Vena di Maida, il paese delle porte arbëreshe

Murales per custodire la Storia. Dalla frazione albanofona parte un progetto di recupero della memoria e contro la scomparsa dei piccoli centri, decine gli artisti calabresi in campo. Presto anche altri comuni della zona coinvolti

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Da una quarantina d’anni si è diffuso in Calabria il costume di dipingere con monumentali affreschi le mura, gli esterni dei palazzi, i portoni dei paesi con l’auspicio di dare loro nuova linfa vitale. Non è un’operazione semplice, ma pare che l’idea, oramai ben radicata, stia dando i suoi frutti. Uno degli ultimi esempi è quello di Vena di Maida, frazione arbëreshe del comune di Maida fondata, affidandosi ad alcune fonti, nella seconda metà del Quattrocento, nell’ambito della diaspora albanese dai Balcani successiva alla conquista turca di Costantinopoli e alla morte dell’eroe Giorgio Castriota Scanderbeg, capo della rivolta contro gli Ottomani.

Da qualche mese, Vena di Maida ospita un percorso artistico a cielo aperto che rimembra e magnifica le sue antiche tradizioni albanofone.
Il murale – da non confondere col deturpante graffitismo – è un’opera d’arte pubblica offerta alla collettività. Ma è anche una forma di comunicazione che, ridando tono a strutture e angoli disabitati, interloquisce più direttamente con le classi rurali, coi ceti meno avvezzi agli incontri con l’arte, e che sovente si fonda su una chiara connotazione sociale e ideologica.

In principio fu Diamante

La vicenda dei murali – o murales – in Calabria cominciò già nel 1981 quando a Diamante, comune dell’Alto Tirreno Cosentino, partì la cosiddetta Operazione Murales su spinta del pittore Nani Razetti e col placet del sindaco di allora Evasio Pascale. Fu una scommessa vincente: oggi, con oltre trecento affreschi a illuminare i suoi vicoli, Diamante è una tra le cittadine più dipinte d’Italia e tra le località turistiche di maggiore notorietà della Calabria e dell’intero Meridione.
Nel corso di questi ultimi quarant’anni, l’impresa adamantina ha registrato svariate repliche quasi sempre sul solco di quella onesta ottica di valorizzazione, salvaguardia e riqualificazione dei luoghi.

Una delle opere nei vicoli di Diamante (foto “Diamante Murales 40”)

Discorsi ben conosciuti e una terminologia che è stata adottata anche dalla politica e di cui, purtroppo, talvolta ci si riempie la bocca – e così diamo senso al precedente “quasi sempre” –, ma che eticamente, e forse pure fiabescamente, convergono verso quel desiderio comune di riabitabilità dei luoghi, di far sì che essi siano riguardati, nel duplice senso suggerito da Franco Cassano ne Il pensiero meridiano: di avere riguardo, cura dei posti e di tornare a guardarli veramente come luoghi vivi e non come presepi da percorrere un festivo all’anno; luoghi palpitanti che ancora potrebbero dare all’umanità che ospitano.

Murales: arte e memoria alla portata di tutti

Sia chiaro: consci che queste iniziative non debbano essere vissute col furore della apologia del “piccolo mondo antico” e che i nostri non sono né la sede né il tempo per confezionare un giudizio su un’operazione ancora nuova, possiamo sostenere senza tema di smentita che, anche tramite i moderni mezzi di comunicazione sociale, per il suo forte impatto e la sua carica popolare l’arte del murale permette a una platea sempre più vasta di conoscere luoghi mai sentiti prima e che fino a non troppi decenni fa soltanto una ridotta cerchia di eletti – studiosi, viaggiatori, persone fornite di una cultura specifica – poteva essere in condizione di conoscerli.

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Altre due porte coinvolte nel progetto a Vena di Maida

In una visione di ampliamento, di omogeneità della conoscenza, perciò, questo è di certo uno strumento valido – non l’unico, non il principale, non il solo possibile da mettere in atto, seppur tra i più semplici e immediati – per non lasciare scivolare negli inghiottitoi della storia paesi spopolati e ruderi che un tempo hanno conosciuto “altra vita e altro calore”, per dirla con Cesare Pavese, e per impedire che essi possano entrare – e con ottime probabilità restare, sino alla perdita della memoria storica – nel lungo elenco dei paesi fantasma, termine tanto alla moda che piace ai fotografi della domenica che in quei luoghi abbandonati da Dio e dagli uomini non ci vivrebbero neppure per ventiquattro ore.

