Processo Gotha: «Giorgio De Stefano non è un “invisibile” della ‘ndrangheta»

Per la Cassazione l'avvocato di Reggio Calabria non avrebbe avuto il ruolo contestato dalla Dda nel procedimento sui rapporti fra 'ndrine e massoneria

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Sono perentorie le motivazioni scritte e depositate dalla Corte di Cassazione sul maxiprocesso “Gotha”. Un procedimento scaturito da un’inchiesta con cui la Dda di Reggio Calabria ha indagato e portato a processo la presunta componente occulta della ‘ndrangheta. Si tratta del troncone del procedimento celebrato con rito abbreviato e già approdato all’ultimo grado di giudizio. Il principale imputato era l’avvocato Giorgio De Stefano, considerato un’eminenza grigia della ‘ndrangheta, anello di congiunzione tra la componente militare e i livelli occulti della massoneria deviata.

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La sede della Corte di Cassazione a Roma

La posizione di Giorgio De Stefano

E riguarda proprio la posizione dell’avvocato De Stefano il giudizio maggiormente critico degli Ermellini. Mentre si è ancora in attesa delle motivazioni di primo grado del troncone principale, celebrato con rito ordinario, l’avvocato De Stefano ha scelto di essere giudicato con l’abbreviato. La Cassazione fa sostanzialmente in coriandoli la sua condanna rimediata in appello a 15 anni e 4 mesi di carcere. 

La Suprema Corte, con la sentenza del 10 marzo scorso, ha annullato senza rinvio in relazione a tutti i fatti avvenuti fino al 2005, ritenuti già “coperti” da precedenti pronunce giudiziarie. De Stefano, infatti, con un passato politico in riva allo Stretto, è stato già condannato definitivamente negli anni ’90 per concorso esterno in associazione mafiosa. E poi coinvolto nel cosiddetto “Caso Reggio” che, però, a Catanzaro non ebbe alcun esito.

Per quanto concerne invece i fatti successivi al 2005, la Cassazione ha annullato la condanna nei confronti di De Stefano con il rinvio del caso alla Corte d’Appello per un nuovo processo.

«Illogico»

La Cassazione si sofferma sulla posizione sovraordinata di De Stefano in seno alla ‘ndrangheta, ipotizzata dagli inquirenti. Ed è qui che usa le parole più dure. Nel prospetto accusatorio, infatti, De Stefano sarebbe uno degli “invisibili”, quei soggetti, cioè, superiori all’ala militare della ‘ndrangheta. E quindi capaci di relazionarsi con la massoneria deviata, ma anche con i servizi segreti. Un alter ego di un altro avvocato ed ex politico, l’ex parlamentare Paolo Romeo, condannato in primo grado nel procedimento celebrato con rito ordinario.  

Ma i giudici non ritengono provata tale circostanza, tutt’altro. «Se la struttura invisibile – si legge nella sentenza – deve essere composta da soggetti la cui appartenenza alla ‘ndrangheta è sconosciuta a coloro che compongono la struttura visibile ed operativa del sodalizio criminale, onde evitare che i componenti della struttura invisibile possano essere indicati quali appartenenti al sodalizio criminale da eventuali collaboratori di giustizia, appare illogico sostenere che Giorgio De Stefano potesse contemporaneamente far parte sia della struttura invisibile, sia della struttura visibile ed operativa in qualità peraltro, di capo della cosca De Stefano».

Visibili e invisibili

L’ipotesi accusatoria della Dda reggina considera la ‘ndrangheta in due distinte componenti.  Una “visibile”, operante cioè attraverso metodi “classici” della criminalità organizzata mafiosa e uomini perfettamente “riconoscibili”.  Ed una “invisibile” o “riservata”, collocata al vertice dell’associazione con compiti di direzione e di individuazione delle scelte strategiche dell’associazione unitariamente intesa. Deputata a mantenere i rapporti con apparati istituzionali, imprenditoria e professionisti. Anche attraverso la partecipazione ad organizzazioni caratterizzate da segretezza del vincolo, come la massoneria. Tutto per conseguire l’infiltrazione in apparati istituzionali, con il fine ultimo di mantenere in vita l’associazione.

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L’avvocato Paolo Romeo

E i capi della componente “invisibile” sarebbero stati proprio Giorgio De Stefano e Paolo Romeo. Proprio con riferimento a una conversazione intercorsa tra De Stefano e Romeo, in cui i due parlavano delle elezioni regionali del 2010, la Cassazione mette nero su bianco: «Non si fa alcun accenno all’utilizzo di metodi mafiosi per influire sul voto o ad un intervento della ‘ndrangheta nella competizione elettorale» e «il voler ravvisare in tale conversazione una elaborazione della strategia della ‘ndrangheta unitaria per influire sulla competizione elettorale regionale appare un’evidente forzatura logica». In diversi passaggi, i giudici della Cassazione definiscono «congetture» alcune delle conclusioni cui sarebbero giunti gli inquirenti prima e i giudici della Corte d’Appello poi.

