Aeroporto Crotone, due milioni per un radiofaro inutilizzato

Viaggio nello scalo pitagorico passato con la Sacal. Mancano il bar e l'edicola. Solo quattro voli settimanali. La mobilità è un sogno nella città attraversata da una Statale 106 da incubo e da una linea ferroviaria obsoleta

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Royalties da investire e radiofari da collaudare, rotte a singhiozzo e utenti inferociti. Nemmeno un bar dove prendere un caffè o un’edicola per un cruciverba e un quotidiano in attesa di uno dei (pochissimi) voli. È tratteggiato a tinte fosche il futuro del moribondo aeroporto Pitagora, lo scalo aereo più anziano (e più derelitto) della regione.

Tra chiusure, riaperture, finti rilanci e progetti di sviluppo, si trascina in un limbo fatto di disservizi e incompiute. Relegato a Cenerentola tra i tre aeroporti calabresi (con cui condivide la governance sotto le insegne di Sacal), quello di Crotone ha vissuto un’esistenza estremamente travagliata cambiando più volte utilizzo e rimanendo chimera di un territorio già confinato agli ultimi posti delle graduatorie nazionali.

Cronaca di un fallimento

Costruito, primo in Calabria, nel comune di Isola Capo Rizzuto come aviosuperficie per le esigenze belliche del secondo conflitto mondiale, il Pitagora apre alle rotte commerciali alla metà degli anni ’60. Lega il suo nome alla compagnia Itavia, che garantisce le prime rotte su Roma e Bergamo. E inaugura a stretto giro anche il servizio cargo e una serie di tratte coperte da voli charter che collegano quel pezzo di Calabria a diverse destinazioni internazionali.cc

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Il DC-9 Itavia precipitato ad Ustica

Ma le cose sono destinate a durare poco. E quando, alla fine dei ’70, si inaugura lo scalo di Lamezia la situazione per Crotone cambia drasticamente. «Hanno trasferito la rappresentanza Itavia a Catanzaro, di notte. Poi – racconta Nicola Fodaro, per anni presidente dell’Aeroclub cittadino – hanno trasferito anche il servizio cargo spogliando San’Anna di ogni servizio. La chiusura era inevitabile, la tragedia di Ustica che ha mandato a gambe all’aria la compagnia ha fatto il resto».

Sull’altare di Lamezia

Sacrificato sull’altare della più appetitosa Lamezia e senza più traffico civile, l’aeroporto resta in piedi solo grazie all’aeroclub, che si garantisce un contratto con Alitalia per la prima formazione dei futuri piloti. Ma di prendere un volo per raggiungere una qualsiasi destinazione, neanche a parlarne. Si dovrà attendere il 1996, con l’arrivo di AirOne, per rivedere una aereo di linea atterrare a Crotone. Sembra la rinascita. Nel 2003 arriva l’inaugurazione del nuovo terminal, capace – almeno in teoria, visto che quei numeri non si sono mai raggiunti – di sopportare un traffico annuo di 250 mila passeggeri. Comunque l’aeroporto in quegli anni funziona e garantisce una serie di collegamenti (Venezia, Torino, la Germania) in grado di allentare l’isolamento di una città ristretta tra una statale da incubo e una linea ferroviaria da film in costume.

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Un aereo fermo sulla pista del Pitagora

Arrivano anche nuovi investimenti – la nuova torre di controllo, il sistema di radiofaro per gli atterraggi che però non entrerà mai in funzione – ma anche in questo caso la favola dura poco. La “Sant’Anna spa”, la società che gestisce lo scalo, comincia a mostrare il fiato corto e volare da Crotone torna ad essere piuttosto complicato con i collegamenti ridotti al lumicino. Fino al 2018 quando la società finisce in bancarotta, e dallo scalo di Sant’Anna partono, di fatto, solo i charter del Crotone calcio e qualche sparuto volo turistico. Poi il bando Enac e l’approdo, assieme a Reggio e Lamezia, sotto la gestione Sacal.

Terno al lotto

Oggi, partire da Crotone è un terno al lotto. Quattro voli settimanali con destinazione Bergamo, tre collegamenti con Bologna, in attesa della primavera e del nuovo, temporaneo, collegamento con Venezia. Devono bastare per un’utenza calcolata sulla carta in oltre 450 mila utenti (compresi nel dittico 100km/1h di spostamento) lungo tre province. Anche perché il bando per le nuove tratte indetto a dicembre 2020, nonostante gli aiuti di Stato che avevano garantito allo scalo la continuità territoriale così come succede in Sicilia e in Sardegna, è andato mestamente deserto. E di quello nuovo ancora non si è vista traccia.

Due milioni di euro per nulla

In attesa delle nuove, fantomatiche, tratte verso Roma e Torino, se si ha la fortuna di trovare un biglietto (prenotando online in questi giorni, un collegamento andata/ritorno con la Lombardia nella settimana di Natale varia tra i 250 e i 400 euro) si deve sperare di trovare una bella giornata. In caso di maltempo e di scarsa visibilità infatti gli aerei non possono atterrare nello scalo di Sant’Anna che tra le sue mille contraddizioni, è riuscito a dotarsi di un moderno sistema Ils che garantisce l’atterraggio strumentale ma non lo ha mai messo in funzione. Siglato il contratto d’utilizzo e ultimata l’installazione infatti, il radiofaro (costato oltre 2 milioni) non è mai stato collaudato e di conseguenza mai utilizzato. Con buona pace delle speranze di capacità attrattiva dello scalo.

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Le royalties

Eppure, per garantire i necessari collegamenti del crotonese con il resto del paese, qualcosa era stato fatto. Nel 2018, la Regione e i comuni del comprensorio (oltre al capoluogo, anche Crucoli, Isola, Cirò, Cutro, Strongoli e Melissa) avevano trovato un accordo con Sacal per la ripartizione di parte delle royalties (il 15% del totale) derivanti dallo sfruttamento in mare dei giacimenti di metano. Avrebbero dovute essere investite per la sopravvivenza dello scalo e lo sviluppo turistico dell’intera zona. Un gruzzolo di circa un milione di euro l’anno «che i comuni hanno garantito con la stipula di un formale protocollo, ma che è servito a ben poco» dice amareggiato Giuseppe Martino che da anni guida il comitato cittadino Crotone vuole volare.

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