D’accordo su tutto, tranne che sul Pd: l’unità finta dei democrat calabresi

Lo spauracchio di un nuovo commissariamento ufficiale lascia spazio a uno ufficioso all'insegna del volemose bene. Perché a dettare la linea da queste parti è sempre il Nazareno. Ma la realtà è un'altra e i ras locali pensano già a come contrattaccare

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L’unità, che bella cosa, era pure il nome del giornale di famiglia. L’istituto del commissariamento, invece, è un male antidemocratico. Per il Pd nazionale sono due verità incontrovertibili, a patto che in gioco non ci sia la Calabria. Sotto al Pollino, l’unità diventa un diktat tartufesco, il commissariamento un’arma da brandire alla bisogna.
Il congresso regionale, già celebrato, e quelli provinciali, che si svolgeranno dal 18 febbraio, sono lì a dimostrare la relatività di tutte le cose dem. Un osservatore esterno, ad esempio, potrebbe domandarsi perché mai, in una comunità democratica come quella del Pd, l’unità diventi necessariamente una sorta di obbligo ineludibile di stampo leninista.

Missione unità: tutti con Irto

È avvenuto anche in occasione dell’elezione del nuovo segretario regionale, Nicola Irto, imposto dai vertici romani e poi accettato – non sempre con entusiasmo – da tutti i maggiorenti locali. A Irto il Nazareno ha affidato un mandato chiaro: realizzare l’«unità» pure nelle federazioni provinciali e nei circoli cittadini. Il segretario, ormai da settimane, è al lavoro per ridurre al minimo i conflitti e arrivare a «sintesi» in ogni territorio, con l’obiettivo di schierare candidati «unitari» in tutti i congressi e di ridurre a zero le faide e, quindi, i problemi per Roma.

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Nicola Irto

Le preoccupazioni del Nazareno

Il Nazareno, infatti, segue sempre lo stesso modus operandi: liquidare la pratica Calabria senza conseguenze e, in caso di rischi troppi alti, affidare la guida del partito a persone di assoluta fiducia come i commissari esterni.
Il Pd regionale, dalla sua nascita, ne ha avuti tre – Musi, D’Attorre e Graziano –, tutti arrivati con la regola d’ingaggio di mettere ordine nei vari «feudi» regionali (copyright: Irto). Missione sempre fallita: il partito era ed è tuttora balcanizzato.
Una consapevolezza di tutte le segreterie dem, sempre pronte a prendere le distanze dalla “democrazia” interna del Pd calabrese. Così, ecco i commissari a fare il coperchio di una pentola a pressione; così, adesso, ecco Irto, il candidato unico benedetto da Roma, e i congressi in perfetto stile sovietico.

Ma quale democrazia reale

«L’unità è un valore, ma solo se è vera. Qui invece la si impone per evitare scandali», sostiene un autorevole rappresentante istituzionale del Pd. Si fa presto a dire quali scandali: le primarie farlocche, i pacchi di tessere nelle mani dei ras locali, i candidati controversi per parentele o frequentazioni. La cronaca politica (e giudiziaria) degli ultimi anni ha fornito molti esempi che in qualche modo possono aver giustificato le azioni dei vari Bersani, Zingaretti, Letta e via dicendo.

Unità fake

Quella predicata e realizzata è solo un’unità posticcia, un fake politico; un’unità imposta a chi poteva scegliere di evitare commissari peggiori. Irto, in fondo, è stato accolto di buon grado: giovane, moderato, con una buona esperienza alle spalle, aperto al dialogo e al compromesso, mai divisivo. In più, meno di un anno fa era stato candidato governatore con la benedizione di tutto il partito calabrese, prima di essere silurato dall’area Orlando-Provenzano (quindi l’intervista a L’Espresso e le accuse a un partito sempre più «in mano ai feudi»).

È probabile, tuttavia, che l’unità attorno a Irto, più che reale, sia stata tattica: il modo migliore che i big locali hanno trovato per togliersi di torno Graziano, il commissario capace di inanellare una lunga serie di disastri elettorali.
Le alternative poste in modo implicito dal Nazareno, infatti, erano solo due: l’accordo (Irto) o il regime speciale (Graziano). L’unità diktat e il commissariamento arma, appunto.

