Oncomed, chi ha paura del medico buono?

Da anni i pazienti oncologici meno abbienti trovano nello spazio del centro storico di Cosenza dottori volontari che si prendono cura di loro gratuitamente. Ma ora questo avamposto di sanità per tutti è entrato nel mirino di qualcuno...

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Realizzare dal nulla un progetto di solidarietà in un contesto di disagio sociale e senza avere risorse è un’opera ciclopica. Ma è necessaria se lo scopo è la difesa della salute, dove la disuguaglianza fa la differenza tra il curarsi e il non poterlo fare. In questa trincea lavora da anni Oncomed, una realtà di sostegno sociale volontario per la prevenzione e la cura delle patologie oncologiche.
Oggi questa associazione è in affanno, malgrado attorno ad essa sia cresciuto il sostegno di medici e cittadini. «A causa dell’incomprensibile ostilità di qualcuno è assai probabile che saremo costretti a trasferirci», spiega Francesca Caruso, che di Oncomed è stata l’ideatrice e ancora oggi ne è una delle anime.

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Francesca Caruso

La nascita di Oncomed

«Tutto nasce a seguito di esperienze personali, che mi spinsero a proporre ad Antonio Caputo l’idea di dare vita a uno spazio di prevenzione delle malattie tumorali». Caputo, medico oncologo, evidentemente vide in quella proposta un progetto difficile da realizzare, ma necessario e quell’idea divenne anche sua. Altri medici condivisero presto quel progetto e offrirono le loro competenze gratuitamente. Enzo Paolini, a sua volta, diede in uso degli spazi nella città vecchia per realizzare gli ambulatori.
«All’inizio mancava tutto, niente attrezzature, nulla di nulla, poi con le donazioni e con il lavoro volontario dei medici, abbiamo dato vita a questa realtà», racconta ancora Francesca Caruso.

I tempi cambiano

Nasceva così uno spazio dove i cittadini con minori possibilità economiche e che certamente non avrebbero potuto aggirare le lunghe liste d’attesa dalla sanità pubblica rivolgendosi a quella privata, avrebbero trovato interlocutori competenti per visite specialistiche gratuite. Gli ambulatori di Oncomed diventano presto la trincea per chi ha urgenza di diagnosi sicure ma deve fare i conti con le molte facce della povertà, anche quella silente che in questi anni sta divorando quelli che una volta erano i ceti medi. In questo i tempi del Covid hanno lasciato il segno, facendo spesso arretrare chi prima poteva contare su una relativa sicurezza economica, allargando le fasce di povertà. «I pazienti sono cambiati, oggi si rivolgono a noi anche persone apparentemente insospettabili», racconta Caruso.

La banca della parrucca

Ma se la platea del bisogno si è allargata, anche la pattuglia dei medici è cresciuta. Oggi Oncomed è in grado di offrire percorsi diagnostici diversificati e grazie ai medici che gravitano attorno al progetto, fare rete e costruire pure indicazioni terapeutiche.
Questa realtà da qualche tempo ha avuto il riconoscimento anche di Carlo Capalbo, primario di Oncologia del Mariano Santo. Presso il reparto guidato dal medico calabrese che ha lasciato Roma, dov’era professore associato alla Sapienza con incarichi di alta specializzazione all’ospedale Sant’Andrea, per cogliere la sfida della nuova facoltà di Medicina dell’Unical, l’associazione Oncomed ha aperto uno spazio di accoglienza per i malati e le famiglie e ha avviato la “banca della parrucca”, dove le pazienti potranno avere parrucche in comodato d’uso.

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L’oncologo Carlo Capalbo

Oncomed tra minacce e silenzi

Malgrado tutto questo e il ruolo di sostegno alla cittadinanza che questa associazione svolge da tempo, nel quartiere in cui sono ospitati gli spazi dell’ambulatorio, cioè nel cuore del centro storico, qualcuno non gradisce la presenza dei volontari. Da qui l’accanirsi con dispetti, danneggiamenti o qualche minaccia, che presto indurrà gli animatori dell’ambulatorio medico a cercare altrove una nuova sistemazione.

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La sede nel centro storico

«Siamo oggettivamente in difficoltà, trovare nuovi spazi e le risorse per pagare il fitto non è facile, né vorremo abbandonare la città vecchia», conclude Francesca Caruso, ricordando che all’associazione non è giunta alcuna parola dalle istituzioni, se non contatti informali. Un silenzio colpevole, soprattutto quello del Comune, che forse potrebbe trovare spazi dignitosi da affidare a chi è impegnato nella prevenzione e nella difesa della salute dei cittadini.

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