Questa è un’avventura di impresa resistente, di identità e di passione per un tesoro che la Calabria non sa di avere.
Dalla città di Cosenza partivano carichi di zafferano in pieno Rinascimento, richiesti in tutto il mondo. Nel 1844 Luigi Zucoli, autore di una guida per viaggiatori, cita questa ricchezza bruzia. In “Italy under Victor Emmanuel. A personal narrative” del 1862, Carlo Arrivabene parla di tre rarità del sud: i vini siciliani, le donne di Bagnara e lo zafferano di Cosenza.
La spezia di Cleopatra a Castiglione
Oggi piccole aziende, sparse per la regione, lo hanno riscoperto. Una di queste è lo “Zafferano del re” di Castiglione Cosentino, impresa partita benissimo e che, come tante, ha subito la batosta pandemica. Ma le sorelle Linardi, Benedetta e Maria Concetta, non mollano. La spezia più costosa sul mercato, fino a 25 euro al grammo, ha fatto tanta strada da Cleopatra alla Calabria. La regina egizia lo usava ogni giorno per dorare la sua pelle. E così lo riscopriamo come antenato dei gettonati illuminanti della cosmesi di oggi.
«Sì, è così, la provincia cosentina era una delle maggiori esportatrici al mondo. Ci sono fonti storiche che raccontano della sua produzione in Presila nel 1500». Benedetta Linardi, 35 anni, laureata in scienze politiche e consulente finanziaria, insieme con sua sorella Maria Concetta, 39 anni, laurea in scienze della nutrizione, hanno ereditato i terreni di famiglia e hanno deciso di cambiarne il destino.
La collina si tinge di viola
C’è un momento, tra ottobre e novembre, in cui la collina di Castiglione, a 400 metri sul livello del mare, si tinge di viola, proprio mentre intorno l’autunno ha già spento tutti i colori. È l’ora della fioritura dello zafferano e dura circa 15 giorni. «Andiamo a raccogliere i fiori uno per uno – spiega Benedetta Linardi – un lavoro che facciamo personalmente perché richiede estrema cura». Il fiore raccolto deve arrivare integro alla fase dello “sfioramento”, parola ricca di fascino poiché contiene in sé l’atto di eliminare il fiore dal gambo, ma anche la necessità di farlo con estrema delicatezza.
L’azienda è nata nel 2018 e i clienti sono per lo più ristoratori. La spezie, cara alla Sardegna e indispensabile per il famoso risotto alla milanese, oggi è laboratorio gastronomico di chef stellati che valorizzano tradizioni calabresi. «Le nostre ricerche – spiega ancora Benedetta, – ci hanno permesso di rintracciare un legame forte con il territorio e di farne un racconto. Ed è un aspetto fondamentale, perché il tipo di consumatore medio vuole apprezzarne le qualità ma anche conoscerne la storia». Sono grandi chef gli amici partner dello Zafferano del re (sul sito https://www.zafferanodelre.it, nella sezione partner, ci sono i loro piatti coloratissimi e i video sulle relative preparazioni). Come Luigi Ferraro, originario di Cassano allo Jonio, ambasciatore nel mondo della buona Calabria a tavola, oggi chef nelle strutture del lussuoso Four Season Hotel di Doha in Qatar.
La grande sfida, adesso, è riprendersi dalla crisi
L’azienda delle combattive sorelle Linardi, da startup di successo si è dovuta subito scontrare con il Covid. Quarantamila euro di fatturato, 20mila bulbi l’anno, sono numeri di tutto rispetto per una realtà appena nata.
L’impresa è partita nell’anno in cui si faceva un gran parlare di scavi per trovare il tesoro del Sacco di Roma nei fiumi cosentini e le due sorelle, un po’ per cavalcare l’onda, un po’ per scherzo, l’hanno battezzata “Zafferano del re” pensando ad Alarico. «Il vero tesoro, quello che abbiamo sotto gli occhi, è la terra. Noi ci crediamo. In un territorio, piuttosto che inseguire qualcosa di inesistente, bisogna cercare e preservare ciò che realmente c’è».
