Pnrr e autonomia: Calabria ancora colonia di Roma?

Sette miliardi di fondi europei in bilico: mentre la politica prova a rassicurare sull'arrivo dei quattrini, resta il problema dei tecnici in grado di progettare gli interventi da finanziare. E. soprattutto, quello dei rapporti tra la Regione e la Capitale

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La litania va risuonando di nuovo in questi giorni. Canto e controcanto: ci state fregando, anzi scippando, ci toccano più soldi e dovete darceli; no, non credete alle bufale, vi daremo tutto il denaro che vi spetta, anzi se fate i bravi ve ne daremo anche di più, ma dovete saperlo spendere. Da una parte i Robin Hood del vittimismo pseudomeridionalista (che per la causa vendono un sacco di libri), dall’altra i campioni del governismo rassicurante (che offrono il loro prestigio istituzionale a salvaguardia dell’ignoranza del popolino).

In mezzo ci sono presidenti di Regione, amministratori locali e cittadini a cui lo Stato italiano e l’Unione europea stanno facendo odorare qualcosa come 82 miliardi di euro senza ancora farglieli toccare. Sono queste le posizioni da cui muove l’eterno dibattito sul rapporto (evidentemente e ovviamente non paritario) tra la Calabria e Roma. La diatriba sulla distribuzione dei soldi del Recovery attraverso il Pnrr ne è l’esempio più recente.

Sette miliardi in ballo

Le vicende degli ultimi giorni. Repubblica, non esattamente un bollettino neoborbonico, venerdì sbatte in prima pagina un titolone di tre parole e una virgola: Recovery, allarme Sud. In estrema sintesi il quotidiano dice che la quota del 40% del Pnrr al Sud è solo «sulla carta» perché alcune Regioni stanno rifacendo i conti sui primi bandi e si sono accorte che la fatidica percentuale viene calcolata «non sul totale delle risorse» che arrivano dall’Europa «ma solo su una parte di queste».

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Ballano 7 miliardi perché, alla luce del calcolo sui fondi complessivi (222 miliardi), dovrebbero essercene 89 e invece sono 82. Seguono alcuni calcoli sulle singole missioni – sono 6 in tutto – e «a scavare», dice Rep, «si scopre» che 2 missioni superano il 40% (53% su infrastrutture e 46% per istruzione), una lo «sfiora» (39% per lavoro e inclusione) e le altre 3 (rivoluzione digitale, verde e salute) sono al di sotto. Rispetto al Pnrr «la media delle 6 missioni fa però 40%». Ok.

Carfagna, Nesci e gi amministratori locali

Il giorno dopo scatta l’intervista riparatoria alla ministra del Sud Mara Carfagna. Che a domanda risponde quello che tutti si aspettano risponda – «i fondi ci sono, il Mezzogiorno dimostri di saperli spendere» – dicendosi «meravigliata da chi dà credito a una ricostruzione così grossolana senza verificarne la fondatezza». Le fa eco nel giro di poche ore la sua sottosegretaria calabrese, Dalila Nesci, che aggiunge che i nostri 82 miliardi sono «al sicuro» ma «è indispensabile l’apporto progettuale degli enti locali».

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Sì, gli enti locali, quelle propaggini periferiche dello Stato in cui sindaci che piangono miseria, maneggiando dissesti con la destra e tracciamenti covid con la sinistra, devono sorbire lezioni di buone pratiche da rappresentanti di sottogoverno che non riuscirebbero a mettere insieme neanche una lista per le Comunali in un paesino dell’estremo Sud. Comunque, al di là della retorica dell’«opportunità storica», dell’«ultima spiaggia» e del «treno» che non ripassa, la dialettica Calabria-Roma non si materializza solo sul Pnrr.

Coloni calabri e palazzi romani

e Un ex governatore come Mario Oliverio, che durante i suoi 14 anni da deputato non si sognava nemmeno certi slogan, a fine carriera ha rispolverato una crociata contro la «deriva colonialista» che dalla capitale ha commissariato prima la sanità per cui non si è mai incatenato – tutti abbiamo immaginato tremare le colonne di Palazzo Chigi – e poi il suo (ormai ex) partito, il Pd. La crociata è finita alle Regionali con la misera percentuale che sappiamo, ben distante da quella di Roberto Occhiuto che del trovarsi a suo agio tra i palazzi romani ha fatto quello che lui chiamerebbe un brand.

