Il lungo addio: l’agonia delle ludoteche di quartiere

A 25 anni dalla loro fondazione sono sbarrate le porte dei centri aggregativi per bambini e ragazzi nei rioni popolari di Cosenza. Tace la nuova amministrazione del Comune in dissesto. Giacomo Mancini le considerò il fiore all’occhiello della città.

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A Serra Spiga, in via Popilia e nel centro storico non si ode più il festoso vociare dei laboratori creativi per bambini. Dopo 25 anni di attività, dal 31 dicembre 2021, sono chiuse le ludoteche. Palazzo dei Bruzi tace. La priorità è rimettere in ordine il traffico sconquassato dal precedente sindaco archistar. I diritti sociali possono attendere. Prosciugate le casse, nel bilancio comunale gli unici soldi che non finiranno mai sono quelli destinati a coprire gli stipendi di consulenti e assessori.

Le ludoteche e il sogno di Mancini

C’erano una volta le ludoteche di quartiere. Le aprì il sindaco Giacomo Mancini, quando ancora le amministrazioni comunali offrivano spazi e momenti di gioco, ascolto, doposcuola e vacanza ai figli dei più poveri. C’è stato un tempo in cui Cosenza nei servizi delicati pareva una delle città all’avanguardia nel meridione. Erano ancora servizi gratuiti, il Comune li finanziava e non scaricava sul buon cuore del volontariato le attività che in una società cosiddetta “civile” dovrebbero essere di competenza delle istituzioni.

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Bimbi delle ludoteche alla Villa Vecchia di Cosenza

Alla fine degli anni novanta il vecchio sindaco socialista volle pure che la Biblioteca dei ragazzi sorgesse proprio sotto le finestre della sua stanza a Palazzo dei Bruzi. Sapeva che presidiare con la cultura i quartieri popolari è un investimento sociale, un modo per arginare la solitudine infantile che alleva criminalità. Per Mancini quello era il biglietto da visita di Cosenza. Il municipio, così, da burocratico scatolone di cemento diveniva luogo propulsore di cittadinanza.

E lo chiamano centro “sinistra”

Poi, negli anni zero, venne la giunta Perugini e la chiuse, la biblioteca. In generale, badò soprattutto a rieducare la popolazione alla fruizione dei servizi a pagamento. Tagliò le residue spese del welfare locale, motivando questa scelta con la più classica delle lamentazioni: «I soldi sono finiti». E immolò tutto sull’altare della privatizzazione, osannando il project financing di cui ancora oggi si fatica a intravedere il costrutto. Dagli stadi di calcio alla sanità, dalle infrastrutture ai servizi, fiumi di denaro pubblico finiscono nelle casse dei privati che fingono di investire risorse e si appropriano di spazi comuni.

Un altro nevralgico polo aggregativo per minori, la Città dei ragazzi, fu in parte riconvertito. Per assegnarlo, la giunta Pd concepì una gara d’appalto ai livelli del ponte sullo stretto di Messina. I nuovi aspiranti gestori si videro costretti a costituirsi nientemeno che in Associazione Temporanea d’Impresa. Nel decennio successivo, l’amministrazione Occhiuto la riconcesse alle associazioni Teca, Don Bosco e Cooperativa delle donne, costrette spesso a sopperire con fondi propri alle deficienze istituzionali.

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Cosenza, l’ingresso della Città dei ragazzi (foto A. Bombini) – I Calabresi

Due anni fa, gliela riaffidò con inedita solerzia: le associazioni si erano procurate da sole i fondi per mettere in funzione e potenziare la struttura, avendo vinto un bando promosso dalla fondazione Con i bambini per fronteggiare la povertà educativa. Chissà se gli Occhiutos erano già consapevoli che di lì a poco i due terzi dell’area della Città dei ragazzi avrebbero ospitato alcune delle scuole cittadine sballottate dalla pandemia.

Ludoteche e istituzioni: distrazione o indifferenza?