La vicenda dell’ex bar Malavenda

Lo fa anche con riferimento alla vicenda riguardante l’ex bar Malavenda, ubicato alle porte del quartiere Santa Caterina, territorio storicamente controllato dalle cosche De Stefano e Tegano. Su quel bar si sarebbero concentrati appetiti di schieramenti ‘ndranghetistici avversi, che si sarebbero contrastati a suon di bombe e attentati. E, per dirimere la questione, uno dei litiganti, l’imprenditore Nucera si sarebbe rivolto proprio all’avvocato De Stefano, definito “il massimo”.

Ma anche in questo caso, la Cassazione parla di illogicità: «Se la struttura invisibile deve essere composta da soggetti la cui appartenenza alla ‘ndrangheta è sconosciuta a coloro che compongono la struttura visibile ed operativa del sodalizio criminale, onde evitare che i componenti della struttura invisibile possano essere indicati quali appartenenti al sodalizio criminale da eventuali collaboratori di giustizia, appare illogico sostenere che Giorgio De Stefano potesse contemporaneamente far parte sia della struttura invisibile, sia della struttura visibile ed operativa in qualità, peraltro, di capo della cosca De Stefano».

Ma non solo. Se De Stefano è un “invisibile”, perché dovrebbe palesarsi? «Peraltro non si vede perché, stante la assoluta segretezza che avrebbe dovuto ammantare la partecipazione alla ‘ndrangheta di Giorgio De Stefano quale componente della struttura occulta, venendo questa celata anche agli appartenenti al sodalizio criminale, Giorgio De Stefano avrebbe dovuto rivelare tale sua qualità al Nucera, che non è un associato al sodalizio». scrivono i giudici.

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La sede della Corte d’appello di Reggio Calabria

Le date

Per i giudici di Piazza Cavour, non è chiaro «in cosa si sarebbe concretamente sostanziato il contributo arrecato dal De Stefano quale componente della struttura invisibile della ‘Ndrangheta unitaria. Per affermare la sussistenza della componente occulta della ‘Ndrangheta i giudici di appello si sono basati anche su collaboratori di giustizia, le cui dichiarazioni risalgono ad un periodo anteriore al 2006».

Essendo quindi De Stefano già condannato nel cosiddetto processo “Olimpia” per concorso esterno in associazione mafiosa, non può essere considerato colpevole fino al 1991. Scrive la Cassazione: «L’odierno ricorrente non può essere nuovamente processato per il reato di partecipazione alla medesima associazione commesso sino al 1991, essendo irrilevante che in questa sede si contesti al De Stefano la partecipazione alla ‘ndrangheta quale associazione unitaria e non quale partecipazione alla singola cosca, atteso che, stante la unitarietà della ‘ndrangheta, affermata anche nel presente processo, la partecipazione alla cosca vale anche quale partecipazione alla ‘ndrangheta unitariamente intesa, laddove si affermi che tale associazione è unitaria».

Giudicato nel “Caso Reggio”

E, inoltre, De Stefano è stato già giudicato, fino al 2005, nel cosiddetto “Caso Reggio”: un’inchiesta in cui si ipotizzava una sorta di complotto ai danni di alcuni magistrati del distretto reggino, con l’accusa di essere capace di “aggiustare” i processi. Un’inchiesta finita nel nulla. Ma la medesima “qualità” (quella di “aggiustare” i processi) è tra le accuse nel processo “Gotha” che porterebbero a considerare De Stefano uno degli elementi massimi della ‘ndrangheta. Per questo, quindi, l’annullamento senza rinvio della condanna: «Le condotte ed il contributo che sarebbe stato arrecato dal De Stefano alla associazione criminale non cambiano — e già si è detto che è irrilevante che tale contributo venga inteso in un processo come in favore della singola cosca o della associazione unitariamente intesa —, mentre muta la mera qualificazione giuridica di tali condotte» –  scrive la Cassazione.

Le dichiarazioni dei pentiti

Per la Cassazione, i giudici della Corte d’Appello hanno sbagliato a considerare De Stefano colpevole anche per il periodo successivo al 2005. Per farlo hanno utilizzato come riscontro le dichiarazioni dei pentiti che avevano iniziato il percorso di collaborazione prima del 2006: «La Corte di appello, ritenendo non operante la preclusione derivante dal giudicato per il periodo fino al 2005 compreso, ha utilizzato le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia che hanno riferito su fatti collocati in detto periodo e, sulla base di tali dichiarazioni, ha concluso che già in tale periodo il De Stefano rivestiva un ruolo apicale in seno alla componente riservata della ‘ndrangheta».

Ma questo, per gli Ermellini, è stato un abbaglio colossale: «Alla luce di tale conclusione, che si pone in netto contrasto con i precedenti giudicati, ha ritenuto provata la prosecuzione della medesima condotta anche per il periodo successivo; in particolare, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che hanno riferito di condotte successive al 2005 sono state ritenute riscontrate da quelle di coloro che avevano iniziato a collaborare con la giustizia prima del 2006».

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