Eroismo e crimine: la tragedia del gobbo del Quarticciolo

Una vita breve e controversa, piena di delitti ma anche di coraggio e grande generosità. La storia di Giuseppe Albano, il leader calabrese più famoso della Resistenza, e della sua morte misteriosa

Condividi

Recenti

Roma, 16 gennaio 1945. La Capitale non è più in mano tedesca da circa sei mesi.
Ora la occupano le truppe inglesi e americane. E quel che resta dello Stato italiano fa il possibile per recuperare una parvenza di vita civile tra le macerie.
Al civico 12 di via Fornovo, nel quartiere Prati, c’è un uomo in fuga. O meglio, un ragazzo: Giuseppe Albano, che ha quasi diciannove anni, molti dei quali trascorsi tra la piccola delinquenza e la Resistenza clandestina.

L’appuntamento fatale di Giuseppe Albano

Albano si nasconde dalle forze dell’ordine e dalle truppe Alleate, che lo cercano per l’uccisione del caporale britannico Tom Linson. Ha un appuntamento con Umberto Salvarezza detto er Guercio, il segretario di Unione proletaria, una formazione di ultrasinstra.
Il ragazzo aspetta Salvarezza, ma invano. Quindi se ne va. O meglio, ci prova. Poco dopo, lo trovano steso davanti al palazzo dove avrebbe dovuto incontrare il “compagno” Salvarezza con un proiettile conficcato nella nuca.
Che sia Albano non ci sono dubbi: lo tradiscono l’immancabile borsalino nero, la pistola e la gobba vistosa, che lo ha reso famoso in tutta Roma, dove lo chiamano Peppino il gobbo o il gobbo del Quarticciolo, il suo quartiere di provenienza.

Un reparto di granatieri affronta i tedeschi a Porta San Paolo

Calabrese, bandito e partigiano

Riavvolgiamo il nastro. Giuseppe Albano non è romano de Roma. E neppure burino, che significa provinciale. È un calabrese trasferitosi nella Capitale coi genitori nel ’36 da Gerace Superiore, dov’è nato il 23 aprile del 1926.
Albano, come tanti immigrati, è un soggetto borderline che campa come può: spesso di piccoli lavori e, in certi casi, infrangendo la legge.
Infatti, Peppino il gobbo mette su una banda di coetanei, anch’essi originari della Calabria o del Sud.
Con l’occupazione tedesca della Capitale, Peppino fa il salto di qualità. Il 10 settembre del ’43 affronta una pattuglia tedesca in perlustrazione. Pochi mesi dopo disarma e malmena da solo due avanguardisti, cioè fascisti “juniores” (tra i 14 e i 17 anni di età) che lo minacciano con un pugnale.
Sono solo due episodi, neppure troppo eclatanti, della carriera resistenziale di Albano, che in pochi mesi diventa un mito nelle borgate e negli ambienti di sinistra.

giuseppe-albano-vita-spericolata-gobbo-del-quarticciolo
Al centro nella foto, Giuseppe Albano

Il cadavere che scotta di Giuseppe Albano

Torniamo alla scena del delitto. Il comunicato ufficiale parla di conflitto a fuoco con i carabinieri. E qui c’è la prima discrepanza: un colpo alla nuca sembra più l’opera di un sicario che l’esito di una sparatoria.
Ancora: a quel che risulta Albano non avrebbe sparato neppure un colpo.
Pure la testimonianza di Salvarezza è un capolavoro di ambiguità: il segretario di Unione proletaria sostiene di aver chiamato lui stesso i carabinieri, perché intimorito dal Gobbo. Quest’ultimo, sempre secondo Salvarezza, sarebbe andato a via Fornovo per recuperare dei documenti su incarico di Togliatti.
Solo successivamente emergerà una versione diversa, quasi opposta: Salvarezza avrebbe incaricato il gobbo di fare un attentato a un comizio comunista. Albano non solo si sarebbe rifiutato, ma avrebbe spifferato tutto al servizio d’ordine del Pci.
Questo conflitto di versioni non è la sola stranezza di questo delitto e della vicenda del gobbo.

Giuseppe Albano capopopolo

C’è Resistenza e Resistenza. Al Nord, le formazioni partigiane ingaggiano i tedeschi e i repubblichini in operazioni di guerriglia, in cui valgono ancora le regole militari.
A Roma le cose cambiano: le azioni contro gli occupanti somigliano ad atti terroristici. Questo non vuol dire che i partigiani del Nord fossero “buoni” rispetto a quelli romani. Più semplicemente, significa che la Resistenza si adegua al contesto urbano, dove un combattimento tradizionale è semplicemente inconcepibile.
Logico, allora, che un personaggio come Peppino il gobbo diventi un leader ideale di questo tipo di resistenza: è duro, coraggioso e animato da un particolare senso di giustizia sociale. Che lo fanno notare subito.
Abilissimo a organizzare raid, attentati e colpi di mano, Albano rende inaccessibili il Quarticciolo e Centocelle a tedeschi e squadristi. «È il più leggendario, il popolo ne racconta le gesta fremendo», scrive di lui Italia libera, l’organo del Partito d’azione.

