Il concetto di “liquidità” che caratterizza la nostra epoca è stato brillantemente elaborato dal sociologo Zygmunt Bauman. Secondo Bauman, la contemporaneità offre ai cittadini sempre meno riferimenti e certezze, mentre anche i diritti fondamentali soccombono alle regole del libero mercato. La sanità pubblica in Calabria è un ottimo esempio di passaggio dallo stato solido allo stato liquido. Prima di altre Regioni, in Calabria si è avviato il processo di “alleggerimento” dell’intero comparto sanitario, anteponendo i principi contabili al diritto alla cura.
Il sistema sanitario calabrese, già lontano dall’eccellenza, è stato sottoposto ad una pesante cura dimagrante fatta di chiusure, tagli lineari, depotenziamenti e blocco delle assunzioni, che – tra l’altro – non ha affatto migliorato la situazione finanziaria. Tra gli effetti di questi processi, le strutture sanitarie, sempre più a corto di personale e macchinari efficienti, hanno visto crescere le liste d’attesa fino a negare la possibilità di curarsi tempestivamente. In un contesto di grande incertezza e smarrimento, un cambiamento (forse irreversibile) è avvenuto: la sanità privata ha monopolizzato il “mercato” degli esami diagnostici e delle visite specialistiche.
Fare sistema o fregare il sistema?
La favola del pubblico e del privato che in ambito sanitario “fanno sistema insieme” si fa sempre più fatica a raccontarla (ed ascoltarla). I massimalisti del neoliberismo vorrebbero addirittura un mercato concorrenziale tra sanità pubblica e sanità privata, delegando il potere di scelta ai pazienti-consumatori. Le ambiguità e le contraddizioni di un approccio di questo tipo sembrano evidenti: come può il diritto universale alla salute conciliarsi con le logiche del profitto e la volubilità del mercato? Nell’ultimo ventennio si è già assistito al perverso tentativo di aziendalizzare la sanità pubblica, creando un sistema ibrido che stimola la commercializzazione della salute e che restituisce dei risultati non proprio incoraggianti.
La cura Scopelliti
La cura Scopelliti, basata sullo smantellamento degli ospedali territoriali con la promessa (mai realizzata) di creare strutture assistenziali intermedie, ha aperto voragini nell’offerta dei servizi erogati dalla sanità regionale. Nelle strutture pubbliche, come soluzione alle conseguenti lunghe liste d’attesa, la prassi è divenuta re-indirizzare i pazienti verso la sanità privata convenzionata, che si è posizionata in maniera predominante sul mercato. Essendo parte integrante ed adottando la stessa tariffazione del Sistema sanitario regionale (comprese le esenzioni ticket), le organizzazioni della sanità privata non perdono occasione per ribadire il loro soccorso alla sanità pubblica, musica per le orecchie di quelli che “ben venga il privato, se il pubblico non funziona”.
Sanità, Calabria nel gioco dei privati
L’impatto con la realtà avviene quando le strutture private convenzionate raggiungono il tetto delle prestazioni annuali rimborsate dalla Regione ed allora, o chiedono al paziente di pagare il prezzo intero, o decidono di sospendere temporaneamente i servizi, alimentando così una sorta di circolo vizioso. La sanità privata convenzionata, tra l’altro, ha la facoltà di scegliere à la carte quali prestazioni erogare, pertanto, si concentra negli ambiti che richiedono un numero esiguo di personale qualificato ed un rimborso conveniente da parte della Regione. Tutte logiche che mal si conciliano con il principio universalistico del diritto alla cure.
L’emorragia di personale sanitario
Una delle principali motivazioni del collasso della sanità pubblica calabrese è sicuramente la penuria di personale: tra 2009 ed il 2020, il blocco delle assunzioni ha provocato una diminuzione del 18% del personale sanitario pubblico, che equivale a 2.674 operatori in meno. In aggiunta alla migrazione sanitaria dei pazienti, anche medici ed infermieri, stanchi di doppi turni e vessazioni, hanno avviato un esodo verso altre Regioni e verso la sanità privata convenzionata, che, nello stesso periodo, ha visto aumentare il personale sanitario del 15%.
Il limite delle assunzioni
Ai rigidi paletti fissati dal Piano di Rientro si è aggiunta la negligenza dei commissari ad acta, che non si sono preoccupati di assumere neanche quando i parametri statistici lo avrebbero permesso. Gli effetti a medio-lungo termine saranno forse irreversibili. Scarso appeal della Regione e concorsi che vanno “a vuoto” rappresentano il mantra del commissario Occhiuto, ma neppure una inversione di tendenza ed una maggiore attrattività permetterebbero alla Calabria di recuperare il terreno perso. Infatti, anche il nuovo ministro della Salute Orazio Schillaci ha confermato di non voler mettere mano al limite delle assunzioni che fissa il tetto massimo del personale sanitario ai livelli del 2018, prevedendo dal 2025 una riduzione della spesa sanitaria fino ai livelli pre-Covid.
Il PNRR? Altro passo verso la privatizzazione
Le misure finanziate dalla Missione 6 del PNRR non preannunciano alcun cambio di passo, la sanità pubblica sembra destinata ad essere travolta da una aggressiva privatizzazione dell’intero sistema. Infatti, gli investimenti sull’edilizia sanitaria e sull’acquisizione di apparecchiature, lasciano scoperto il nervo del capitale umano. Affinché il PNRR sortisca qualche effetto positivo bisognerà reclutare molte unità supplementari di personale sanitario, ma nulla si prevede in questo senso.
In Calabria, la nuova geografia sanitaria prospettata dal Piano del commissario Occhiuto offre spunti per nuove incertezze: una programmazione nell’ottica di “portare a casa” risorse da iscrivere sui capitolati di bilancio, piuttosto che sull’analisi dei fabbisogni sanitari e dello status quo delle strutture esistenti.
Sanità, la Calabria a conti fatti
I numeri rendono difficile immaginare un funzionamento immediato ed a pieno regime delle nuove strutture assistenziali territoriali. 61 Case di Comunità e 20 Ospedali di Comunità da attivare entro il 31 dicembre 2026, traguardo assai improbabile se si pensa che, nella maggior parte dei casi, non esiste neppure uno studio di fattibilità preliminare per la realizzazione delle opere. La messa in funzione delle nuove strutture assistenziali richiederebbe inoltre diverse unità supplementari di personale: a conti fatti, (al netto del personale da integrare negli ospedali propriamente detti) bisognerebbe inquadrare almeno 350 infermieri e 120 operatori socio sanitari, senza contare medici, assistenti sociali e personale amministrativo.
L’impossibilità di attivare i servizi con risorse proprie potrebbe spingere la Regione ad affidarsi ancora di più ai privati. Infatti, un particolare non trascurabile è che gli ospedali di comunità e le case di comunità sono modelli particolarmente affini ai settori che la sanità privata convenzionata predilige: riabilitazione, esami diagnostici e visite specialistiche. Ad altre latitudini già si osserva questa dinamica: la Regione si occupa dell’edilizia sanitaria ed i servizi vengono affidati a cooperative, medici a gettone e sanità privata convenzionata, una modalità ormai collaudata per “fare sistema insieme”, mentre l’accesso alle cure, sempre più liquido, inizia già ad evaporare.
Enrico Tricanico