La legge è uguale per tutti. Per alcuni è più uguale che per gli altri. È il paradosso che vive la città di Reggio Calabria. In trappola. Sospesa, proprio come la maggior parte dei suoi principali esponenti politici. In un momento cruciale, in cui servirebbero guide stabili, ma, soprattutto, una visione anche per la gestione dei fondi del PNRR.
E, invece, l’amministrazione comunale galleggia, naviga a vista. E si rende protagonista di scelte quantomeno discutibili, costituendosi parte civile in alcuni processi contro gli amministratori e non in altri.
I presunti brogli elettorali
È accaduto appena pochi giorni fa anche nell’udienza preliminare che vede imputato il consigliere comunale e capogruppo del Partito Democratico a Palazzo San Giorgio, Antonino Castorina, accusato dalla Procura di presunti brogli elettorali nel corso delle elezioni del settembre 2020. In quell’occasione, nel raggiro che avrebbe architettato Castorina, risulterebbe anche il voto di un centinaio di anziani che in realtà non si erano mai recati al seggio. Persino persone decedute, secondo l’impostazione accusatoria sostenuta dai pm coordinati dal procuratore Giovanni Bombardieri.
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Uomo forte del Pd, Castorina, con rapporti intensi anche con il partito romano. È considerato «promotore, organizzatore e capo indiscusso» di un’associazione per delinquere finalizzata a «commettere più delitti in materia elettorale» finalizzati ad ottenere l’elezione in consiglio dello stesso Castorina. Tra gli imputati c’è pure l’ex presidente del Consiglio comunale Demetrio Delfino (oggi assessore comunale), accusato, assieme al segretario dell’ufficio elettorale Antonio Covani, di abuso d’ufficio in relazione all’autonomina di Castorina a componente della commissione elettorale.
Il caso Miramare
La costituzione come parte civile di Palazzo San Giorgio contro chi avrebbe truccato le consultazioni appare il minimo sindacale. Allo stesso tempo rappresenta un paradosso politico e amministrativo il fatto che l’Ente non si sia costituito parte civile (come avrebbe dovuto fare altrettanto doverosamente) anche contro il suo sindaco, Giuseppe Falcomatà, anch’egli del Partito Democratico, condannato appena poche settimane fa anche in appello nell’ambito del cosiddetto “Caso Miramare”.
Anche i giudici di secondo grado, infatti, hanno riconosciuto la colpevolezza di Falcomatà e della sua ex Giunta per l’affidamento di una parte dell’ex albergo Miramare, immobile di pregio della città, alla semisconosciuta associazione Il sottoscala, dell’amico imprenditore Paolo Zagarella.
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In quel processo, scatenando le ire delle opposizioni, Palazzo San Giorgio non è stato così solerte come avvenuto nel processo contro Castorina. E oggi quella scelta stride ancora di più dopo la condanna in appello che ha fatto ripartire la sospensione nei confronti di Falcomatà, lasciando, nuovamente, in sella il facente funzioni Paolo Brunetti, nominato vicesindaco in fretta e furia poche ore prima della condanna di primo grado.
Nei giorni successivi, la macchina propagandistica di Falcomatà ha lanciato la crociata contro la Legge Severino, un tempo sostenuta dal Pd. Dall’Ufficio Stampa della Città Metropolitana sono partite diverse mail con l’adesione di svariati sindaci dell’hinterland reggino, che chiedono l’abrogazione della legge che impone la sospensione in caso di condanne, anche non definitive. Qualcuno si è poi anche smarcato da tale manovra.
Reggio in ostaggio, la protesta
Per il medesimo caso, è stata invece assolta in appello l’ex assessore Angela Marcianò, unica a scegliere il rito abbreviato e grande accusatrice di Falcomatà.
In città, quindi, è caos politico, con un’amministrazione che pare alla deriva, senza una rotta chiara su quasi alcun aspetto. Dalle opere, fino agli eventi e alle luminarie di Natale.
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Il malcontento cresce e appena pochi giorni fa corso Garibaldi, strada principale della città, è stato teatro di un corteo che ha avuto una riuscita che forse neanche gli stessi organizzatori si aspettavano. Ad animare la protesta, che chiedeva le dimissioni in blocco della maggioranza, il centrodestra. Ma per le strade del centro si sono ritrovati in circa 500, molti dei quali senza una tessera di partito. Segno evidente di uno scollamento che gli ultimi eventi hanno sancito tra la cittadinanza e la sua classe dirigente.
La corsa alla poltrona
Il vuoto politico è percepito dai cittadini. Ma è percepito anche da chi vuole tentare di formarsi o riformarsi un ruolo amministrativo. E così, negli ultimi giorni, fioccano le (auto)candidature, tra uomini nuovi (o presunti tali) ed esponenti che le istituzioni le hanno già animate. Con risultati altalenanti.
Tra questi, l’imprenditore Pino Falduto, assai noto in città e già componente della maggioranza che sosteneva Italo Falcomatà negli anni ’90. Si propone ora (con un non meglio identificato dream team) come panacea dei mali di Reggio, per la sua resurrezione.
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Il suo annuncio segue di pochissimi giorni l’auto-candidatura del medico ed editore Eduardo Lamberti Castronuovo, già candidato nel 2007 e sconfitto malamente da Peppe Scopelliti. Nella sua carriera politica ha svolto anche il ruolo di assessore provinciale. E il suo nome compare (pur senza mai essere stato indagato) nelle conversazioni di Paolo Romeo, considerato un’eminenza grigia della masso-‘ndrangheta, che lo indicava (millantando o no, non è dato sapere) come suo uomo.
Insomma, la girandola è iniziata. E Reggio Calabria guarda tutto ciò proprio come un ostaggio guarda quella piccola luce che filtra da dietro la porta della propria cella. Senza capire di cosa si tratti realmente.