Dalla curva del San Vito-Marulla fino ai paesi più poveri dell’Africa. La storia della Terra di Piero comincia sugli spalti di un campo di calcio, dentro una moltitudine di persone che si sentono comunità. Ragazzi uniti non solo dalla fede per la squadra della propria città, ma probabilmente legati anche da un insopprimibile insofferenza verso le ingiustizie. E se hai questo fuoco dentro, allora il tuo posto è accanto agli ultimi.
Il loro leader era Piero Romeo e oggi Sergio Crocco spiega che senza quel ragazzo generoso e sfortunato, la Terra di Piero non ci sarebbe. Non ci sarebbero i pozzi realizzati in centro Africa, le scuole per i bambini e le bambine della Tanzania o del Madagascar, né il parchi solidali costruiti a Cosenza, e nemmeno il sostegno alle vecchie e nuove povertà di casa nostra.
La Terra di Piero oggi rappresenta una delle realtà più vivaci nella galassia del Terzo settore, intervenendo capillarmente sui numerosi aspetti attraverso cui si disvela il disagio, la fatica del vivere, la sofferenza sociale, dai progetti in Africa, fino alla distribuzione di pasti alle famiglie in difficoltà nel corso del lockdown (ma anche successivamente).
Il viaggio in Africa con Padre Fedele
«L’Associazione nasce pochi giorni dopo la morte di Piero – racconta Crocco – all’inizio in modo spontaneo, quasi naturale, per dare corso e continuità agli ideali e ai progetti che avevano animato la sua vita: la mensa dei poveri e l’aiuto alle popolazioni della Repubblica Centrafricana». Forse è proprio quel viaggio nel buco nero della miseria africana, fatto da Piero Romeo assieme a Sergio Crocco, Paride Leporace e Padre Fedele ad essere una sorta di seme. L’associazione si struttura, si spoglia piano dello spontaneismo iniziale, diventa organizzazione che attrae volontari, chiama donne e uomini generosi, individua i campi di intervento e mobilita risorse e intelligenze per costruire solidarietà.
I primi passi della Terra di Piero
I primi passi furono rappresentati dalla realizzazione di pozzi nella Repubblica Centrafricana. Il progetto prendeva il nome di “Pozzo farcela”, coniugando l’ironia e la leggerezza con l’impegno solidale. Ma quello fu solo l’inizio.
Il “mal d’Africa” aveva contagiato quelli della Terra di Piero e i volontari tornarono per costruire scuole, dormitori, mense in Madagascar, Namibia, Senegal e Tanzania. Si tratta di progetti ed interventi che hanno visto i volontari impegnati nel bonificare lebbrosari, edificare luoghi per imparare e giocare, superando le barriere architettoniche. Infatti da un certo momento in poi la Terra di Piero si concentra sulla tematica della disabilità. E lo fa a suo modo: rimboccandosi le maniche e costruendo luoghi praticabili da tutti i bambini, anche quelli meno fortunati.
Nasce il Parco Piero Romeo, nel cuore della città, il primo luogo di gioco interamente fruibile da tutti. Oggi quel parco, soprattutto nel corso della bella stagione, è animato dall’allegria giocosa dei bambini. Ma Crocco sul terreno dell’impegno a favore dei disabili, ci tiene a sottolineare un progetto passato forse sotto silenzio, quello della realizzazione presso dieci lidi balneari, sei sul Tirreno e quattro sullo Ionio, di pedane e carrozzine che consentono ai disabili di raggiungere il mare. A tale scopo si è anche provveduto a formare i bagnini.
Non solo Parco dei nonni
E proprio di fronte al Parco Piero Romeo, presto potrebbe sorgere il Parco dei Nonni, attorno alla struttura, proprietà del Comune, che in passato ospitava un bar e che adesso diventerà una trattoria inclusiva, dove lavoreranno come cuochi anche ragazzi down.
La Terra di Piero è una fabbrica di idee, dalla quale escono produzioni teatrali, progetti, impegno concreto. Come la “spasera di coperte” che Maria, calabrese d’adozione e volontaria, sta preparando assieme a molte altre persone. Si tratta di realizzare coperte fatte a mano, da vendere per farle «diventare mattoni per costruire scuole in Tanzania e provare a salvare le bambine dall’infibulazione grazie allo studio».
Maria ha conosciuto la Terra di Piero per vicende personali ed è rimasta sedotta dal coraggio e dalla generosità di quel mondo fino a scegliere di restare e impegnarsi anche lei. «Sergio mi ha affidato la cura del progetto contro l’infibulazione ed è nata l’idea di realizzare così tante coperte da riempire piazza Fera. Abbiamo coinvolto in questo progetto diverse altre realtà solidali e quando saremo pronti esporremo i nostri prodotti che diventeranno banchi e scuole per le bambine africane, perché il sapere può cambiare le cose». Ci sarà presto una “spasera di coperte”, annuncia Maria, che non è calabrese ma il dialetto l’ha imparato bene. E che ha imparato pure che la solidarietà può avere le sembianze di una coperta.
Questo articolo fa parte di un progetto socio-culturale finanziato dalla “Fondazione Attilio e Elena Giuliani ETS”. Cosenza sarà per tutto il 2023 Capitale italiana del volontariato. Attraverso I Calabresi la Fondazione intende promuovere e far conoscere una serie di realtà che hanno reso possibile questo importante riconoscimento.