Giustizia: tutti i referendum, quesito per quesito

Non solo elezioni comunali nel weekend: urne aperte in tutto il Paese per riformare il sistema giudiziario. Le ragioni dei sostenitori del sì e quelle dei contrari, con la spiegazione di ognuna delle schede su cui pronunciarsi

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Per i radicali, in prima fila da sempre, i referendum sulla giustizia non sono proprio una novità.
Tuttavia, ora c’è un elemento politico inedito: la convergenza della Lega, che ha sostenuto la raccolta delle firme per i quesiti,
Ancora: rispetto agli anni ’80 l’opinione pubblica è mutata profondamente.
Non c’è più l’effetto choc della vicenda di Enzo Tortora.

Enzo Tortora, l’uomo simbolo dei referendum sulla giustizia

In compenso, le recenti controversie sull’Ordine giudiziario hanno avuto una fortissima esposizione mediatica. Testimoniata, tra l’altro, dal successo dei libri dell’ex capo dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara e da Alessandro Sallusti, direttore di Libero.
I cittadini dovranno votare i cinque quesiti sulla giustizia approvati dalla Corte Costituzionale lo scorso 22 febbraio.
Cosa accadrà se vinceranno i sì?

Referendum Giustizia vs riforma Cartabia

Prima di procedere, occorre chiarire un passaggio: in caso di vittoria dei sì, il sistema della giustizia subirà comunque delle modifiche incisive.
Tuttavia, il Parlamento e il governo sono già all’opera su un progetto di riforma complessiva della giustizia (la riforma Cartabia).
Come si rapporta questo progetto coi quesiti referendari?

La ministra della Giustizia Marta Cartabia, impegnata nella riforma della Giustizia

In alcuni casi, la riforma ignora i problemi posti dai quesiti. In altri, li affronta ma con minore durezza e solo in uno replica la richiesta dei referendari.
Vediamo come.

Primo quesito: incandidabilità (scheda rossa)

La scheda rossa affronta in maniera diretta i rapporti tra magistratura, politica e pubbliche amministrazioni.
Il quesito mira all’abolizione delle norme che vietano di candidarsi o, se eletti, di restare in carica (o comunque continuare a ricoprire incarichi pubblici) ai condannati in via definitiva per gravi reati dolosi.
Inoltre, si propone di abolire la sospensione dagli incarichi pubblici prevista nei confronti dei condannati in primo grado per i medesimi reati.
Che succede se vince il sì?
In questo caso, decadenza, incandidabilità e sospensione non avverrebbero più “in automatico”, ma sarebbero decise dal giudice caso per caso.

Scheda del primo quesito referendario: l’incandidabilità

I sostenitori del sì citano soprattutto i casi (a dire il vero non pochi) di amministratori locali condannati, quindi sospesi, in primo grado e poi prosciolti nei livelli successivi.
I sostenitori del no, al contrario ventilano il pericolo che i condannati per gravi reati, soprattutto di mafia, continuino a fare politica.
Il problema reale, forse, è dato dal “caso per caso”. Ovvero, dalla discrezionalità lasciata nelle mani del giudice.
Comunque, in caso di vittoria del sì non resterebbe il vuoto perché il codice penale, prevede per vari reati l’interdizione dai pubblici uffici.
Sull’argomento la riforma Cartabia non prevede niente.

Secondo quesito: limiti alle misure cautelari (scheda arancione)

La proposta incide sui rapporti tra magistratura e cittadini indagati.
A questi le misure cautelari si applicano in tre casi, disciplinati dal Codice di procedura penale: pericolo di fuga, alterazione delle prove e ripetizione del reato.
Se vince il sì, sarà eliminata l’ipotesi di ripetizione del reato.
I referendari mirano, con il quesito, a eliminare gli abusi nell’applicazione delle misure cautelari, soprattutto della carcerazione preventiva.
I sostenitori del no, invece, citano alcuni reati costituiti da comportamenti ripetuti: stalking ed estorsione, per esempio, o alcune forme di truffa.

 

Scheda del secondo quesito: le misure cautelari

Il tentativo di riforma, comunque, si legittima su un dato numerico forte: negli ultimi trent’anni circa trentamila cittadini sono stati sottoposti ingiustamente a misure cautelari. E tutt’oggi un terzo dei detenuti è tale perché in attesa di giudizio.
Anche su quest’argomento la riforma Cartabia tace.

Terzo quesito: separazione delle carriere (scheda gialla)

La separazione delle carriere è un altro cavallo di battaglia dei radicali.
Se vince il sì, i magistrati non potranno più passare dai ruoli inquirenti a quelli giudicanti. Dovranno scegliere all’inizio della carriera se fare i pm o i giudici.
I sostenitori del quesito sostengono che la carriera bloccata in un ruolo sia una garanzia di imparzialità.
I sostenitori del no temono, invece, che i pm finiscano sotto il controllo diretto del Ministero della Giustizia.
Attualmente, un magistrato può cambiare ruolo fino a quattro volte nella propria carriera.
La riforma Cartabia va nella stessa direzione del quesito ma è leggermente più morbida, perché consente un solo passaggio.

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Scheda del terzo quesito: separazione delle carriere

Quarto quesito: chi valuta i magistrati? (scheda grigia)

La legge, attualmente, prevede che i magistrati siano valutati ogni quattro anni da consigli giudiziari costituiti presso tutte le corti di appello.
I pareri dei consigli devono essere motivati ma non sono vincolanti.
I consigli, inoltre, sono costituiti da tre categorie di giuristi: magistrati, avvocati e docenti universitari. Al momento, solo i magistrati possono valutare i loro colleghi.
Se vince il sì, anche avvocati e accademici potranno valutare i magistrati.
I difensori del sì considerano il quesito una misura anticasta.

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Scheda del quarto quesito: valutazione dei magistrati

I sostenitori del no, al contrario, temono che i membri laici, soprattutto gli avvocati, facciano pesare nelle valutazioni i propri pregiudizi professionali. O, peggio ancora, che i magistrati possano essere influenzati nel loro operato dal fatto di essere valutati da avvocati.
Anche in questo caso, la riforma Cartabia va nella stessa direzione, ma un po’ meno: estende la valutazione ai soli avvocati.

Quinto quesito: elezioni del Csm (scheda verde)

Con questa proposta, i referendari vorrebbero limitare il potere delle correnti.
La legge, al momento, prevede che i magistrati che vogliono candidarsi al Consiglio superiore della magistratura devono raccogliere almeno venticinque firme dei loro colleghi.
Se vince il sì, quest’obbligo viene meno.

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Scheda del quinto quesito: candidature al Csm

I sostenitori del quesito sono convinti, in tal modo, di eliminare gli accordi politici e i negoziati che accompagnano, di solito, le candidature al Csm.
I sostenitori del no reputano che il quinto quesito non cambi di molto la situazione o non considerano le correnti quel gran male.
La riforma Cartabia prevede la stessa cosa.

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