Calabrexit: Praia, Aieta, Tortora e quella voglia di Lucania…

L'autonomia differenziata spaccherà il Paese? Per qualcuno sarebbe meglio "passare con il Nord". Del Pollino però: la Basilicata

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«Praja-Ajeta-Tortora. Stazione di Praja-Ajeta-Tortora», un ritornello – con quelle “j” reliquie di un tempo in cui la lingua italiana tutelava i dialetti regionali e non tentava di nasconderli preferendo l’asportazione di parole da altri dizionari – ripetuto dalla voce nitida, senza particolari emozioni, degli altoparlanti della prima stazione di Trenitalia all’interno dei confini della Calabria. Una frase che per tantissimi calabresi emigrati al Nord reca il sapore di casa.
Potrebbe recarlo ancora per poco, però, perché si è riaccesa la questione per cui Praia a Mare, Aieta e Tortora, i tre comuni dell’Alto Tirreno Cosentino, i primi abitati calabresi scendendo verso Sud dal litorale tirrenico, potrebbero in futuro passare ad altra giurisdizione. Quella della confinante Basilicata, appena oltre il corso del fiume Noce che funge da valico fra la Calabria e, appunto, la Basilicata.

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Il Golfo di Policastro, con al centro l’Isola di Dino, visto da San Nicola Arcella

Chiariamo fin da subito: l’iter non è affatto semplice – lo vedremo – e il dibattito va avanti, fra improvvisi picchi e lunghi periodi di quiete, da dieci anni. Ma esiste un comitato civico, denominato Passaggio a Nord Ovest, che promuove il cambiamento. L’argomento principale? La distanza troppo marcata, non solamente sotto l’aspetto geografico, coi centri del potere regionali: Cosenza e Catanzaro.
È così che sullo specchio d’acqua dalle mille sfumature del Golfo di Policastro – bacino condiviso da Campania, Basilicata e Calabria – potrebbe accendersi presto uno scontro destinato a provocare uno scossone nella politica regionale.

Praia, Aieta, Tortora: le ragioni della secessione

All’origine del proponimento una questione oltremodo spiacevole, ovverosia il disastroso depotenziamento, avvenuto a partire dal 2012, dell’ospedale civile di Praia a Mare – l’unico nosocomio dell’area –, passato a essere Centro di assistenza primaria territoriale. Un presidio che nei fatti, strozzato da molteplici sentenze e criticità di varia natura, non ha mai raggiunto alcuna stabilità. Il Centro “sospeso” oggi risulta soltanto un bluff ai danni della popolazione potenzialmente di riferimento; una beffa che dura da una decade. L’apice? Nel 2017, quando la struttura ospedaliera fu “riaperta” in pompa magna alla presenza dell’allora governatore della regione: la più classica ciliegina sulla torta di una vicenda ancora lungi dalla conclusione.

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L’ingresso della struttura sanitaria a Praia

Sta di fatto che, al momento attuale, partendo da Praia a Mare, Aieta e Tortora, l’ospedale lucano di Lagonegro è più facilmente raggiungibile rispetto a quello regionale di Cetraro.
A differenza della rivierasca Praia a Mare e della montana Aieta – oggi parte del Parco nazionale del Pollino e che fino al 1928 inglobava anche il segmento costiero di Praia, poi divenuta Comune a sé –, Tortora confina già con la regione dei desideri, segnatamente con tre comuni della provincia di Potenza: Maratea, Trecchina e Lauria.

Il capitolo turismo

Un altro punto caro al comitato e alla popolazione dei tre centri tirrenici che chiedono l’annessione alla Lucania è il turismo. E in questo tratto dell’antico Sinus Laus, il turismo oggi è lontano parente di quello florido e di qualità della seconda metà del secolo scorso, che pure ha recato ponderosi danni al tessuto sociale e al paesaggio della zona con la sregolata cementificazione e le mirabolanti imprese turistiche abortite nell’arco di poche stagioni. Su tutti, vedi le capanne, le residenze e il ristorante costruiti sull’isola di Dino, difronte alla spiaggia di Praia, negli anni Sessanta per volere nientepopodimeno che dell’Avvocato Gianni Agnelli – che completò l’acquisto dell’iconica isola per cinquanta milioni di lire –, complesso di edifici oggi in irrimediabile stato di abbandono.