La targa celebrativa dei partigiani del Quarticciolo

Il Robin Hood de’ noantri

Albano e i suoi mescolano background delinquenziale, ottima conoscenza del territorio e capacità militari.
E hanno una specialità, che li rende popolari: rapinano treni e depositi per redistribuire viveri e beni di prima necessità agli abitanti delle borgate, ridotti alla fame dalla guerra e dalla borsa nera. Il comando tedesco lo teme al punto di adottare una misura bizzarra e atroce: il fermo di tutti i gobbi di Roma.
Ma Peppino resta inafferrabile, protetto dalla complicità dei borgatari e, soprattutto, da una grotta riscoperta solo di recente.

Giuseppe Albano nell’inferno di via Tasso

Il gobbo è molto politicizzato, ma è il classico cane sciolto: stringe rapporti con Pietro Nenni ed esponenti di spicco del Pci. Tuttavia, non è organico a nessuno, e questo spiega anche alcuni rapporti discutibili, come quello con Salvarezza.
Albano alza la posta ad ogni giro di vite tedesco. E rischia brutto.
Il 10 aprile 1944 irrompe in un’osteria del Quadraro e ammazza tre soldati tedeschi come rappresaglia alla strage delle Fosse Ardeatine. La reazione germanica è durissima: Herbert Kappler ordina un maxi rastrellamento della zona, al termine del quale settecento romani sono deportati nel Reich. Metà di loro muore in prigionia.
Alla fine, le Ss beccano anche il gobbo nei locali di un’azienda dove si era rifugiato. E lo portano nel famigerato carcere di via Tasso, dove subisce le torture dell’altrettanto famigerata banda Koch.
Ma, ulteriore fortunato paradosso, nessuno riconosce Albano, che resta in galera fino al 4 giugno di quell’anno. Poi, mentre i tedeschi si ritirano, la popolazione libera i prigionieri di via Tasso.

giuseppe-albano-vita-spericolata-gobbo-del-quarticciolo
Il rastrellamento del Quadraro

Infiltrati, spie e provocatori

Torniamo al delitto e, soprattutto a Umberto Salvarezza. Sedicente segretario di Unione proletaria, Salvarezza è un complice delle attività più estreme del gobbo.
Non ci si riferisce alle azioni contro i fascisti e i tedeschi, ma ai reati comuni della banda di Peppino (omicidi, estorsioni e rapine), in cui l’aspetto politico è davvero labile.
Il regime è crollato ma la Repubblica non è ancora nata. E Roma non riesce a trovar pace neppure sotto il controllo alleato.
Anzi, la Capitale diventa un crocevia di traffici e rapporti – politici e non – quantomeno strani. Nei quali uno come Salvarezza sguazza alla grande.
Infatti, come sa bene la questura di Roma, il segretario di Unione proletaria è una ex spia fascista che tenta di rifarsi la verginità. È un uomo a cavallo di più mondi, inclusi forse i servizi segreti, italiani e Alleati, che tentano di recuperare i fascisti meno compromessi per usarli in funzione anticomunista. Anche Albano finisce in questo gioco complesso.

Vendicatore e di nuovo bandito

Dopo l’arrivo degli Alleati, il gobbo del Quarticciolo si mette a disposizione della questura, dove tra gli altri si fa notare Federico Umberto D’Amato, astro nascente dell’intelligence italiana.
Ufficialmente, Albano dà la caccia ai torturatori della banda Koch e agli ex fascisti. Ma, allo stesso tempo, intensifica le sue attività criminali, appena nobilitate dall’ideologia: le vittime predilette del gobbo sono gli ex fascisti e gli speculatori arricchiti.
E tra le vittime figura una star: il tenore Beniamino Gigli, considerato un collaborazionista dei tedeschi, che subisce una pesante rapina in casa.

