Quella di Melia è una storia di rigenerazione. Una rigenerazione che parte dal basso, da piccoli passi compiuti sui territori da cittadini che, da una parte, si battono contro l’abbandono e l’isolamento e, dall’altro, fanno squadra per valorizzare le proprie comunità ed i tesori che custodiscono. In altri termini trasformano un disastro in opportunità. Vediamo come.
Melia, provincia di Reggio Calabria, è una borgata di Scilla abbarbicata sulle pendici dell’Aspromonte, appena fuori dall’area di competenza del Parco. Non si tratta di un dettaglio perché le grotte di Trèmusa, ad oggi ancora inaccessibili per la frana di cui parleremo, hanno fornito un contributo essenziale per i riconoscimenti guadagnati dal Parco Aspromonte in ambito Unesco.
L’antefatto: Melia isolata
A giugno 2021 si verifica una frana sulla strada interpoderale nel territorio della frazione scillese. Ne segue, il successivo dicembre, una seconda che lascia praticamente il territorio isolato. Si tratta dello smottamento della Strada Provinciale 15, Scilla-Melia. Qualche anno prima la Città Metropolitana aveva stanziato 300 mila euro per interventi di messa in sicurezza in un cantiere partito e abbandonato da tempo.
La frana del giugno 2021 ha consentito di organizzare una ricognizione archeologica nell’area immediatamente adiacente alle grotte di Trèmusa. La ricognizione è stata promossa dall’associazione Famiglia Ventura, supportata dall’associazione La Voce dei Giovani e dalla parrocchia di Melia, finanziata dai Lions e diretta dall’archeologo Riccardo Consoli. Due i gruppi di lavoro: il primo coordinato dal topografo Antonio Gambino, che si è occupato di effettuare i rilievi e la pulitura paesaggistica nella zona delle gole; il secondo da Consoli, che ha effettuato una prima indagine stratigrafica del suolo.
Risultati superiori alle aspettative
Doveva trattarsi di una semplice attività didattica con gli studenti dell’Università di Messina e di Firenze, ma i risultati hanno superato le aspettative.
Ne è emerso un quadro affascinante: sotto il manto stradale sono state individuate diverse stratificazioni, risalenti a diverse epoche che vanno dal periodo tardo ellenistico a quello borbonico. Riemersi parte del percorso di epoca romana e un ciottolato di età borbonica. Le ricerche hanno permesso di individuare il tracciato della vecchia Popilia proprio presso il valico del Vallone Favazzina su cui affacciano le gole di Trèmusa. Non era scontato che fosse così: non vi era certezza che la strada consolare romana passasse da quell’area.
La Storia è passata da Melia
Lo spiega Riccardo Consoli, archeologo dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Assieme a Lino Licari, guida paesaggistica e archeologo ante litteram, e a Gambino, Consoli ha compiuto i rilievi. Secondo il ricercatore quello delle grotte di Tremusa «è l’unico passaggio per attraversare il territorio venendo da Nord. Superati i piani di Corona, giunti e oltrepassati i piani di Solano, sorpassato il Vallone di Bagnara e arrivati a Favazzina, sarebbe stato difficoltoso dirigersi a Sud scendendo verso il mare per poi risalire. Dato che è accertato che il percorso della via Popilia passasse dai piani, l’unica via percorribile doveva passare per il Vallone di Tremusa che collega la via del Nord con l’altopiano di Melia per poi scendere da Campo Calabro fino a giungere a Reggio».
«All’altezza del vallone di Tremusa – prosegue Consoli – insiste una lingua di terra che consente un attraversamento dolce tra le due sponde della vallata. Dai primi rilievi effettuati sull’area, abbiamo rinvenuto diverse tracce di questa strada, attraverso alcuni elementi visibili: fontane, canalette e una serie di dettagli che fanno riconoscere che si tratta di un percorso tracciato in epoca romana. Ed in effetti fino all’Ottocento, ossia fin quando non si è iniziato ad adottare il cemento armato, quel percorso è rimasto tale. Anche la strada regia passava da lì».
«Melia, per la sua posizione, era il trait d’union tra la Sicilia e il varco per il Nord. Un crocevia. Questo – conclude l’archeologo – ci fa affermare senza ombra di dubbio, anche sulle tracce del passaggio di Sant’Antonio da Padova che risalì verso Nord dopo il naufragio a Milazzo, che la Storia è passata da Melia. Questi dati non sono solo importanti a livello archeologico, ma possono rappresentare l’avvio di nuovi percorsi turistici e di trekking per rivalutare un’area di indubbia importanza storica».
