Un anno e dieci mesi di reclusione. Questa la richiesta formulata dai pm Walter Ignazitto e Nicola De Caria nei confronti del sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà. Il processo è quello sul cosiddetto “Caso Miramare”, con cui la Procura reggina persegue il presunto affidamento diretto dell’ex albergo di lusso effettuato dalla Giunta Comunale alla semisconosciuta associazione “Il Sottoscala”.
Gli imputati e le richieste dell’accusa
Secondo l’accusa, tale «regalo» sarebbe stato effettuato in virtù del rapporto di amicizia tra Falcomatà e il noto imprenditore reggino Paolo Zagarella. Questi è ritenuto il dominus della compagine associativa. Nel corso del suo esame in aula, Falcomatà ha definito Zagarella solo «un buon conoscente». Ma sarebbe notorio, a Reggio Calabria, il rapporto datato tra i due. E consolidato attraverso diverse serate danzanti nelle discoteche più “in” della città.
Ma il pm Ignazitto è stato netto: «Il ‘Miramare’ doveva andare a un amico del sindaco: Paolo Zagarella. Non solo non si è astenuto, ma è stato il vero registra dell’operazione». Tuttavia, mano “leggera” nella richiesta: un anno e dieci mesi, considerando lo stato di incensuratezza.
Per tutti gli altri, la Procura ha chiesto un anno e otto mesi di reclusione. Oltre a Falcomatà e a Zagarella sono imputati anche l’ex segretario generale del Comune, Giovanna Acquaviva, l’ex dirigente Maria Luisa Spanò, l’assessore in carica ai Lavori Pubblici e candidato al Consiglio regionale, Giovanni Muraca, e gli ex assessori Saverio Anghelone, Armando Neri, Patrizia Nardi, Giuseppe Marino, Antonino Zimbalatti e Agata Quattrone.
Per tutti, quindi, la Procura di Reggio Calabria ha richiesto la condanna.
I fatti contestati
Al centro dell’inchiesta, la delibera della Giunta comunale con cui l’Amministrazione affidava all’imprenditore Paolo Zagarella, titolare dell’associazione “Il Sottoscala”, la gestione temporanea del noto albergo Miramare. Da tempo chiuso.
L’affidamento della gestione della struttura di pregio, notissima in città, sarebbe avvenuto in maniera diretta a Zagarella. Questi, infatti, è uno storico amico del sindaco Falcomatà e gli avrebbe anche concesso, in forma gratuita, i locali che avevano ospitato la segreteria politica nella campagna elettorale che porterà l’attuale primo cittadino alla schiacciante vittoria sul centrodestra nella corsa verso Palazzo San Giorgio.
Una delibera, quella del 16 luglio 2015, che sarebbe stata approvata a maggioranza con l’assenza dell’allora assessore, Mattia Neto. Che infatti non verrà coinvolto nell’inchiesta del pm Walter Ignazitto. Ma secondo alcune testimonianze raccolte nel corso del dibattimento, l’associazione “Il Sottoscala” avrebbe avuto la disponibilità dell’immobile di pregio anche prima della votazione della delibera.
«Con Zagarella, Falcomatà aveva un debito di riconoscenza» hanno detto i pm Ignazitto e De Caria. Per questo, quindi, il “Miramare” sarebbe stato affidato all’associazione “Il Sottoscala” dietro cui si celava (seppur senza cariche formali) Zagarella. Questi, esperto di feste e serate danzanti, avrebbe dovuto realizzare eventi e, quindi, intascare soldi, nell’immobile di pregio comunale.
Tra le persone escusse, che sosterranno tale versione, anche l’allora sovrintendente per i Beni archeologici della Regione Calabria, Margherita Eichberg. Impegnata con una sua collaboratrice nel sopralluogo di un immobile limitrofo al “Miramare” avrebbe sorpreso Zagarella e alcuni operai intenti a fare dei lavori all’interno della struttura. «Si tratta di un processo sul modo in cui deve intendersi la funzione pubblica, con imparzialità e trasparenza» hanno detto i pm Ignazitto e De Caria.
La grande accusatrice
Unica a scegliere il rito abbreviato, l’allora assessore comunale ai Lavori Pubblici, Angela Marcianò. È già stata condannata, in primo grado, a un anno di reclusione. Già collaboratrice del procuratore Nicola Gratteri, Marcianò, dopo l’esplosione del caso (politico e giudiziario) diventerà la grande accusatrice di Falcomatà.
Marcianò ha sempre dichiarato di essersi schierata contro l’assegnazione del “Miramare” a Zagarella. Ma dagli atti dell’indagine (tra cui diverse chat WhatsApp), emergerebbe in realtà solo un tardivo tentativo di intervenire per la modifica dell’atto. Accusa ancor più grave, quella mossa dalla Marcianò, è quella di risultare presente (e, quindi, con voto favorevole alla delibera) nel verbale della riunione di Giunta. Quando, invece, a suo dire, l’avrebbe abbandonata in aperta polemica con il provvedimento che si voleva adottare.
Alle elezioni del settembre 2020, si candiderà anche a sindaco, in piena contrapposizione con il giovane sindaco del Partito Democratico. Otterrà un buon risultato, classificandosi terza tra i candidati alla carica di primo cittadino. Ma al momento dell’insediamento in Consiglio Comunale subirà il provvedimento di sospensione spiccato dal prefetto, proprio a causa della condanna nel “caso Miramare”.
Verso la sentenza
Giuseppe Falcomatà è considerato uno degli esponenti più emergenti del Pd calabrese. Ora, però, rischia un pericoloso passo falso, poco più di un anno dopo la riconferma come sindaco di Reggio Calabria. I fatti contestati, però, si riferiscono al suo primo mandato. Quelli dopo gli anni del “Modello Reggio” di Giuseppe Scopelliti e lo scioglimento per contiguità con la ‘ndrangheta del Consiglio comunale.
Un avvio difficile, accidentato, in cui il primo obiettivo è capire se e come evitare il dissesto economico-finanziario. Ma uno dei primi atti dell’Amministrazione Falcomatà è quello di eliminare il Miramare dai beni di proprietà del Comune in vendita. Così come voluto dalle Amministrazioni di centrodestra prima e dalla terna commissariale poi.
La tesi della difesa
La difesa di tutti gli imputati è stata quella di voler rilanciare quello che, unanimemente, viene considerato uno dei “gioielli di famiglia” della città. E che tale affidamento (poi saltato, per via del putiferio politico e giudiziario) non avrebbe comportato alcun esborso per l’Ente. Ma, anzi, una possibilità di rilanciare la struttura a “costo zero” con eventi di vario genere.
Tesi che, evidentemente, non sembrano aver convinto i pm Ignazitto e De Caria, che hanno formulato le richieste di condanna: “Il ‘gioiello di famiglia’ trasformato in un affare di famiglia’ con palesi violazioni di legge” hanno detto infine i pm.
Adesso la girandola delle arringhe difensive. Con la sentenza per Falcomatà&co che dovrebbe arrivare il 19 novembre. E, in caso di condanna, potrebbe far scattare la sospensione dovuta alla “Legge Severino”. Facendo piombare la città in una fase politica tutta da decifrare.