«I primi duemila bulbi siamo andati a prenderli in Toscana – continua Benedetta.- La nostra scommessa è nata a partire da quel piccolo scrigno».
I compaesani “prestano” gratis i loro terreni
I terreni – in contrade dai nomi che richiamano un passato lontano, Pristini, Canterame, Orbo – sono appezzamenti di famiglia. Altri se ne sono aggiunti, concessi in comodato gratuito da privati. «Erano abbandonati e incolti. Ci sono stati consegnati volentieri, i nostri compaesani hanno creduto in noi e il loro modo per dimostrarcelo è stato offrire quello che poteva servirci». È il Genius loci che si manifesta nell’idea di comunità che condivide terra e sapienza. «Nei piccoli paesi è facile che si inneschi questo meccanismo di supporto reciproco», sorride.
Fiori d’ottobre
Quella dello zafferano è una produzione molto semplice: «piantiamo i bulbi intorno a ferragosto, quando la temperatura comincia a cambiare. La pianta cresce in pochi mesi, a fine ottobre fiorisce». È questo il momento più importante, perché tutto deve essere svolto in pochissimo tempo e manualmente, per non rovinare i fiori, molto delicati, che devono essere adagiati nelle ceste. A questo punto la lavorazione avviene nel laboratorio, dove il fiore viene separato dal pistillo (è questa la cosiddetta “sfioratura”) che verrà poi essiccato. Lo zafferano ottenuto viene infine conservato nel vetro, in attesa di essere imbustato e confezionato.
«Il 90% dei nostri clienti sono ristoratori – spiega Benedetta – ma pochissimo di ciò che produciamo resta in Calabria, solo il 10%». Le sorelle dello zafferano in pochi anni sono diventate un caso, un esempio di impresa giovane, coraggiosa, attenta alla qualità e al territorio. L’azienda ha ricevuto premi e riconoscimenti.
Il prodotto più contraffatto al mondo
«Il 2020 è stato un anno nero – ammette -. Un po’ per tutti, certo, ma noi abbiamo avuto un crollo quasi totale della produzione. Nessun aiuto, nessun sostegno, perché tecnicamente rubricati come florovivaisti e non come agricoltori, non ne avevamo diritto». Con la ristorazione in ginocchio la loro attività ha subito una brusca battuta d’arresto. «Eravamo un’azienda in crescita. Abbiamo investito moltissimo e aspettavamo di raccogliere i primi frutti. Non avremmo mai immaginato di trovarci invece a dover affrontare un’emergenza tanto grave come una pandemia. Non è facile sostenere i costi di produzione in una situazione del genere e questo alla lunga non può reggere».
Bisogna poi considerare il problema della concorrenza. «Lo zafferano è il prodotto più contraffatto al mondo – aggiunge – e la nostra piccola produzione deve misurarsi con quelle intensive dell’Iran, del Marocco e della Spagna. Questi paesi portano sui mercati uno zafferano che al grammo arriva a costare due euro, contro i venticinque di quello italiano».
L’afrodisiaco di Richelieu
Non c’è rassegnazione nelle parole di questa giovane e caparbia imprenditrice. «La strada da seguire è sicuramente quella di unire le forze», dice. «Noi piccoli produttori siamo tanti e tutti abbiamo difficoltà simili che possiamo superare creando una rete, una collaborazione che ci consenta di stare sul mercato e di diventare davvero competitivi. In questo momento siamo a terra, ma stiamo valutando nuove strategie».
Piccoli ma tenaci come il fiore di croco dell’oro rosso.
In passato con lo zafferano si curavano reumatismi, gotta e forti infiammazioni come il mal di denti. Usato anche come polvere abortiva, era più noto come afrodisiaco (tra gli abituali consumatori il cardinale Richelieu). Per gli imperatori e i sacerdoti romani era un prezioso profumatore di saloni sfarzosi e templi, i contadini calabresi lo spargevano sul letto della prima notte degli sposi. Una spezia dai mille usi, un mondo da scoprire. Oltre il risotto alla milanese.