Ci sono appuntamenti sul calendario che sembrano somigliare al titolo di uno di quei film apocalittici di fantascienza, per esempio “31/12/9999”. Invece questa data che non esiste, è scritta nero su bianco sul documento penitenziario che accompagna la detenzione di F. e indica il termine della sua carcerazione, cioè mai.
F. sconta la sua pena in un carcere della Sardegna e sarebbe dovuto giungere lunedì 13 febbraio all’Unical per conseguire la laurea Magistrale in Sociologia e Ricerca sociale. Per ragioni che ancora non sono note, però, dalla sua cella non è mai uscito.
Laurea e dottorato al 41 bis
Sono i misteri dell’ergastolo ostativo, la forma di pena che esclude il detenuto che si è macchiato di particolari reati dal poter usufruire dei benefici penitenziari come permessi o forme di riduzione della pena stessa. Eppure F. aveva ottenuto un permesso «per necessità» e la sensibilità del magistrato di sorveglianza aveva autorizzato anche la scorta a viaggiare in borghese e senza utilizzare le manette.
C. invece è rinchiuso in un carcere di massima sicurezza del nord e anche per lui le porte del penitenziario non si apriranno più. Alcuni anni fa C. si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Catanzaro. Poi ha conseguito un dottorato di ricerca presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Unical.
I due sono studenti del Polo universitario penitenziario e rappresentano gli esempi di come, pure nell’abisso della reclusione più severa, le cose possano cambiare. I mille chiavistelli che separano le loro celle dal mondo di fuori sono rimasti serrati, ma gli orizzonti si sono allargati portando nelle anguste mura del carcere saperi, conoscenze e consapevolezze che prima mancavano.
Il diritto allo studio per tutti
«L’esperienza del Polo universitario penitenziario dell’Unical nasce formalmente nel 2018», spiega Franca Garreffa, sociologa del Dipartimento di Scienze politiche e responsabile del Pup. Si tratta di un protocollo d’intesa attraverso cui l’Ateneo e il Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria si impegnano a favorire il diritto allo studio delle persone detenute. In realtà le radici del rapporto tra l’Università e i luoghi di pena sono più antiche di almeno un decennio e risalgono a quando nel carcere di Rossano proprio F. e il suo compagno di cella G. espressero a una volontaria il desiderio di seguire gli studi universitari.
L’allora direttore del carcere, Giuseppe Carrà, contattò il sociologo Piero Fantozzi, che al tempo dirigeva il dipartimento di Sociologia e subito si avviò il percorso didattico. In quel cammino venne coinvolta Franca Garreffa, appena laureata con Renate Siebert discutendo una tesi sul carcere. I due detenuti conseguirono la laurea triennale nel giugno del 2015 sostenendo le loro tesi nell’aula dell’ateneo.
L’unica via di fuga
Proprio in quel periodo C. che intanto era recluso nel carcere di Catanzaro, chiese di potersi laureare anche lui recandosi in università e al diniego delle autorità decise di protestare iniziando uno sciopero della fame. Sarà a causa di questa protesta che dovrà rassegnarsi a discutere la tesi in carcere e poi al trasferimento al nord. Successivamente, a causa di imperscrutabili percorsi umani, l’estratto della tesi di laurea di C. che aveva come argomento l’ergastolo ostativo apparirà su una rivista il cui direttore era il figlio del giudice che gli aveva comminato proprio quella pena.
Ma se i libri diventano la sola via di fuga, allora tanto vale continuare a studiare ancora, fino al dottorato di ricerca, il più alto titolo di studio riconosciuto nel nostro Paese, traguardo che C. raggiunge proprio con Franca Garreffa.
«Ho incontrato C. quando era già al nord – racconta la sociologa del Dispes – e mi sono messa in contatto con lui tramite alcune redattrici della rivista Ristretti orizzonti». Da lì comincia un percorso umano e didattico che ancora è in corso.
Una laurea al 41 Bis per riscattarsi
Le storie di F. e C. sono per molti versi drammaticamente simili. Da giovanissimi, entrambi poco più che ventenni, vengono arrestati e accusati di reati molto gravi e per questo condannati all’ergastolo ostativo e al regime del 41 Bis. Viene da domandarsi come si possa consegnare due persone, praticamente ancora ragazzi, a una pena così priva di senso e ampiamente considerata anche incostituzionale. A quell’abisso infernale F. e C. hanno dato uno scopo attraverso lo studio.
«Tramite l’impegno universitario F. e C. e tutti i detenuti impegnati nei vari Poli universitari penitenziari non hanno solo riempito di senso il loro tempo, ma hanno cercato un riscatto per se stessi e per le loro famiglie», spiega la professoressa Garreffa, che intanto resta in attesa che a F. venga consentito, come annunciato, di tornare nell’aula di Arcavacata per la sua laurea magistrale. Perché il sapere non fa svanire le sbarre, né apre le serrature, ma rende gli uomini migliori.