Il quadro ormai è delineato: Occhiuto fila più o meno liscio, con la sola eccezione di alcune “sviste” (del suo staff o della Commissione parlamentare antimafia?) nel collegio Sud, mentre i suoi avversari a sinistra si contendono la palma del “nuovo” e della “purezza”.
Ma Amalia Bruni e Luigi de Magistris possono aspirare, al massimo, alla certificazione dell’usato sicuro, tipica dei venditori d’auto degli ultimi anni dello scorso secolo.
Uno sguardo più approfondito rivela che, in realtà, tra le due coalizioni c’è una certa permeabilità, costituita da personaggi di primo piano, spesso con storie e provenienze simili, che si sono collocati più a seconda della convenienze (cioè per massimizzare i propri voti) che in base a istanze reali di rinnovamento. Questa transumanza è visibile nel collegio di Cosenza, che è il più determinante sia per le dimensioni sia perché gli equilibri del capoluogo, in cui si svolgeranno le Amministrative, risulteranno centrali negli assetti futuri della politica regionale.
Le contraddizioni di de Magistris
La voglia del nuovo deve fare sempre i conti con la realtà, che in Calabria genera contraddizioni vistose.
La prima contraddizione riguarda lo schieramento di De Magistris, che nel collegio Nord ha due nomi: Giuseppe Giudiceandrea e Felice D’Alessandro.
Iniziamo da Giudiceandrea, ex consigliere regionale e figura forte della sinistra cosentina, passato dalla sinistra radicale al Pd.
La sua candidatura era data per certa fino a meno di una settimana dalla presentazione delle liste del re di Napoli. Poi, quasi a sorpresa, il ritiro, annunciato dallo stesso Giudiceandrea dalla propria bacheca Facebook con una motivazione a dir poco ambigua: lui avrebbe troppi voti, che impedirebbero la quadra tra i candidati in più liste.
Giudiceandrea fuori per fare spazio ad altri
In altre parole, l’ex consigliere sarebbe stato candidato in Dema, dove già ci sono due candidati piuttosto forti: Mimmo Talarico, sodale del quasi ex sindaco di Napoli sin dal 2010, e Ugo Vetere, sindco di Santa Maria del Cedro, già in quota Pd e poi vicino a Carlo Tansi. L’alternativa, per lui, sarebbe stata la candidatura in de Magistris presidente, con il rischio di far ombra ad Anna Falcone, costituzionalista, ex accademica dal passato socialista e dall’attuale impostazione vicina alla sinistra radicale.
Che sia così lo ribadisce la doppia candidatura della stessa Falcone a capolista nel collegio Nord e in quello Centro. È evidente che lo staff dei Masanielli miri a farla passare comunque.
Il dietro le quinte che riguarda Giudiceandrea, autoesclusosi con grande intelligenza politica, sarebbe anche un altro: il suo passato legame con Mario Oliverio e il Pd. Nulla di male in questo, riferiscono i bene informati, tanto più che l’ex consigliere dell’amministrazione Oliverio ha bene operato e non ha strascichi giudiziari.
Anzi, è stato protagonista di strappi anche coraggiosi: chi non ricorda, al riguardo, la lite sui vitalizi con Nicola Adamo?
La sua esclusione sarebbe stata quindi dettata dalla voglia di proporre novità all’elettorato.
Lo stesso principio, tuttavia, non vale per altri. È il caso di Felice D’Alessandro, sindaco uscente di Rovito, candidato in Dema, che può essere definito nuovo solo perché non ha mai fatto parte del Consiglio regionale. Sebbene, c’è da dire, ci avesse provato: si era candidato nel 2020 in Io resto in Calabria, la lista “presidenziale” di Pippo Callipo, in cui aveva ottenuto 3.600 preferenze, di cui più di 700 nel capoluogo.
D’Alessandro per tutte le stagioni
Per il resto, D’Alessandro ha una storia fatta di legami col Pd e i suoi big più forte di quella di Giudiceandrea.
Di lui si ricorda una serie di vicinanze: dapprima a Carlo Guccione, poi a Mario Oliverio, poi a Ferdinando Aiello (il quale, per un certo periodo, è stato vicino a Giudiceandrea, che avrebbe addirittura convinto a entrare nel Pd), quindi a Nicola Adamo, ancora a Franco Iacucci e, infine, a Sandro Principe, che non è più formalmente nei dem ma ne resta un ispiratore carismatico.
Sempre a proposito di Principe, può destare qualche interesse un altro retroscena: D’Alessandro, che non ha mai nascosto il desiderio di diventare sindaco di Cosenza, sarebbe stato indicato dal big rendese per la corsa a Palazzo dei Bruzi.
In pratica, l’aspirante sindaco è stato per un breve periodo il quarto incomodo nel delicatissimo gioco a tre del centrosinistra cosentino, in cui si sono disputati la candidatura a primo cittadino Franz Caruso, Bianca Rende e Giacomo Mancini.