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Quel che resta di uno dei due stabilimenti Marlane

Il «degrado antropologico» di questi luoghi «che d’inverno diventano terre di nessuno», come sostiene Luca Irwin Fragale in una accurata analisi dei paesi del Golfo, è il male cronico dell’area, divenuta sempre più marginale e povera dopo la chiusura della Marlane, stabilimento tessile punta di diamante dell’economia locale fin quando non ha disvelato la sua vera faccia, ovverosia quella di fabbrica di veleni causa e concausa di un numero indefinibile di morti.
Il ricordo e la nostalgia dei bei tempi andati – raffrontati alla profonda depressione odierna – aizza la voglia di Basilicata e lo spirito secessionista dei tre centri di questa porzione estrema della regione.

Praia, Aieta e Tortora alla Basilicata: si può fare?

Ma, nei fatti, in Italia è possibile il passaggio di un comune o di una unione di comuni da una regione all’altra?
Il percorso istituzionale è sicuramente erto. Anzitutto occorrerebbe raccogliere un cospicuo numero di firme, incluse quelle dei sindaci e dei membri dei consigli comunali, al fine di richiedere la istituzione di un referendum popolare. La concessione passerebbe dalla Corte di Cassazione. Dopodiché, a referendum ultimato con esito positivo, si dovrebbe attendere il placet delle due regioni interessate.

Il Palazzaccio, sede della Corte di Cassazione a Roma

Ma forse stiamo correndo troppo e questo è un passaggio di là da venire. Di fatti, ancora prima di giungere al Palazzaccio, l’istanza potrebbe dissolversi nel nulla. Non è affatto detto che il partito pro Lucania rappresenti la maggioranza dei praiesi, tortoresi e aietani messi assieme, così come non è scontato che le tre entità condividano le medesime opinioni.

Volontà reale o carenza di attenzioni?

Sulla autenticità del proponimento, di fatti, aleggia più di un dubbio. Oltre che una manifesta e lecita espressione di malessere, l’intenzione di passare alla Basilicata – di certo, absit iniuria verbis, non la regione locomotiva della Penisola – pare in certa misura una provocazione al fine di ricevere maggiori attenzioni da parte del governo regionale, dalla matrigna Calabria, la “Calabria infame”, direbbe il poeta Franco Costabile.

E se Praia, Aieta e Tortora diventassero davvero lucane? L’ipotetico “cambio di casacca”, farebbe perdere alla Calabria, sommando i dati dei tre centri, una fetta di territorio pari a più o meno 130 chilometri quadrati e circa tredicimila abitanti. Si ridurrebbe così ulteriormente una popolazione già spremuta dalla emigrazione e ben al di sotto dei due milioni di abitanti con tendenza, per giunta, in continua diminuzione. E la Calabria perderebbe anche una località, Praia a Mare, che seppur lontana dai fasti di un tempo – la cittadina fu raccontata alla metà degli anni Cinquanta, in uno degli ultimi viaggi della sua lunga e ricca vita, dallo storico dell’arte Bernard Berenson – rappresenta comunque una delle destinazioni turistiche più importanti dell’intera proposta regionale.

Utopie

Secondo il comitato Passaggio a Nord Ovest, riunitosi in questi giorni a Tortora, i tre paesi di questo lembo estremo della Calabria nordoccidentale sarebbero pronti a guadare il Noce per raggiungere nuovi splendori.
Magari non quelli della antica città enotria di BlandaBlanda Julia in epoca romana –, identificata proprio in territorio di Tortora, citata da Tolomeo e Plinio il Vecchio e presente in molte carte geografiche del passato come l’Itinerarium Antonini e la famosa Tabula Peutingeriana.

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Dettaglio di una mappa del 1708 del Regno di Napoli con Blanda, la antica città enotria

Le aspirazioni a Praia, Aieta e Tortora sono meno pretenziose e antistoriche, ma ben più concrete e comprensibili. I tre comuni calabresi – ancora per adesso – aspirano alla normalità. Uno stato che a certe latitudini e in certe periferie della Repubblica assume spesso le fattezze dell’utopia.

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