Raganello, 5 anni dopo: guide assolte, ma Gole ancora chiuse

Nell'estate 2018 un fiume di fango si portò via dieci persone. I processi hanno escluso responsabilità degli accompagnatori finora. Ma l'area resta sotto sequestro, al contrario di quanto accaduto dopo tragedie simili al Nord

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Il 20 Agosto di cinque anni fa una piena improvvisa nelle Gole del Raganello si portava via dieci escursionisti, causando il ferimento di altre decine. In quella occasione il Soccorso Alpino calabrese dispiegò tutte le sue energie, impegnandosi in quello che resterà l’intervento di soccorso più lungo e difficile. Come era prevedibile la Procura di Castrovillari avviò delle indagini che si concretizzarono in due inchieste. La prima riguardava l’accusa di omicidio colposo e coinvolgeva anche il sindaco di Civita e due responsabili delle società coinvolte nell’accompagnamento dei turisti quel giorno. La seconda invece si concentrò sulle guide che in generale conducevano il tour della discesa delle gole.

Raganello: due gradi di giudizio, tutti assolti

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Luca Franzese

Questo secondo filone giudiziario si avvia oramai alla conclusione dopo aver affrontato due gradi di giudizio che hanno visto l’assoluzione delle guide e dei soci delle società turistiche perché il fatto non sussiste.
«Dopo essere riusciti ad affermare le nostre tesi circa l’inconsistenza delle accuse alle guide e soci delle società turistiche in primo grado e in appello, ora aspettiamo la Cassazione», spiega Luca Franzese, avvocato e al tempo della tragedia presidente del Soccorso alpino. Franzese in quella circostanza fu tra i primi ad intervenire e a coordinare i soccorsi, trovandosi ad affrontare una emergenza che mai era stata immaginata. Infatti numerose erano state le esercitazioni che i tecnici del Soccorso aveva tenuto nelle gole, ma sempre avevano riguardato il recupero di una ipotetica vittima di un incidente, non una tragedia di quelle dimensioni.

L’esposto delle Guide alpine

A causare il coinvolgimento dei soci e guide delle associazioni che portavano i turisti nelle gole fu un esposto che presentò il Collegio nazionale delle Guide alpine, . Queste da Milano sollevarono, qualche giorno dopo la tragedia, la questione della legittimità di quelle escursioni. Nessuna  delle guide del Raganello aveva, infatti, il titolo professionale di Guida Alpina. In sua assenza, le guide del Raganello non avrebbero avuto l’abilitazione a condurre le escursioni nelle Gole sia per la difficoltà tecnica del percorso sia per la necessità dell’uso di corde e imbraghi per la progressione in sicurezza nel torrente. In sintesi, le si accusava di esercizio abusivo della professione.

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Escursione lungo le gole del Raganello

«L’accusa era completamente infondata ed ingiusta. L’esposto del Collegio delle Guide Alpine fu firmato da chi non era mai stato nella sua vita a Civita e dunque non conosceva le Gole del Raganello. Ci toccò spiegare ai giudici che per quelle escursioni non si poteva applicare la legge 6 del 1989 che obbliga, in terreni particolari di montagna, per gli accompagnatori il titolo professionale di Guida Alpina,. Nel tratto turistico delle Gole non occorreva alcun imbrago, né uso di corde. Di conseguenza, le guide che operavano in quel territorio, in possesso del titolo di Guida Ambientale ed Escursionista non erano assolutamente abusive», afferma Franzese.

Raganello e Marmolada: due pesi e due misure?

Serviva però un parere autorevole a riguardo. Così la difesa delle guide chiamò, come perito di parte, dalla Valle D’Aosta Adriano Favre, maestro guida alpina ed istruttore di guida alpina, di indiscusso valore. Favre discese il Raganello, ispezionando con meticolosità ogni passaggio. E certificò la non applicazione della legge sulle Guide Alpine e la mancata necessità di usare corde ed imbraghi.
La sua perizia finì per risultare determinante nel sostenere la tesi dell’avvocato Franzese. Portò infatti al proscioglimento delle guide del Raganello anche in sede di appello, con sentenza di alcuni mesi fa.

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I soccorsi sulla Marmolada dopo il distacco del ghiacciaio a luglio 2022

Se dunque uno dei filoni d’indagine si avvia verso una conclusione, resta dai giorni della tragedia la chiusura delle gole. Erano state per molto tempo attrazione turistica e fonte economica per i territori circostanti, ma ancora oggi risultano sotto sequestro.
Franzese non si rassegna all’uso nazionale di pesi e misure differenti davanti a tragedie assai somiglianti. Il suo riferimento è alla tragedia della Marmolada, quando agli inizi di luglio dell’anno scorso una valanga travolse e uccise 11 persone.
Dopo le prime indagini, i sentieri che conducono sulla montagna furono riaperti immediatamente e con essi il flussi turistico. Qui invece dopo molto più tempo nessuno si assume la responsabilità di riaprire le Gole al turismo.

Le possibili soluzioni e il dibattito che non c’è

«Eppure – sostiene Franzese – si potrebbe fare. Risulta che la Regione abbiano stanziato cifre importanti per mettere in sicurezza la Gola, attraverso strumenti per monitorare la portata dell’acqua e la collocazione di allarmi. Inoltre, per rendere ancora più sicura la discesa del torrente si potrebbe contingentare il flusso dei visitatori con regole chiare e sicure». In realtà ad impedire di prendere in considerazione l’apertura delle Gole e ridare fiato all’economia del territorio è stata anche una certa arrendevolezza della popolazione. Così come una mancanza di iniziativa dei Comuni e della politica in generale.

«Nel Nord Italia la pressione dell’opinione pubblica, determinata a non accettare la chiusura di interi suoi territori e risorse naturali da una parte, e gli interessi degli operatori turistici dall’altra hanno svolto un ruolo efficace», conclude l’avvocato.
Purtroppo il recente incidente avvenuto sul fiume Lao, evento assai differente per molti aspetti, non aiuta la discussione a riguardo. E invece bisognerebbe affrontarla con l’obiettività necessaria e la sensibilità verso i territori che fin qui è sembrata mancare.

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