Beniamino Gigli, la vittima più illustre di Peppino il gobbo

A tu per tu coi fascisti

Nella Roma liberata non ci sono solo gli Alleati e i partigiani. Vi operano anche parecchi fascisti, spesso latitanti, che creano varie organizzazioni, tra cui il famigerato Gruppo Onore.
Che c’entra Albano con questi reduci che lui stesso aveva contribuito a sconfiggere?
Il collegamento è indiretto e ruota attorno a un altro personaggio, che per ambiguità dà i punti a Salvarezza: il fiorentino Umberto Bianchi, ex deputato socialista convertitosi al fascismo ma finito nei guai per sospetto spionaggio in favore dell’Urss.
Riabilitato da Mussolini, alla fine della guerra Bianchi si lega a Salvarezza. E i due si danno a doppi e tripli giochi che risulterebbero divertenti se non fossero inquietanti.
Nella rete di relazioni tessute dalle menti di Unione proletaria c’è davvero di tutto: gli ambienti monarchici e massonici, l’Oss (l’antenata della Cia) gli ex fascisti e l’ultrasinistra. In quest’ultimo caso, va da sé, il collegamento è Albano.

L’ultima retata

Il corpo del gobbo è ancora caldo quando la notizia dell’uccisione fa il giro di Roma e, ovviamente, arriva al Quarticciolo.
A questo punto, la questura decide di liquidare il resto della banda e ordina un blitz nel quartiere che si trasforma in un assedio, con tanto di mezzi blindati. La retata ha successo e tra gli arrestati figura anche Iolanda Ciccola, la fidanzata di Albano.
Un modo di tappare la bocca a potenziali testimoni scomodi?
Forse. Per aggiungere ambiguità ad ambiguità, c’è anche la testimonianza di un informatore degli Alleati, che – come riporta lo storico Giuseppe Parlato – definisce il fratello di Albano una spia tedesca. Ultimo, non irrilevante dettaglio: il gobbo si sarebbe avvicinato a Salvarezza su indicazione di Nenni, per tenere sott’occhio Unione proletaria.

giuseppe-albano-vita-spericolata-gobbo-del-quarticciolo
Gérard Blain e Anna Maria Ferrero ne “Il gobbo”

Giuseppe Albano dalla storia al mito

Il Giuseppe Albano reale è dimenticato nel giro di pochi anni. Gli sopravvive il mito, con tutte le sue ambiguità e i suoi paradossi romantici.
Versione riveduta e più o meno corretta dei leader dei briganti, il gobbo è immortalato nel cinema due volte.
La prima da Carlo Lizzani, nel suo Il gobbo (1960), in cui il francese Gérard Blain presta il proprio volto ad Alvaro Cosenza, incarnazione su celluloide di Albano. Il film riprende, in maniera molto romanzata la storia di Peppino il gobbo, con un linguaggio a cavallo tra il noir e il neorealismo. Giusto un dettaglio per i cinefili incalliti: nel film esordisce Pier Paolo Pasolini nel ruolo di Leandro er Monco.
La seconda incarnazione cinematografica di Albano è ne La banda del gobbo (1977) un cult del genere poliziottesco diretto da Umberto Lenzi e interpretato dal mitico Tomas Milian.

Pier Paolo Pasolini e Carlo Lizzani sul set de “Il Gobbo”

L’epilogo

Sulla fine di Peppino il gobbo le tesi e le dietrologie si sprecano.
Quella della questura (che pure si è servita di certi servizi di Albano e forse ha chiuso il classico occhio su tutto il resto) sembra un depistaggio, ma forse non troppo: regolamento di conti tra bande rivali. Come dire: liberata Roma, il gobbo e i suoi non servono più. O, per parafrasare Shakespeare: il gobbo ha servito, il gobbo può andare.
Più interessanti gli esiti della controinchiesta condotta da Franco Napoli, già braccio destro del gobbo e mente operativa della banda: Albano, secondo lui, sarebbe stato ucciso a tradimento da Giorgio Arcadipane, ex spia dei tedeschi a Regina Coeli e poi infiltrato in Unione proletaria. Il che riporta a Umberto Salvarezza.
Anche quest’ultimo finisce nel dimenticatoio: viene arrestato con l’accusa di vari reati da faccendiere (truffa, millantato credito ecc). Subisce una condanna a sette anni. Poi se ne perdono le tracce.
Nessun abitante del Quarticciolo e del Quadraro riceve riconoscimenti per meriti esistenziali. E solo Iolanda Ciccola tiene viva la memoria di Peppino con l’impegno politico. Ovviamente nella sinistra rivoluzionaria.
E a questo punto cala per davvero il sipario sull’unico calabrese che ha avuto una leadership forte nella Resistenza.

Sostieni ICalabresi.it

L'indipendenza è il requisito principale per un'informazione di qualità. Con una piccola offerta (anche il prezzo di un caffè) puoi aiutarci in questa avventura. Se ti piace quel che leggi, contribuisci.

Iscriviti alla Newsletter

Ricevi in anteprima sul tuo cellulare le nostre inchieste esclusive.