‘Ndrangheta e narcotraffico: il codice numerico criptato per comunicare

'Ndrine sempre più all'avanguardia. Quella individuata dalla Dda di Reggio in un'operazione che ha portato a 57 arresti è solo una minima parte dei flussi di droga movimentati dai clan

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Comunicavano solo in forma scritta e con un sofisticato codice numerico. E così riuscivano a scambiarsi le informazioni necessarie per inondare poi l’Europa di droga. Cocaina, soprattutto. Ma non solo. Per questo l’inchiesta della Dda di Reggio Calabria si chiama “Crypto”. Perché non è stato affatto semplice per i militari della Guardia di Finanza decifrare le stringhe numeriche che, di volta in volta, i membri dell’organizzazione transnazionale si scambiavano per concordare carichi e cifre del business illecito.

Come nasce l’inchiesta

Sono 57 gli arrestati tra persone finite in carcere e altre agli arresti domiciliari. Accusati di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. L’operazione è stata eseguita tra Calabria, Sicilia, Piemonte, Puglia, Campania, Lombardia e Valle d’Aosta. Contestualmente, i finanzieri hanno dato esecuzione al sequestro preventivo d’urgenza di beni, emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria. Per un valore complessivo stimato in 3.767.400,00 euro.

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Uno degli immobili sequestrati nell’operazione Crypto

Un’inchiesta che prende le mosse da un altro blitz di qualche anno fa: l’operazione “Gerry” consentì nel 2017 di sgominare una complessa consorteria criminale, composta da soggetti di vertice delle ‘ndrine Molé-Piromalli e Pesce-Bellocco. Operanti, rispettivamente, a Gioia Tauro e Rosarno.

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Il lussuoso bagno di una delle case finite tra i beni sotto sequestro

In particolare, nell’ambito della operazione “Jerry” si identificavano gli usuari di utenze ritenute di fondamentale importanza per l’accertamento di un nuovo e diverso fenomeno criminale di rilevante spessore in tema di traffico organizzato di sostanze stupefacenti. Dall’analisi di queste utenze “coperte”, è nata l’inchiesta “Crypto”.

L’organizzazione transnazionale

Sono in tutto 93 i soggetti indagati appartenenti alle famiglie Pesce e Bellocco. Riconducibili alle famiglie Cacciola-Certo-Pronestì, che avevano messo in atto una ramificata organizzazione criminale transazionale volta al traffico di stupefacenti. Caratterizzata da marcati profili operativi internazionali, capace di pianificare ingenti importazioni di cocaina dal Nord Europa (Olanda, Germania, Belgio) nonché dalla Spagna e di “piazzarla” in buona parte delle regioni italiane: Lombardia, Piemonte, Lazio, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia ed Emilia Romagna. Ma anche all’estero, come Malta.

Il modus operandi dell’associazione consisteva nel reperire lo stupefacente dai paesi fornitori. Da lì veniva trasportato a Rosarno, via terra, occultato in autovetture appositamente predisposte e con improbabili “doppifondi”. E successivamente, grazie alla vasta ramificazione dell’organizzazione criminale, venivano rifornite molteplici “piazze di spaccio” italiane.

L’uomo della Dominica

Il gruppo criminale operava a stretto contatto con un cittadino della Repubblica Dominicana, Humberto Alexander Alcantara. Questi tramite la sua attività d’intermediazione, assicurava contatti diretti con fornitori sudamericani stabilitisi in varie parti d’Europa. In Germania, poi, operava anche Domenico Tedesco, residente ad Hattersheim (Germania). Costui forniva appoggio logistico quando i referenti dell’organizzazione si recavano in territorio tedesco. Altro aspetto fondamentale dell’indagine è nei rapporti instauratisi con altre consorterie criminali, in special modo in Calabria e in Sicilia. Tra i gruppi criminali importante era quello del Torinese, che faceva capo a Vincenzo Raso, originario di Rosarno, ma stabilitosi lì. Particolarmente intensi, poi, i rapporti con la città di Catania, grazie a Francesco Cambria, esponente di spicco del “Clan Cappello”. Ma la rete comprendeva anche le città di Siracusa, Benevento e Milano.

È indicativa (e inedita), la creazione di una rotta per far giungere la cocaina anche in territorio maltese. Più nello specifico, nel febbraio 2018, Ivan Meo (soggetto vicino al clan Cappello) e due soggetti non identificati, che facevano da “staffetta”, si recavano, via mare, da Pozzallo a Malta. Lì consegnavano sostanze stupefacenti e, come provento della cessione, Meo riportava in Italia circa 50mila euro, che venivano sequestrati. Le indagini hanno dimostrato, poi, che tra i rosarnesi e le altre associazioni criminali si era creata una vera e propria sinergia. Sebbene nella quasi totalità dei casi le ingenti partite di narcotico partissero dalla Calabria per approvvigionare i vari acquirenti. Quest’ultimi, in alcuni casi, “ricambiavano il favore” provvedendo a rifornire di stupefacente gli stessi rosarnesi. O rifornendo un altro gruppo mediante l’intermediazione degli stessi.

Le comunicazioni criptate

I soggetti, deputati alla pianificazione delle importazioni e al successivo smistamento della droga sul territorio nazionale, operavano in un’ottica prettamente aziendale, che poteva contare sull’utilizzo di SIM tedesche. Ma anche sulla possibilità di recuperare e modificare ad hoc numerose autovetture. Dotate di complicatissimi doppifondi, così da renderle praticamente “impermeabili” ai normali controlli su strada da parte delle Forze di Polizia.

