fatto che quello degli accessi all’acqua durante gli incendi è stato uno dei problemi maggiori riscontrati la scorsa estate per gli interventi da terra.
In ballo ci sono poi i finanziamenti per altre vasche. Attendono il via libera per il progetto definitivo i comuni di San Luca, Oppido, San Giorgio Morgeto e Mammola. Ma i tempi sono quelli della burocrazia calabrese. Toccherà incrociare le dita.
I fantasmi dell’Afor sull’Aspromonte
Sul campo però, oltre ai vigili del fuoco e alle associazioni, a cui come da piano Aib è andata la gestione di 15 delle 16 zone in cui è stato diviso il territorio protetto (una resta invece di competenza dello Stato e viene gestita direttamente dal reparto dei carabinieri per la biodiversità), vanno le squadre di Calabria Verde.
Una settantina quelle disponibili in tutta la provincia. Sono formate per lo più da gruppi di 3-5 persone, ma alcune sono più numerose. Oltre a tenere a bada le fiamme dovrebbero anche garantire la manutenzione delle strade e la ripulitura del sottobosco in Aspromonte.
Passati i tempi dell’elefantiaca pianta organica dell’Afor, però, i numeri degli addetti sul campo sono crollati drasticamente. Tenere a bada i 67mila ettari dell’Aspromonte è semplicemente impossibile. Un problema, quello della scarsità d’organico, che si riflette anche sui tempi di intervento. Capita che i mezzi antincendio, privi degli operai che conoscono la montagna, si perdano tra le mille stradine sterrate del territorio.
Gara deserta
E se gli uomini mancano, lo stesso discorso si può fare per quanto riguarda i mezzi. Sei le autobotti di Calabria Verde in provincia, due delle quali stanziate fuori dai confini del Parco. Dal 2018 avrebbero dovuto aggiungersene altre fra le 10 messe in cantiere dalla società regionale. Peccato che le gare – subissate da richieste di chiarimenti sul bando da parte dei concorrenti – continuino ad andare deserte da quattro anni.
L’ultima è stata dichiarata «infruttuosa» lo scorso 14 aprile e ha costretto Calabria Verde a virare verso un “procedura negoziata”. Con un tetto massimo di poco più di 200mila euro, dovrà rimpolpare il parco automezzi con cinque nuove autobotti da prendere con il principio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Tempi previsti: 120 giorni dalla stipula del contratto. Speriamo che i piromani aspettino.