Carzo e Alvaro: le ‘ndrine a Roma da via Veneto a Tor Pignattara

I due calabresi di Sinopoli e Cosoleto avrebbero creato la prima locale di 'ndrangheta nella storia della Capitale. La conquista delle periferie: basso profilo e alti profitti. E una convinzione: «Siamo una carovana per fare la guerra»

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Dai locali del centro a quelli della periferia, dai tram di piazza Risorgimento al traffico infernale della Prenestina, con il sogno nel cassetto di riprendersi i “gioielli di famiglia” che i magistrati del tribunale di Roma gli avevano portato via qualche anno fa. Quello degli Alvaro per la Capitale è un amore antico: è qui che all’inizio del millennio le coppole storte di Sinopoli e Cosoleto sono sbarcate per reinvestire il denaro del narcotraffico ed è a Roma che hanno continuato ad operare indisturbate e fameliche nonostante la pioggia di condanne subite, infiltrandosi nell’economia barcollante della Capitale con montagne di denaro contante.

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Vincenzo Alvaro

Ed è sempre a Roma che, per la prima volta nella storia delle “colonizzazioni” ‘ndranghetistiche, Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro avrebbero varato e gestito la prima locale romana di mafia in qualche modo indipendente dalla casa madre.

La ‘ndrangheta a Roma: c’è posto per tutti

Fu la direzione nazionale antimafia a mettere nero su bianco lo status particolare della città eterna rispetto all’infiltrazione delle cosche del crimine organizzato, non solo di origine calabrese: «A Roma c’è posto per tutti». La Dna si riferiva alla capacità economica sconfinata delle mafie e al fatto che un mercato come quello della Capitale fosse in grado di soddisfare la “domanda” di investimento reclamata dai clan che avrebbero potuto guadagnare senza necessariamente pestarsi i calli a vicenda.

Una carovana per fare la guerra

Uno “status” confermato anche da diversi collaboratori di giustizia che in più occasioni avevano raccontato di come «Roma e Milano non erano state oggetto di colonizzazione, esistevano dei piccoli insediamenti ma fuori dalle grandi città. Serviva per attirare meno attenzione». Uno status che era rimasto granitico nel tempo e che ora, sostengono i magistrati della distrettuale antimafia di piazzale Clodio, sarebbe stato modificato grazie all’intervento diretto della potente famiglia Alvaro che da Cosoleto e Sinopoli avrebbe consentito a Carzo (e alla sua interfaccia economica e finanziaria Vincenzo Alvaro) di inaugurare una nuova cellula autonoma all’interno del raccordo. Anche perché i numeri, c’erano. «Siamo cento di noi – racconterà intercettato dalla Dia nella sua abitazione romana il boss ad un sodale – e siamo una carovana per fare la guerra».

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Murales al Quadraro

Le mani sulle periferie

Nel primo periodo di investimenti, gli uomini degli Alvaro si erano seduti al banchetto degli appalti mettendo i piedi direttamente sul tavolo, e rilevando in pochissimo tempo alcuni pezzi pregiati della storia della ristorazione capitolina – dall’Harris Bar al Cafè de Paris – per poi espandersi puntando comunque a rimanere dentro i confini del centro, alle spalle del Vaticano e tra i vicoletti di Trastevere.

Ora, quella strategia così spregiudicata – e che era costata condanne pesanti ai rappresentanti della ‘ndrangheta a Roma – era cambiata. Gli uomini della montagna, che si erano sistemati in una villetta fuori mano, volevano inabissarsi per evitare di mettere inutilmente in allarme gli inquirenti: «dobbiamo starcene quieti quieti» racconta ancora Carzo ad un medico originario di Reggio ma da anni trasferito a Roma e che il boss rifornisce di cocaina per uso personale. E di strategie il boss venuto da Cosoleto ne aveva imparate tante: la sua scuola era stata il carcere e dietro le sbarre il suo “parco insegnanti” era stato il ghota della ‘ndrangheta calabrese: Antonio e Umberto Bellocco, Pasquale Libri, Domenico Gallico, Francesco Barbaro.

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Operazione antidroga a Primavalle

La ‘ndrangheta a Roma: Primavalle, Prenestino, Tor Pignattara, Quadraro

Da loro, forse, Carzo mutua l’idea di spostare il mirino degli affari verso zone che danno meno nell’occhio. Il giro di società intestate alle solite teste di legno, vira così verso la prima periferia della città, quella densamente popolate dei quartieri popolari, dove le attività commerciali non si contano e se cambiano di gestione non sempre ci si fa caso. Primavalle, nel quadrante nord e poi il Prenestino, Tor Pignattara e il Quadraro a sud est, in un reticolo fuori controllo di società cartiere e “scontrinifici” che veniva buono per investire i soldi del clan. L’idea però è quella di rientrare anche nel salotto buono e l’occasione potrebbe venire dallo sblocco di tre ristoranti (due attorno alle mura del Vaticano, uno nel cuore di Trastevere) che erano stati sequestrati a Francesco Filippone e che «a giorni tornano liberi». Gli agenti della Dia sono arrivati prima.

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