I fantasmi del 1428 sono i figli di quelli del 2022: ora la peste, ora la guerra, ora le religioni usate per togliere libertà agli altri. Magica Corsica, mina del Mediterraneo, durezza ispida e fierezza gravida. I pescatori di Bastia guardano all’Italia, quelli di Ajaccio alla Francia. Mari pescosi. E in quel 1428 due marinai dappoco trovarono un prodigio grande: un crocifisso nero, poco oltre la costa. Segno che gli isolani del mare nostrum si conoscono tutti: i mori e i biondi, i musulmani che leggono Gesù nel Corano, gli ebrei convertiti al Dio Trinitario, gli slavi esperti di corde e chiodi, i bestemmiatori che fedeli alla legge del mare salvano ancora anime di tutti i credi, compreso il più arduo di tutti che è quello per l’uomo.
Nassim Mendil dalla Corsica all’Irpinia
A fine anni Novanta, esordisce lì a Bastia uno smilzo e tonico franco-algerino di provincia, provenzale di nascita e maghrebino di cultura. Si muove, sbotta, dribbla; nei periodi di forma è appuntito, in quelli di stanca, tra giovanili e tanta panchina e tribuna, appare gracile. Diagnosi da osteopata: deve farsi le ossa. E Nassim Mendil approda ad Avellino a inizio millennio, una big della C che all’epoca tutti pensano possa svezzare il ragazzo molto più di ogni cadetteria francese.
Fa anche il suo, seppure ancora pochino: più continuità fisico-atletica, i primi goal, l’abbozzo della ricerca in un ruolo più preciso sul campo. Fine stagione, rotta Lecco: la provincia disabituata al calcio dopo una piazza tipicamente meridionale, quanto a pressioni, attaccamento, agonismo, sembrerebbe la pietra tombale. Non uno slancio, ma una definitiva dispersione. In otto gare, Mendil dimostra che tutto sommato c’è, che non ha senso languire ancora nel calcio di terza serie, che un biglietto di sola andata per un salto di categoria sa e può meritarlo.
Cosenza sulle montagne russe
E allora eccolo lì: 2001/2002, Cosenza Calcio. Squadra bella e strana il Cosenza di fine Novanta, inizio anni Zero, squadra di quando s’era più giovani. Squadra per sempre. Dal ritorno in serie B, a un anno appena dalle lacrime di Padova e con Marulla che sembrava una volta di più il Dioscuro degli spareggi salvezza, fino al fallimento, al Crati si faranno cinque stagioni sulle montagne russe. Una farsa l’ultima, un travaglio la prima (ingresso sprint, che dalla trasferta al Delle Alpi in poi si avvita in una salvezza stentata), tre onorevolissimi campionati in mezzo. Per larghe fatte di campionato tra le prime, poi pareggi, pareggi, pareggi e piazzamenti e prestazioni che però si rimpiangono soprattutto oggi, quando la salvezza low cost anno per anno è il piatto in tavola. Si mangia, sì, senza troppo piacere né appetito.
Nassim Mendil idolo all’improvviso
A Cosenza, in ogni caso, c’è il miglior Mendil di una carriera di circa quindici anni: dieci reti, falcate, pallonetti, diagonali, tocchi sotto misura da due passi, persino qualche veronica e stacchi di testa. Normale che il ragazzo, dopo una lunga incubazione, si senta pronto per il gran salto, se si concede di dribblare un portiere prima di insaccare o se indifferentemente muove novanta minuti dalla fascia al centro e viceversa.
Gli arriva persino la chiamata dalla nazionale maggiore algerina, all’epoca allenata dal vecchio fantasista di casa, Madjer, tra i migliori giocatori africani di sempre. In grado col Porto, dalla metà degli anni Ottanta ai primi Novanta, di vincere tutto: Coppa dei Campioni, Intercontinentale, campionati. Altro bello spirito libero, col carniere pieno di goal di tacco, calci di punizione, e coppa d’Africa levata al cielo, proprio ad Algeri, nel 1990. Baggio, Vialli, Berti, Mancini, Giannini e gli altri piedi buoni azzurri degli anni Novanta mancarono omologa impresa a Roma, ai Mondiali, pochi mesi dopo; beffati da un serafico Goicoechea e da un invecchiato quanto ribaldo Maradona, nel catino del San Paolo.
Il gran rifiuto
Mendil rifiuta: il ragazzo vorrebbe le giovanili francesi e poi giocarsi un posto tra i Blues, freschi campioni del mondo e d’Europa, prima di essere accappottati nel mondiale nippocoreano del 2002. È l’inizio della fine? Forse che si, forse che no: D’Annunzio docet. E il nostro riparte con una girandola bella a metà: Reggina, Catania, Spezia, Ascoli, Salernitana. Altro che Coupe du Monde!
Intanto, però, prima dei titoli di coda rivediamo ancora il bel Mendil di Cosenza in qualche spiraglio anconetano, nella patria del Collettivo e della Curva Nord. Una promozione dalla C2, una sofferta quanto meritata salvezza l’anno dopo. Infine, dilettantismo ancora, ormai più (ri)partenze che false partenze. Peccato. Ci piace pensarlo intorno allo stagno di Rognac, dove ci fu una colonia ligure e il mare alto sferza calette e rilevato ferroviario. Che si rimangia quel rifiuto o coccola di nuovo l’esplosione del tifo cosentino nella gabbia dello Scida dopo un due a zero nel recupero, o il profetico tiraggir in riva allo Stretto di Messina. Che tempi!
Domenico Bilotti