L’importanza delle grotte di Trèmusa
Si tratta dei primi rilievi effettuati dopo duecento anni. Nell’ambito della ricognizione, il gruppo di Gambino è riuscito a sviluppare un modello in 3D misurabile delle grotte, combinando la fotografia terrestre a un GPS. Le grotte, che fanno parte del bacino idrografico della fiumara Favazzina – in particolare del suo affluente, il Trèmusa – si sono rivelate molto più ampie e profonde di quello che possono apparire. L’area è molto vasta, scende nel ventre della montagna per diverse centinaia di metri con fenomeni carsici visibili e ben percepibili. All’ingresso c’è una sorta di arco, o semicerchio. Sulla destra, un grande spazio aperto, che affaccia sul Vallone Trèmusa, da dove iniziano i cunicoli che si tuffano nella montagna. A sinistra, invece, c’è una sala altrettanto ampia dove è più evidente la carsicità del luogo.
Proprio all’ingresso è stato rilevato un accumulo di terra non indifferente su cui effettuare analisi stratigrafiche più approfondite che potrebbero portare a scoprire nuovi elementi. La presenza dell’acqua, che in passato doveva essere molto più abbondante, e la possibilità di trovarvi riparo ha rafforzato l’ipotesi che potesse trattarsi di un luogo di passaggio battuto e utilizzato in passato, grazie anche alla presenza di numerosi terrazzamenti intorno. Si dovrà stabilire con studi più approfonditi se abbia avuto altre destinazioni d’uso, quale eventuale luogo di culto.
Melia e il Parco dell’Aspromonte
L’attività svolta, senza essere stata concordata preventivamente, si inserisce in modo naturale nel rinnovato impulso che l’Ente Parco Aspromonte dedica alla speleologia con una serie di progetti già in cantiere. Gli esiti della ricognizione collocano Melia sotto una lente di rinnovato interesse, sia dal punto di vista speleologico, sia da quello squisitamente storico-culturale. Motivo per cui è nata l’idea di inserire il borgo nella rosa di luoghi dove portare gli alunni delle scuole che aderiscono ai progetti di formazione del Parco dell’Aspromonte.
Qualche giorno fa la Città Metropolitana ha annunciato lo stanziamento di 600 mila euro per il recupero della SP 15: un provvedimento atteso da tempo e rafforzato anche dall’emergere di una valenza culturale del borgo ancora inaccessibile da Scilla. Valenza costituita dalle scoperte emerse dalla ricognizione archeologica e dalla presenza di quelle gole che hanno contribuito, pur se fuori Parco, al riconoscimento dell’Aspromonte come geoparco Unesco. L’attività ha permesso non solo di scoprire importanti tracce del passato, ma ha richiamato studiosi, esperti, istituzioni, associazioni locali a lavorare per la comunità. La stessa Soprintendenza per i Beni Culturali ha aperto uno specifico dossier.
L’unione fa la forza
Le forze si sono unite e in tutta Melia sono partite forme di collaborazione e compartecipazione. L’intera comunità ha aperto le proprie porte, un tam-tam che ha supportato le attività di ricognizione, lasciando gli studiosi liberi di passare tra i poderi per puntellare la loro ricerca. Elemento, anche questo, non scontato. La stessa associazione Voce dei Giovani ha fatto da megafono, ribadendo l’importanza di un progetto che mira a rendere Melia nuovo punto di attrazione turistico-culturale.
La campagna di ricognizione ha fatto dunque da vero e proprio collante di comunità. A cascata, e grazie al rinnovato interesse, è stato ripubblicato su iniziativa dell’associazione Famiglia Ventura lo storico testo del 1908 Cenni storici dal borgo di Melia. Sembrava perduto ma una copia è stata ritrovata presso la biblioteca di Palmi, consentendo così l’uscita di una nuova edizione. E rinvigorendo quello che spesso manca in Calabria: la cura e la tutela della memoria storica, elemento essenziale per il recupero dell’identità del borgo. In questo solco va inserito anche il recupero di una cartolina raffigurante un melioto fatto prigioniero in Egitto nel 1941 che è stata consegnata agli eredi dell’uomo.
Partire dai territori, restare sui territori
L’operazione di Melia pare seguire lo stesso ragionamento fatto a Bova con il progetto Se mi parli, vivo. Lì, tramite l’azione dell’Associazione Jalo to Vua e, grazie alle competenze di alcuni ricercatori originari del luogo, il greco di Calabria è diventato un attrattore che ha richiamato linguisti da tutta Europa.
Nel caso di Melia, il lavoro dell’associazione Famiglia Ventura è stato importante: dal 2011 l’organizzazione promuove la cultura attraverso la lettura e l’arte su tutto il territorio metropolitano, perseguendo la valorizzazione e il coinvolgimento delle comunità locali.
«Melia è una borgata con cui si è creata una relazione speciale. Concentrare l’attenzione degli archeologi in un’area periferica come quella delle Grotte di Trèmusa è un modo sia per promuovere la ricerca in località poco studiate, sia per accendere un riflettore sulle problematiche e sulle opportunità di territori spesso dimenticati dalle istituzioni o dai grandi circuiti economici e turistici. Territori che possono rappresentare ulteriori nodi di sviluppo per il comprensorio di Reggio», ha spiegato Francesco Ventura, ex presidente dell’associazione e promotore dell’iniziativa.