La sanità in Calabria, pochi dati e inadeguati

Il sistema informativo della sanità calabrese fa acqua da tutte le parti e a pagarne il prezzo è la salute dei cittadini

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«La salute è un fatto sociale totale» e dunque esige uno sguardo interdisciplinare per poter essere osservata e più ancora per provare ad avanzare qualche proposta politica. Non è un caso che al Centro studi su società, salute e territorio, il think tank targato Unical, partecipino ben nove dipartimenti, oltre a quello di Scienze politiche che ne è il capofila (Ingegneria meccanica; Ingegneria informatica; Statistica e finanza; Farmacia e Scienze della salute; Matematica e informatica; Culture, educazione e società; Ingegneria dell’ambiente; Biologia e Scienze della terra). Scienze “dure” e “molli”, ingegneri e ricercatori sociali, stregoni dell’Intelligenza artificiale e umanisti, perché per studiare il legame tra benessere sociale e individuale, tra l’uso delle risorse e la qualità della vita, si deve essere pronti a superare i confini delle discipline.

L’interdisciplinarità come metodo per migliorare il sistema sanitario

Il tema dell’interdisciplinarità, assai caro Giap Parini, sociologo e direttore del Dispes, viene evocato praticamente subito nell’intervento d’apertura del dibattito su “Dati, Sistema informativo in Sanità”. Parini va al cuore delle cose: «la salute e la sanità sono forme sociali che vanno osservate in tutte le loro dimensioni», dunque l’aspetto giuridico, economico, sociale, devono trovare coniugazione efficace. Vincenzo Carrieri, docente di Scienze delle finanze e direttore del Centro studi su società e salute, parte dal problema che sta all’origine di ogni ricerca e cioè la raccolta dei dati, le informazioni sulla base delle quali si costruisce una strategia. Il suo sguardo va audacemente alla Danimarca, ma pure alla Gran Bretagna, dove esiste una consolidata “cultura dei dati” e dove i cittadini che si rivolgono ai sistemi sanitari sono tracciati in modo tale da garantire efficienza nel percorso diagnosi – terapia. Qui è tutto differente: «abbiamo dati incompleti, poche Regioni hanno avviato la raccolta delle informazioni e finiscono per influenzare gli orientamenti in materia di politiche sanitarie», dice Carrieri.

Le Regioni nel nord impongono i loro dati

Vuol dire che i dati raccolti in Emilia, in Toscana o in Lombardia, (le Regioni meglio attrezzate da questo punto di vista) pur non essendo rappresentativi del Paese, vengono assunti come indicazioni nazionali per disegnare la sanità di tutti. Ma c’è un altro problema con cui fare i conti, come avvisa Mariavittoria Catanzariti, giurista dell’Università di Padova e docente dell’European University Institute e riguarda la tutela della riservatezza e i dati relativi alla salute delle persone sono una mole di informazioni di straordinaria delicatezza. Una questione che invoca l’intervento di chi con i dati e il loro trattamento lavora da un pezzo. Gianluigi Greco, direttore del Dipartimento di Matematica e informatica dell’Unical e presidente dell’Associazione italiana per l’Intelligenza artificiale, ci tiene a spiegare come i dati siano «la traccia dell’attività umana nella vita sociale», per questo devono essere disponibili e trasparenti. Sembra di sentire un sociologo, non un informatico, soprattutto quando Greco pone l’attenzione sull’aspetto che potremmo definire politico, spiegando che «i dati vengono oggettivati, considerati cioè assolutamente veri, perché elaborati da macchine cui noi attribuiamo il dono dell’infallibilità». Per questo servono l’uomo e le sue competenze, per guardare e capire.

La platea del convegno

La Babele della sanità, dove le strutture non dialogano tra loro

Oggi nel mondo della sanità la situazione non è tranquillizzante: «le strutture non dialogano tra loro, usano sistemi differenti e la scelta del campionamento della popolazione da monitorare non è neutrale», tenendo conto prevalentemente delle aree ricche del Paese. Ma non solo: ad oggi «nessuno dei sistemi diagnostici italiani usa l’Intelligenza artificiale». Se cercate consolazione, non rivolgetevi a un informatico, vi spiegherà implacabilmente che siamo messi male, ma non rivolgetevi nemmeno a un fisico. Francesco Valentini è docente di Fisica della materia, ma guarda il cielo con gli occhi di chi collabora con le agenzie spaziali italiana ed europea. Che ci fa uno scienziato di questo tipo a un convegno sulla sanità? E’ venuto per spiegare che la raccolta dei dati, sia nell’universo della sanità, che in quello osservato dalla ricerca spaziale, deve affrontare lo stesso problema, quello della Babele delle lingue, che impedisce di comunicare efficacemente, per questo «è urgente unificare i linguaggi, standardizzare la raccolta e uniformare i sistemi di ricerca».

Il paradosso della medicina digitale e il lavoro degli infermieri

In tutto questo emerge un paradosso: la medicina digitale non sempre velocizza il lavoro. Accade infatti, come racconta Nicola Ramacciati, docente Unical presso il corso di Infermiersitica, che «il tempo che gli infermieri impiegano nel trasferire i dati relativi ai pazienti, possa soverchiare quello da dedicare al paziente stesso», causando frustrazione e stress. Per questo appare urgente «progettare sistemi di raccolta dei dati  implementando l’uso delle I.A».

L’eccellenza della Nuova Zelanda

Potrebbe non bastare, visto che le criticità stanno ben dentro «l’architettura del sistema sanitario», come svela Domenico Conforti, docente Unical e fondatore del Dehealth lab, il centro di ricerca che coniuga l’ingegneria con l’erogazione della assistenza sanitaria. L’idea di Conforti ha il pragmatismo che ci si attende da un ingegnere, per il quale «la gestione dei dati deve essere integrata con i modelli di cura e di organizzazione, la gestione delle risorse e i servizi digitali». Il suo racconto ci porta a Canterbury, in Nuova Zelanda, dove la sanità viene organizzata in cerchi concentrici con diversi livelli di gestione della salute e percorsi assistenziali che vedono gli ospedali posti sul cerchio più esterno, come ultimo presidio cui il paziente giunge per la terapia. Ma quello è letteralmente un altro modo.

E il ritardo del servizio sanitario della Calabria

Qui abbiamo 21 sistemi sanitari diversi, e in Calabria «la raccolta dati è frammentaria, la loro interpretazione difficile». A dirlo è Alfredo Pellicanò, dirigente regionale e responsabile del settore che si occupa di transizione digitale. Dargli torto è impossibile, infatti l’ultimo allarme lo ha lanciato il presidente Occhiuto, mentre cittadini lo gridano vanamente da molto prima.

 

 

 

 

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