Molière è vivo e lotta insieme a noi. Lo fa attraverso Arpagone, il suo Avaro (e avaro per eccellenza della commedia dell’arte), che in Calabria ha raggiunto la versione 4.0 e a Cosenza sta per evolversi ulteriormente. Il nuovo Arpagone non ha la faccia di Paolo Villaggio (che lo interpretò alla grande tra un Fantozzi e l’altro a fine anni ’90) ma quella di Eugenio Guarascio, il big dello smaltimento rifiuti col pallino dell’editoria e un incompreso – soprattutto incomprensibile – interessamento al calcio.
Pecunia non olet, i soldi non puzzano, ci mancherebbe. E non c’è nulla da obiettare se il duce di 4EL, brillante e carismatico per autodefinizione, ha fatto un botto di quattrini con la monnezza. Ché anzi è un servizio nobile reso alla comunità. Il problema è che i soldi non possono restare in cassaforte.

«Peste all’avarizia»
Nessuno si permette di fare i conti in tasca a mister Guarascio. Però una cosa va detta: c’è una differenza – a volte sottile, ma c’è sempre – tra un imprenditore e un tirchio. Sta in una parola rara, altrove scontata ma quasi magica al Sud: investire.
Quel che il presidente di Ecologia Oggi ha promesso puntualmente per il Cosenza Calcio e, finora, disatteso con altrettanta puntualità.
Ora, che certe dichiarazioni se le siano bevute Mario Occhiuto e Franco Iacucci ci sta. Ma il sindaco uscente e non ricandidabile della città che ha tra i simboli proprio la squadra di Guarascio non poteva dire altro. Così come non poteva dire altro un presidente di Provincia che aspirava al salto a Palazzo Campanella.
Non ci si può aspettare che certe promesse se le bevano i cittadini, che magari sborsano quattrini per andare al San Vito-Marulla. Pecunia non olet ma pesa. Nelle sue tasche aggiungiamo noi.

Nell’Avaro i servi, chi più chi meno, protestavano e si ribellavano come potevano ad Arpagone, dissimulando quel minimo per non farsi prendere a bastonate. I tifosi, invece, non le mandano a dire: lo testimonia la valanga di commenti che esplode ritualmente dopo le partite del Cosenza.
«Peste all’avarizia e agli avari», gridava Freccia, un servitore di Arpagone, al padrone che lo perquisiva. «Guarascio, facci un regalo: vattene», invocano a gran voce i cosentini sui social. Come si vede, non c’è quasi differenza.
Investire vuol dire spendere
I numeri parlano. E quelli del calcio sono tra i più eloquenti: nelle sue partite più recenti, il Cosenza ha inanellato quattro sconfitte, tra qui quella dolentissima con la Reggina, e un pareggio. È quintultimo in classifica, cioè in posizione di agonia con unica aspirazione la salvezza.
La si direbbe una squadra “avara”. In realtà, è solo una squadra povera che celebra costantemente le nozze coi fichi secchi sotto lo sguardo severo del patron.
Guarascio parla poco, ma sta sempre attento, come Arpagone, che a tavola non si sprechi il cibo. Neanche nel banchetto nuziale ordinato alla meno peggio per accasare la figlia con un agiato anziano, disposto a sposarla «senza dote», e per impalmare una ragazza, da cui spera invece una dote.
Questa citazione riassume il duplice rapporto, calcistico e imprenditoriale, che ha con Cosenza.
Investire nelle emozioni
Non entriamo nel merito del ciclo rifiuti, sebbene le lamentele sull’andamento della differenziata e non poche polemiche sindacali siano eloquenti. Concentriamoci solo sull’aspetto sportivo: se c’è un settore in cui i risultati costano, è lo sport, il calcio in particolare. E il campionato del Cosenza è l’esito di una campagna acquisti fatta a velocità lampo con un budget risicato. Più o meno come i cavalli, denutriti e senza ferri agli zoccoli, con cui Arpagone voleva andare alla fiera.
Nel calcio non si può risparmiare tagliando sui costi, come in un’azienda normale. A volte si può guadagnare (coi biglietti, gli sponsor e i diritti). Ma per farlo occorre spendere, perché l’investimento è nelle emozioni, prima ancora che negli uomini e nei mezzi. Le emozioni dei tifosi e dei cittadini comuni, che magari sui disservizi chiudono pure il classico occhio, ma allo spettacolo settimanale non vogliono rinunciare.
Spendere non è sprecare
Guarascio ha una nemesi, che non proviene dal teatro ma dal cinema. È Benito Fornaciari, il presidente del Borgorosso Football Club, a cui prestò il proprio volto Alberto Sordi, che si cappottò finanziariamente per salvare la squadra ereditata dal padre.
Fornaciari è l’esempio opposto da non seguire, intendiamoci: nessuno si deve rovinare per farsi amare dai tifosi. Ma da qui a mettere in cima alle preoccupazioni il “rigore nei conti”, come ha dichiarato e ribadito Guarascio, ne corre. I conti devono essere tenuti sotto controllo, ci mancherebbe, ma non sono tutto, quando si lavora con le emozioni del pubblico. Altrimenti, il confronto con Arpagone, disposto a sacrificare gli affetti dei figli pur di salvaguardare i suoi diecimila scudi, diventa troppo calzante…
La fortuna è un merito solo per quelli bravi
Sotto Natale, sempre a proposito di avari, si potrebbe citare il vecchio Scroodge di Dickens. Ma la vicenda del Cosenza non è una favola, anzi merita un’ironia per la quale non basterebbero dieci Molière particolarmente ispirati: si ride per non arrabbiarsi troppo.
Ciononostante, due fortune arridono a Guarascio: il miracoloso ripescaggio a danno del Chievo Verona e l’amore dei tifosi per il simbolo della città.
Ma la fortuna non è eterna e premia chi la cerca, non chi se ne approfitta. E prima o poi i tesori si volatilizzano. Come quello di Arpagone, che alla fin fine e a dispetto di tanti sacrifici, riempiva sì e no un cofanetto.