E se in questi ultimi venti anni la Città dei ragazzi ha vissuto fasi convulse e discontinuità, negli altri quartieri le ludoteche erano riuscite comunque a sopravvivere, pur tra i tagli dei fondi, le temporanee sospensioni e i sacrifici dei loro operatori. Ma da cinque mesi non esistono più.
«Ancor prima della scadenza dell’affidamento, lo scorso dicembre, abbiamo scritto al sindaco, tramite pec, per chiedere un incontro sulla questione, ma siamo ancora in attesa di essere convocati. Abbiamo scritto anche alla consigliera che ha la delega sull’educazione, ma anche in questo caso non abbiamo avuto risposta», denuncia Mimma Ciambrone, due lauree, una in Storia ed una in Scienze dell’educazione; operatrice storica e socia della Cooperativa delle donne, lavora nei quartieri dal 1997.

Attività in una delle ludoteche di quartiere chiude dal 31 dicembre scorso

«Sospendere i servizi a metà anno scolastico – spiega Ciambrone – rappresenta un danno irreparabile per molti bambini e bambine. Li seguiamo quotidianamente. Nelle ludoteche comunali, oltre i servizi ludici ed educativi, monitoriamo il percorso scolastico dei nostri bambini, sostenendoli con l’attività di doposcuola, in stretta relazione con le scuole di riferimento. Si tratta di colmare gap formativi importanti, cercando anche di sperimentare metodologie di apprendimento innovative ed efficaci al fine di scongiurare il rischio di dispersione scolastica. Ora più che mai, dopo le conseguenze devastanti dell’emergenza sanitaria, sia dal punto di vista della socialità che degli apprendimenti, sarebbe stato importante investire sui servizi che nei territori contrastano la povertà educativa».

Sensibilità cercasi

La disattenzione parte da lontano e non è una questione riferibile solo al presente. Negli anni sono stati svuotati i capitoli di bilancio destinati ai servizi educativi tutti, e non solo alle ludoteche.

«Noi abbiamo la convinzione – prosegue l’operatrice – che una città che non investe sui cittadini più giovani difficilmente possa investire sul presente e sul futuro delle comunità. I bambini e le bambine sono un parametro di riferimento ineludibile per misurare l’efficacia delle politiche educative e sociali. La questione infatti è soprattutto politica. C’è la necessità di sedersi attorno a tavoli in cui si possa discutere in modo autentico delle politiche educative e sociali. Le amministrazioni devono sentirsi in dovere di co-programmare e co-progettare con il terzo settore e con l’intera comunità educante. Solo così possono essere superati gli ostacoli, anche di natura economica, che rischiano di invalidare percorsi virtuosi per la nostra collettività».

Meron Mulugeta, mamma di bimbi utenti delle ludoteche

«Diversamente, il tutto rischia di tradursi – continua – in una erogazione sterile e a singhiozzo di servizi che non vengono messi a sistema e che non producono benessere per i territori. A cosa e a chi serve, ad esempio, aprire le ludoteche sei mesi all’anno? I servizi educativi hanno bisogno di continuità. L’interlocuzione con chi governa la città è fondamentale, dobbiamo superare questo anno zero in cui chi governa non ha forse nemmeno piena contezza dell’importanza di alcuni servizi educativi».

Perdere il lavoro, dopo 25 anni di strada

Nella cooperativa e presso le ludoteche comunali operano 15 educatori. Al momento i contratti sono tutti sospesi. «Questo – conclude Ciambrone – è un fatto gravissimo. Ma non solo dal punto di vista occupazionale. Il problema è anche qui politico. Noi non ci sentiamo solo un posto di lavoro che si perde. Ci sentiamo depositarie di competenze educative precise che intendiamo mettere a disposizione della comunità in cui viviamo. In questi 25 anni siamo entrate, con cura e delicatezza, nella vita di migliaia di famiglie, cercando di lavorare sulle risorse insite nei territori, cercando di fare emergere processi di empowerment indispensabili per maturare cambiamenti reali nei contesti di riferimento. Per questo noi non ci percepiamo come un semplice problema occupazionale. Ci sentiamo soggetti autorevoli per poter dare vita a percorsi virtuosi e non più procrastinabili di co-costruzione di politiche educative efficaci».
Per lunedì mattina alle 10 è previsto un presidio di protesta ai piedi del municipio per ottenere le risposte non ancora arrivate. Sarà la volta buona?

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