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Stefano Graziano

La guerra nelle federazioni

Sono state queste le opzioni in gioco anche nelle varie federazioni locali, torri di Babele in cui ogni corrente continuerà a perseguire i propri scopi.
A Cosenza si arriverà a un congresso con un vincitore già designato dopo una guerra muscolare tra il commissario uscente, Francesco Boccia, e i vari capataz provinciali. Alla fine, l’ha spuntata proprio l’ex ministro, che è riuscito a imporre Maria Locanto a dispetto dei desideri dei vari Adamo, Bruno Bossio, Guccione e Iacucci, che sostenevano Vittorio Pecoraro.

Pare che Boccia, per vincere la partita, abbia messo i dirigenti locali di fronte al classico aut aut: o Locanto o rinvio del congresso, cioè ancora commissariamento. Si può chiamare unità di partito? Non proprio, anche perché è poi saltata fuori la candidatura dell’outsider Antonio Tursi, che potrebbe catalizzare il voto degli scontenti.

Vibo a Di Bartolo

A Vibo sembravano pronti ad andare ai materassi, ma anche qui sarà congresso unitario con un unico candidato, il ventenne Giovanni Di Bartolo. Il suo avversario, Sergio Rizzo, pochi giorni fa ha annunciato il ritiro sottolineando l’importanza di «seguire la linea tracciata» da Irto. L’esito, però, non nasconde la realtà di un partito lacerato dalle tensioni interne, come dimostra l’atteggiamento ondivago dell’ex consigliere regionale Luigi Tassone, candidato, poi sostenitore di Di Bartolo, poi ricandidato e infine di nuovo al fianco del futuro segretario. «È un’unità di facciata, perché tutti i dirigenti hanno capito che, senza una soluzione comune, toccherà ancora al commissario», conferma uno che conosce bene le dinamiche in atto tra i dem vibonesi.

Analisi, questa, che trova riscontri nella guerra per la segreteria cittadina. Francesco Colelli, sostenuto da Tassone, sfiderà Claudia Gioia, rappresentante dell’area del consigliere regionale Raffaele Mammoliti. Tassone e Mammoliti non possono certo essere definiti due amiconi e, secondo più di un osservatore, venderanno cara la pelle.

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Raffaele Mammoliti

La vendetta di Falcomatà

Sarà un congresso dall’esito scontato anche a Reggio, ma il futuro segretario provinciale, Antonio Morabito, si troverà a guidare un partito lacerato. Secondo gli accordi romani, la scelta del candidato unico toccava a Giuseppe Falcomatà. Il sindaco metropolitano (oggi sospeso) si sarebbe però visto bocciare tutti i nomi proposti, per poi essere quasi costretto a dire sì a Morabito, la cui famiglia è storicamente vicina a Irto. E adesso c’è chi giura che, presto, Falcomatà potrebbe passare al contrattacco. La città dello Stretto non è insomma il regno dell’armonia sognato da qualcuno.

Giuseppe Falcomatà

Lotta dura a Catanzaro

Fervono le trattative anche a Catanzaro, dove nemmeno la presenza di Boccia avrebbe sortito effetti ecumenici. Fino all’ultimo verrà tentata una mediazione tra i due candidati in campo, Salvatore Passafaro, sostenuto dai circoli cittadini, e Domenico Giampà, appoggiato dai consiglieri regionali Ernesto Alecci e Mammoliti.
Finora è stata una lotta senza esclusione di colpi e carica di veleni, con l’area di Passafaro che ha anche accusato la commissione di garanzia di strane manovre nella suddivisione dei collegi per il voto e Giampà inflessibile nella volontà di non fare un passo indietro per favorire un candidato di superamento. «Nessuno vuol trovare una mediazione, vogliono la guerra», commenta un esponente del Pd cittadino.

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Salvatore Passafaro

Il clima generalizzato è questo. A Crotone lo scontro al congresso provinciale è stato evitato solo al fotofinish: Sergio Contarino si è ritirato per lasciare campo libero a Leo Barberio. Pace fatta, dunque? No, perché la contesa si è solo trasferita a un livello più basso, al congresso cittadino. Annagiulia Caiazza, corrente Barberio, sfiderà Mario Galea, area Contarino.
Del resto, è una fatica di Giobbe tenere unito ciò che non lo è. Sembra di vederlo, Irto, mentre implora il suo partito con la battuta cult dell’ultimo film di Sorrentino: «Non ti disunire!». Ma ci vorrebbe proprio la mano di Dio.

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