Risse a chiamata, violenze tra le mura domestiche, danneggiamenti e vandalismi. E poi furti e rapine, risalendo la scala della gerarchia del crimine fino al narcotraffico e all’associazione mafiosa. È un mondo complesso quello dei minori che finiscono nei guai con la giustizia: un mondo che, anche in Calabria, sta “ridefinendo” i propri confini, dopo il lungo periodo di “cattività” seguita allo scoppio della pandemia da Covid, sui binari di una violenza “gratuita” che vede i minori come protagonisti attivi e passivi. Quello che registrano le statistiche e che gli operatori della giustizia minorile (magistrati, avvocati, assistenti sociali, terapeuti) riscontrano ogni giorno, è infatti un preoccupante aumento dei casi di violenza “spicciola”, soprattutto tra coetanei.
Le risse organizzate
«La convivenza forzata e prolungata dovuta al Covid – filtra dalla procura minorile di Reggio Calabria – ha esasperato gli animi di tutti, e ha reso evidenti quei conflitti nascosti in tante famiglie. Dalla riapertura abbiamo riscontrato un sensibile aumento di aggressioni e violenze maturate all’interno delle mura domestiche ai danni dei più giovani. Violenze e aggressioni che poi si ripropongono anche fuori da casa». E così, nei fascicoli che transitano negli uffici del tribunale minorile reggino, si nota un preoccupante aumento di un fenomeno prima marginale: gli appuntamenti per le risse.

A volte basta pochissimo, uno sguardo a una ragazza, una parola sfuggita tra i denti, un tamponamento. Tutto può funzionare da detonatore, e una volta che la miccia ha preso fuoco fermarsi diventa molto complicato. Come nel caso della maxi rissa di Campo Calabro, prima periferia di Reggio Calabria. Lo scorso febbraio, la piazza centrale del paesino affacciato sullo Stretto, fu infatti teatro di un vero e proprio scontro tra due improvvisate bande di giovanissimi (quasi tutti minorenni).
In quella occasione, una banale questione di cuore tra adolescenti aveva provocato uno tsunami partito con un appello in chat che aveva finito per coinvolgere diverse “comitive” che si erano presentate all’appuntamento a bordo di scooter e minicar con corredo di mazze e catene. Una sorte di sfida all’Ok Corral recitata tra lo sgomento dei residenti e finita con diversi contusi al Pronto Soccorso.
Le “sciarre”
E poi le sciarre nei bar, che a Reggio ormai esplodono con cadenza sempre più frequente. L’ultima in ordine di tempo, appena una manciata di giorni fa in occasione di Halloween: esplosa in un locale del centro ha finito per coinvolgere anche gruppi di persone che erano estranee alla vicenda ed è costata un ricovero con prognosi di 20 giorni per un ventenne colpito sul viso con una bottiglia rotta. E qualche giorno prima un’altra sciarra sul lungomare che vedeva coinvolti gruppi di giovanissimi, immortalati in un video diventato virale su youtube mentre si lanciano tavoli e suppellettili varie gli uni contro gli altri tra le urla dei passanti, che ha portato il sindaco della città a richiedere al Prefetto una riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza.
I figli di ‘ndrangheta
E se le violenze “spicciole” tra minori si spingono oltre i confini consueti, in Calabria e in provincia di Reggio in particolare, dove l’oppressione delle consorterie di ‘ndrangheta pesa di più, una fetta dei reati che finiscono per coinvolgere i più giovani, riguarda quelli legati al crimine organizzato. Sono diversi infatti i casi di giovani, per lo più adolescenti, coinvolti, loro malgrado, nelle dinamiche criminali mafiose. Cresciuti a “Paciotti e malandrineria” spesso vengono inseriti fin da giovanissimi alla periferia della cosca, con compiti che però possono anche diventare importanti.
Come nel caso di un adolescente di Palmi che qualche anno fa, con il resto dei parenti più prossimi blindati in galera da sentenze pesantissime per mafia, si ritrovò suo malgrado a fare il “lavoro” dei grandi. Era lui, avevano scoperto i carabinieri, che si era presentato ad un imprenditore cittadino chiedendo un “fiore” per i parenti in galera. Una “sottoscrizione” da 5000 euro per pagare gli avvocati e aiutare le famiglie dei carcerati per mafia. E fu sempre il ragazzo catapultato nel ruolo del boss ad aggredire il figlio minorenne dell’imprenditore che si era rifiutato di pagare il pizzo al clan.
Nella rete dei clan
Accanto ai “figli di ‘ndrangheta” poi – i minori che crescono in ambienti fortemente condizionati dalle dinamiche del crimine organizzato finendo spesso per rimanerne invischiati – gli operatori della giustizia minorile si sono trovati ad affrontare un rinnovato interesse delle cosche verso quei minori che non vengono da famiglie legate a doppio filo con il crimine organizzato, ma che galleggiano in un mondo fatto di disinteresse e solitudine.

È a loro, registrano gli inquirenti, che i boss si rivolgono per il lavoro sporco legato soprattutto al traffico di stupefacenti e ai danneggiamenti. «A volte – annotano amaramente gli investigatori – per coinvolgerli basta dimostrare un minimo interesse nei loro confronti. Farli sentire coinvolti in un progetto, seppure dalle dinamiche criminali». L’ultimo caso in ordine di tempo risale a pochi giorni fa: durante un blitz dei carabinieri a Ciccarello, popoloso quartiere della città dello Stretto, i militari hanno fermato un diciassettenne che custodiva due scacciacani a salve, una manciata di proiettili calibro 12 e della marijuana.