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Mario Oliverio aveva promesso di incatenarsi a Roma per porre fine al commissariamento della Sanità calabrese

«Ho avuto a che fare per anni con ministri e leader nazionali, sono il capogruppo di Forza Italia alla Camera, pensate che ora non sappia far valere le ragioni della Calabria con il governo?». Per ora la sua vittoria è servita a Forza Italia a far valere se stessa sul tavolo romano del centrodestra, perché è grazie alla controtendenza calabra che Silvio Berlusconi si può mostrare ringalluzzito a livello 1994 e può ridimensionare Matteo Salvini e Giorgia Meloni.

La ricetta sino-americana di Occhiuto

La vittoria di Occhiuto servirà anche al contrario, avrà un ritorno concreto, da Roma, su quel territorio che lui ora è chiamato a governare? O dobbiamo aspettarci solo altre costosissime perle sul genere video-di-Muccino? Tutto da vedere. Intanto, mentre a Milano Beppe Sala fa la giunta in 5 giorni e si dice «pronto per il Pnrr», il neo governatore ha a che fare – per dire – con le pretese di Nino Spirlì e l’inappagamento di Ciccio Cannizzaro.

Inoltre Occhiuto per ora dispensa in diretta nazionale certe ricette per l’economia calabrese che sembrano un cocktail di turbocapitalismo cinese e liberismo reaganiano poco poco fuori tempo: «Abbiamo un costo del lavoro che è più basso del resto d’Italia. Abbiamo la possibilità – ha detto a Tg2 Post – di attrarre investitori che possano trovare in Calabria un costo del lavoro basso e anche il capitale cognitivo che serve per le loro imprese». Insomma: venite e sfruttateci tutti, vi aspettiamo.

Autonomia differenziata

Non parliamo poi dell’Autonomia differenziata. Se ne discute da anni a seguito delle «iniziative intraprese – riporta il sito della Camera – dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna». Ora il governo l’ha rispolverata inserendola, nottetempo, tra i collegati della Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza. Nel testo Nadef del 29 settembre non c’era, in quello del giorno dopo è comparsa.

Apriti cielo: parlamentari del Sud giurano di non averla votata, politici del Sud si dicono pronti a una nuova battaglia contro il governo. È su questo disegno, che vuole dare più «autonomia» alle Regioni a statuto ordinario evidentemente a vantaggio di quelle che se la passano meglio, che si dovrebbe misurare – più che nel gioco al pallottoliere sui miliardi del Pnrr – la forza politica di chi rappresenta il Sud e la Calabria nelle istituzioni e nei rapporti tra Regioni e Stato centrale.

Il caso Lamezia

E anche su ciò che serve davvero per «spendere bene» i soldi, tutti i soldi che da decenni ormai mette a disposizione l’Ue: i tecnici. Abbiamo bisogno di professionisti che scrivano progetti di qualità e che sappiano gestirne le fasi successive fino alla realizzazione sui territori. Nei nostri enti locali non ce ne sono a sufficienza. Un esempio emblematico arriva da Lamezia Terme: la quarta città della Calabria è riuscita ad essere tra gli 8 progetti pilota in tutta Italia del PinQua (Programma Innovativo Nazionale per la Qualità dell’Abitare).

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Un panorama di Lamezia

C’è in ballo un interessantissimo progetto di rigenerazione urbana (riqualificazione di edifici pubblici e privati, spazi verdi, piste ciclabili) che ha ottenuto un finanziamento di quasi 100 milioni di euro. Dentro ci sono anche soldi del Recovery, però tutto va realizzato e reso fruibile entro il 31 marzo 2026, sennò si rischia di perdere capra e cavoli. Indovinate: sì, c’è il rischio di non farcela, perché il Comune di Lamezia ha una gravissima carenza di personale e ancora oggi, a 7 giorni da un “mini” turno elettorale che ha sanato alcune irregolarità in solo 4 sezioni su 78, non c’è stata ancora la proclamazione degli eletti. A causa di un black out tra istituzioni che parte da e arriva a Roma, nel centro della Calabria la democrazia è sospesa da quasi un anno.

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