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Liliana, l’ultima abitante di Cavallerizzo (foto Alfonso Bombini 2021)

In buona sostanza, la sana e non propagandistica operazione di riqualificazione dei luoghi non può che avere un doppio obiettivo, uno a medio e uno a breve termine: quello di attrarre nuovi possibili abitatori e quello di fare restare i prodi, ultimi abitatori indigeni, ché «restare è un’arte, un’invenzione, un esercizio che mette in crisi le retoriche delle identità locali», come afferma l’antropologo Vito Teti nel suo Nostalgia (Marietti, Bologna 2020).

Vena di Maida da Dumas padre ai murales

E pure questa volta abbiamo divagato. Ritorniamo perciò a Vena di Maida, centro che oggi conta circa ottocento abitanti e che, sotto i Borbone, tra il 1831 e il 1839 fu comune a sé, breve parentesi entro la quale però a visitarla fu, nel suo fortuito passaggio a dorso di mulo in Calabria dell’autunno del 1835, da Alexandre Dumas padre che strabiliò dinanzi alla bellezza del costume tradizionale delle donne venote. Quella sosta oggi è ricordata con una targa affissa sull’antico caseggiato dirimpetto alla Chiesa arcipretale di Sant’Andrea Apostolo.

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Una delle Porte d’artista a Vena di Maida

Nell’estate del 2022 la piccola comunità arbëreshe – una delle trentatré tuttora presenti in Calabria –, grazie al patrocinio del Comune di Maida e alla direzione artistica di Massimo Sirelli – artista poliedrico, diplomato in Digital e Virtual Design all’Istituto Europeo di Design di Torino, autore di recente di una serie di murali a tema magnogreco tra Bivongi, Cinquefrondi, Locri e Monasterace per celebrare il cinquantenario del ritrovamento dei Bronzi di Riace –, è stata coinvolta in un progetto che ha visto undici artisti dipingere le porte del paese con linea guida la sua identità albanese.

Le porte d’artista a Vena di Maida

Porte d’artista è il nome del progetto che, sempre la scorsa estate, ha interessato altri due paesi del Catanzarese, Sersale e Uria (frazione di Sellia Marina), e che in questi giorni sta aggiungendo un’altra tappa: Marcellinara. Tra gli artisti, tutti calabresi, coinvolti nel progetto, oltre Massimo Sirelli: Antonio Burgello, Marco “Moz” Barberio, Claudio “Morne” Chiaravalloti, Vincenzo “Zeus” Costantino, Martina Forte, Andrea “Smoky” Giordano, Immacolata Manno, Alessia Moretti, Roberto Petruzza e Maria Soria.

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Un’altra porta dipinta nella frazione albanofona di Maida

Tra i murali freschi di tinteggiatura per le stradine di Vina (questo il toponimo arbëreshë di Vena di Maida) si riconoscono la veste tradizionale che piacque a Dumas, l’aquila nera a due teste della bandiera albanese, figlia diretta del sigillo di Scanderbeg, ma anche immagini contemporanee come quella che ricorda il glottologo di Cirò Marina Giuseppe Gangale.

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Il ritratto di Giuseppe Gambale

Dopo Verbicaro, Rogliano, Favelloni Piemonte, Plataci – comune del Pollino i cui affreschi sono improntati pure sulla sua cultura arbëreshë –, San Pietro Magisano, Sant’Agata del Biancodi recente dipinta con un magnifico ciclo murale dedicato a un suo figlio illustre, lo scrittore Saverio Strati –, un altro paesino calabrese gioca la carta dell’arte di strada per scongiurare il rischio che secoli di incontri, commistioni etniche e linguistiche e tradizioni uniche possano essere spazzati via e che il degrado originato dall’abbandonato fisico dei luoghi possa cancellarne la memoria.

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