Le indagini hanno cristallizzato l’uso della consorteria di numerose SIM tedesche che, da Rosarno, comunicavano in maniera “citofonica” con altri cellulari con numerazione tedesca sparsi sul territorio nazionale. Per “citofonica” si intende una comunicazione unicamente bidirezionale. Molto difficile, quindi, da essere individuata. Con la decriptazione di tale messaggistica, è stato possibile trarre significative indicazioni sul modus operandi.

Queste SIM senza intestatari rendevano ancor più difficile l’identificazione degli usuari delle diverse utenze. Inoltre, gli indagati comunicavano esclusivamente tramite SMS, evitando che potesse palesarsi la loro voce.Tutto per evitare un eventuale riconoscimento. E spesso utilizzando un molteplice livello di “protezione” costituito da messaggi contenenti codici numerici predefiniti. A ogni lettera dell’alfabeto corrispondeva un numero, assegnato apparentemente senza logica alcuna. Molto complicato, quindi, individuare la “parola 0”, da cui poi tentare di decifrare tutto il resto.

Un fiume di droga

L’inchiesta della Guardia di Finanza ha permesso di arrestare 10 corrieri della droga e di sequestrare circa 80 kg di cocaina, che una volta immessa in commercio avrebbe fruttato all’organizzazione più di 4 milioni di euro. Sequestrati poi svariati chili tra marijuana ed hashish. Inoltre, dall’attività d’indagine è emerso che, tra l’aprile e il novembre del 2018, l’organizzazione criminale ha movimentato, oltre a quelli sequestrati, altri 140 kg di cocaina. Insomma, quella individuata è solo una minima parte dei flussi controllati dalla ‘ndrangheta.

Il pizzino

Nel corso della conferenza stampa di stamattina il procuratore capo Giovanni Bombardieri ha spiegato i problemi incontrati nel corso dell’indagine. «L’interpretazione di questo codice e’ stata davvero molto difficoltosa. Si trattava di messaggi che recavano solamente dei numeri senza nessuna indicazione o punteggiatura. Grazie all’abilità degli investigatori è stato possibile dare un significato a questi numeri, che peraltro oggi hanno trovato riscontro in un pizzino, sequestrato, riportante il codice attraverso cui i numeri vengono abbinati alle lettere».

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I procuratori Paci, Bombardieri e Lombardo insieme agli ufficiali della Guardia di Finanza in conferenza stampa

A fornire ulteriori dettagli i due aggiunti Giuseppe Lombardo e Gaetano Paci. «L’operazione “Jerry” aveva già ricostruito un quadro del narcotraffico internazionale. In quella prima esecuzione erano emerse due utenze criptate che erano state lasciate da parte per poi tornare nell’odierna indagine», le parole di Lombardo. «Il fatto che sia un’indagine per narcotraffico non deve sminuire il senso perché si tratta di indagini che richiedono un approccio e un contrasto di livello molto elevato anche a fronte dei mezzi di natura tecnologica utilizzati», il commento di Paci.

I soggetti per cui è stata disposta la custodia cautelare sono:

1) Alcantara Humberto Alexander, 1976

2) Battaglia Giuseppe, 1972

3) Benzi Gianfranco, 1945

4) Cacciola Giuseppe, 1989

5) Cambria Francesco, 1984

6) Cavarra Francesco, 1960

7) Certo Domenico, 1994

8) Certo Nicola, 1987

9) Coco Orazio, 1978

10) Fedele Rocco Antonino, 1972

11) Fedele Salvatore, 1974

12) Gullace Antonio, 1981

13) Liistro Carmelo, 1990

14) Marigliano Alessandro, 1981

15) Martello Alessio, 1990

16) Mazzei Andrea, 1984

17) Mero Matteo, 1984

18) Modeo Walter, 1975

19) Paladino Marco, 1985

20) Paletta Antonio, 1984

21) Paletta Gennaro, 1990

22) Pati Giampiero, 1980

23) Pati William, 1970

24) Penza Antonio Marco, 1983

25) Pitarà Santo, 1971

26) Pizzo Giulio, 1990

27) Pizzo Maurizio, 1964

28) Porcaro Roberto, 1984

29) Pronestì Bruno, 1979

30) Raso Alessandro, 1972

31) Raso Vincenzo, 1981

32) Scalise Alessandro, 1992

33) Stelitano Antonio, 1982

34) Stelitano Lorenzo, 1986

35) Suriano Francesco, 1979

36) Tedesco Domenico, 1959

37) Trombetta Giuseppe, 1993

38) Varone Francesco, 1987

39) Viola Gianfranco, 1971

40) Vitale Fabio, 1974

41) Vitale Franco, 1977

42) Vitale Giuseppe, 1969

43) Zagame Rosario, 1972

Agli arresti domiciliari, invece,  si trovano:

44) Cacciola Rocco, 1995

45) Chindamo Michele, 1991

46) Cirelli Paolo, 1946

47) Giovinazzo Pasquale,1964

48) Guerra Massimiliano, 1969

49) La Pietra Giorgio, 1978

50) Mazzanti Massimiliano, 1972

51) Meo Ivan, 1988

52) Montagono Stefano,1988

53) Nasso Marialuisa, 1985

54) Pescetto Giuseppe, 1973

55) Pronestì Simone, 1992

56) Talarico Alessandro, 1965
57) Villani Alessandro, 1978

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