Sappiamo com’è andata a finire: la quadra è stata ricomposta male, perché sono rimasti in corsa Caruso e Rende e Mancini ha dichiarato l’appoggio all’avvocato di fede socialista.
In questo contesto, a D’Alessandro non sarebbe rimasto che schierarsi con Caruso come aspirante consigliere, col rischio non infondato di finire tra i banchi dell’opposizione. A questo punto, la scelta della Regione, per non stare fermo un giro, è stata quasi obbligata. Ma non nel Pd, dove coi suoi voti avrebbe potuto fare il portatore d’acqua, ma con la coalizione di de Magistris, dove potrebbe invece pesare di più.
Un terrone è per sempre
La seconda contraddizione, verificatasi nel collegio Centro, è più piccola, roba di puro folclore cultura- politico. Riguarda Amedeo Colacino, avvocato molto noto nel comprensorio lametino ed ex sindaco di Motta Santa Lucia.
Il nuovismo di Colacino risale all’inizio del decennio e si risolve nella sua infatuazione per il neborbonismo, sfociato in una battaglia giudiziaria bizzarra contro il Museo Lombroso di Torino. Inutile, per quel che serve qui, ricostruirla nel dettaglio: basti solo dire che il Comune di Motta, fiancheggiato da tutte le associazioni neoborboniche e dallo stesso Aprile, ha perso in Corte d’Apello e in Cassazione e che l’attuale sindaco del paese lametino, ha accantonato ogni velleità combattiva.
Interessa molto, invece, la vicinanza di Colacino a Orlandino Greco, all’epoca consigliere regionale, che per un certo periodo aveva guardato con molta curiosità e altrettanta benevolenza alle battaglie identitarie dei “terronisti”, al punto di far approvare una mozione al consiglio regionale e di interessare il Comune di Cosenza attraverso Mimmo Frammartino, allora suo sodale nei banchi dell’opposizione.
Piccole cose, ci mancherebbe, ma che danno la misura di una certa vicinanza politica. Nel percorso a dir poco originale di Colacino figura anche la successiva adesione al Movimento 24 agosto-Equità territoriale di Pino Aprile, che di recente ha ritirato il proprio appoggio a de Magistris e si è spaccato al suo interno.
Se i presupposti sono questi, tutto lascia pensare che la candidatura di Colacino in Dema sia un modo per sterilizzare la presenza, a dirla tutta non fortissima, degli apriliani.
Stesso discorso, nel collegio Nord, per Mario Bria, medico cosentino che i più ricordano come battagliero consigliere provinciale dei Verdi alla provincia di Cosenza durante la prima amministrazione Oliverio.
Vicinissimo all’epoca all’ex governatore, Bria si è eclissato dagli spalti provinciali per riemergere proprio col Movimento di Aprile, per il quale scaldava già i motori.
Il rifugio in Dema è per lui una scelta quasi obbligata, visto che il suo pacchetto di voti non avrebbe avuto valore in un partitino prossimo alla polverizzazione, almeno qui in Calabria.
Tiriamo le somme
Il concetto chiave su cui sembrano muoversi i due schieramenti a sinistra è quello dei vasi comunicanti: chi è abbastanza forte o ha obblighi politici a cui non si può dire di no va con la Bruni, chi appena può giocarsi la partita è con de Magistris.
Di sicuro, la lista cosentina del Pd è impraticabile per chiunque, perché blindata attorno a tre big: Mimmo Bevacqua, Giuseppe Aieta e Graziano Di Natale.
I tre sono forti, ma dei tre il più forte resta Bevacqua. Aieta, su cui pesa un’inchiesta non proprio irrilevante per corruzione elettorale e voto di scambio, ha perso l’appoggio di Oliverio e il fortino della “sua” Cetraro, di cui è stato a lungo sindaco.
Di Natale, di cui sono più che noti i rapporti parentali con l’ex europarlamentare Mario Pirillo, dovrà misurarsi nella lista principe della coalizione di Bruni, a differenza del 2020, quando aveva potuto valorizzare al massimo i propri voti in una lista fiancheggiatrice.
Tutto questo senza fare i conti con l’oste: il presidente uscente della Provincia di Cosenza Franco Iacucci, che tenta, secondo molti, la corsa di fine carriera con la candidatura alla Regione. Ma, secondo gli addetti ai lavori, saprebbe comunque il fatto suo, potendo contare comunque sull’aiuto di Adamo e Guccione.
Il centrosinistra cosentino è diventato un blob, che condiziona non poco il collegio più grande e popolato della Calabria.
E sortirà un terribile effetto boomerang: la candidatura di Nicola Irto, già consigliere più votato nel 2020, andrà alle stelle grazie a due fattori. Cioè il suicidio dei big cosentini, che rischiano di essere gambizzati dagli ultrà di Oliverio, e il mancato chiacchiericcio antimafia, che di questi tempi non è davvero poco.
C’è sempre uno più puro che ti epura, diceva il compianto Pietro Nenni ai socialisti più intransigenti. Sbagliava: la purezza è scomparsa da un pezzo. Anche in politica.