«Ogni migrazione è un fenomeno che richiede risorse economiche, sociali e culturali, pertanto non tutti possono partire». Le parole di Maria Francesca D’Agostino, sociologa Unical che si occupa di migrazioni e cittadinanza globale, costringono a rivolgere uno sguardo più attento verso il fenomeno migratorio. Uno sforzo ancor più necessario adesso che il clamore mediatico ed emotivo riguardo la tragedia di Cutro si sta spegnendo, malgrado il mare continui a restituire corpi dei migranti naufragati.
Una piccolissima parte di umanità
«Chi riesce a partire – spiega Maria Francesca D’Agostino – rappresenta una piccolissima parte di quella umanità che avrebbe motivo di scappare». La domanda che l’Occidente e l’Italia devono porsi non deve riguardare il come gestire questi flussi. Ma, paradossalmente, perché siano così pochi quelli che arrivano, considerata la diffusione su scala globale di conflitti nuovi e vecchi e ingiustizia sociale.
«Se guardiamo le situazioni di conflitto – prosegue la studiosa – vediamo come questi non generino esodi, ma sfollamenti all’interno del paese in guerra. A poter scappare da luoghi di insicurezza sono generalmente appartenenti ai ceti medi, mentre i flussi migratori causati dalla povertà, spingono per esempio i contadini verso i margini delle megalopoli».
La migrazione è una scommessa
Va da sé che per scappare in quel modo si deve essere disperati. Tuttavia anche in questo emerge una sorta di stratificazione che marca le disuguaglianze.
Per poter provare a sottrarsi all’orrore occorre avere le risorse necessarie, nel caso dei migranti di Cutro migliaia di euro.
Perché mai attraversare il Mediterraneo affrontando tanti pericoli pur disponendo di adeguate risorse economiche allora? La risposta è da cercarsi nelle severe normative che sostanzialmente negano canali legali d’ingresso nel nostro Paese. La partenza è una crudele scommessa dove ci si gioca tutto quel che si ha, compresa la vita stessa, per provare a fuggire dal luogo dove non si può più stare.
Migranti economici e rifugiati politici
Ma da dove ha origine la chiusura sistematica che l’Occidente ha praticato verso i flussi migratori? Essenzialmente dalla distinzione, spesso arbitraria, tra migranti economici e rifugiati politici. L’ingresso dei primi ingresso era legato alle esigenze produttive dell’Europa; gli altri erano tutelati dalla Convenzione di Ginevra, che prevedeva l’obbligo di accoglierli.
Conclusa la Guerra fredda, si è scelto di tenere lontani anche i richiedenti asilo. Che così sono finiti confinati in campi profughi nei pressi dei luoghi di conflitto, con l’alibi di dare priorità al loro teorico rimpatrio a conclusione dei conflitti. «In realtà non si è quasi mai stati capaci di garantire loro il ritorno a casa per via del perdurare di conflitti. Ci si è limitati a parcheggiare enormi numeri di persone in luoghi di confinamento umanitario e periferizzazione sociale in aree di degrado totale», racconta Maria Francesca D’Agostino.
Il grande inganno: la migrazione bianca, donna e cristiana
Attorno al fenomeno complesso delle migrazioni è stato costruito con meticolosa pazienza e notevole efficacia un grande inganno. La convergenza di diversi interessi ha dato vita a una sorta di distorsione cognitiva collettiva. E così si è generalmente persuasi che la fortezza Europa e la trincea Italia siano sotto assedio e minacciati da un imponente esodo proveniente dall’Africa sub sahariana. «Se guardiamo i flussi migratori – spiega D’Agostino – scopriamo che solo una piccola parte è rappresentata da rifugiati politici provenienti a Paesi dilaniati da conflitti. La maggioranza viene dall’Est Europa».
Insomma: la migrazione che guarda all’Italia è bianca, cristiana e femminile. Dovrebbe essere maggiormente rassicurante, rispetto allo spauracchio costruito attorno all’uomo nero. Invece le dinamiche di respingimento, pregiudizio e razzismo restano intatte. È sempre la sociologa dell’Unical a spiegare che si tratta di donne provenienti dall’Ucraina, dalla Romania, dalla Bulgaria. Devono affrontare situazioni analoghe ad altre forme di migrazioni, cioè sfruttamento lavorativo, disagio abitativo, impoverimento e marginalizzazione.
Alla Piana dell’Est
Condizioni che pure noi meridionali abbiamo conosciuto quando ad emigrare eravamo noi, «perché siamo tutti vittime di processi di sviluppo che producono disuguaglianze sociali. Anche sulle donne dell’Est Europa si riversa l’effetto delle politiche criminalizzanti che generano effetti di violenza razzista».
In Calabria, nella Piana di Sant’Eufemia per esempio, l’intero settore agricolo si basa sulla presenza delle donne dell’Est. Non basta loro avere un documento di soggiorno in regola, oppure essere cittadine europee per non essere trattate come minoranze non nazionali e dunque per scampare a forme di razzismo. Perché agli occhi di troppi italiani lo straniero resta un invasore e un abusivo.