La Calabria che frana e non vuol sapere perché

Nonostante crolli e alluvioni si susseguano, l'Italia non investe risorse per gli studi che dovrebbero aiutare a prevenirne i danni. Le carte geologiche non sono aggiornate. E la cura del territorio si riduce a solidarietà tra cittadini a disastro avvenuto e richieste di stato d'emergenza da parte della politica

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L’inizio della stagione invernale riporta alle cronache notizie legate a frane, alluvioni e erosione costiera… Aspettate, forse meglio ricominciare poiché registriamo eventi già in autunno.
L’arrivo delle prime piogge riporta alle cronache… No, neanche così va bene poiché abbiamo avuto eventi alluvionali anche ad agosto.
In qualsiasi periodo dell’anno (ora sì che funziona), la Calabria, come molte altre aree dello Stivale, registra eventi naturali che provocano nel peggiore dei casi la perdita di vite umane, nel migliore solo la distruzione di abitazioni e strade.

In queste occasioni, la macchina della solidarietà si mette immediatamente in moto, le persone offrono aiuto fisico ed economico dimostrando vicinanza verso chi è stato meno fortunato. Contemporaneamente, i politici sfoderano (in modo proporzionale al livello dei danni registrati) il meglio della loro ars oratoria per promettere che tutto ciò non si ripeterà più (fino alla prossima dichiarata emergenza). Gli amministratori locali, spesso lasciati da soli a fronteggiare dinamiche e situazioni più grandi di loro, sbattono i pugni chiedendo fondi per ripristinare lo stato delle cose (fino al prossimo evento).

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Lista di alcuni eventi naturali come alluvioni e frane avvenuti in Calabria negli ultimi anni

Scarsa conoscenza e speculazioni

Un piccolo esercizio di memoria aiuterebbe a comprendere che gli eventi naturali ed il cambiamento delle condizioni che noi definiamo “normali” rappresentano, in Italia come e più di altre aree geografiche, la norma e non l’eccezione. Questo perché la Terra è viva (se non lo fosse avremmo poche chance di sopravvivere), l’ambiente intorno a noi è dinamico. Processi come frane e alluvioni sono parte integrante e fondamentale del ciclo naturale.

Da un punto di vista geologico l’Italia è una catena giovane e ancora in fase di assestamento, con il 94% dei Comuni sottoposti a rischi naturali. Se a questo aggiungiamo un uso del territorio, sia in tempi antichi che recenti, che per mancanza di conoscenze (prima) e/o speculazione (dopo) non ha tenuto e non tiene conto di questo dinamismo e delle peculiarità e vulnerabilità del territorio, è facile trovarsi a cadenze regolari nelle stesse situazioni.

Un circolo vizioso

In questo scenario, l’unico strumento che abbiamo a disposizione per prevenire il verificarsi di eventi potenzialmente avversi è quello di conoscere il territorio, la sua struttura, morfologia e predisposizione a determinati cambiamenti. Per fare ciò abbiamo bisogno di persone qualificate come i geologi, capaci di leggere ed interpretare in modo corretto il territorio, e di database come le carte geologiche aggiornati.

Negli ultimi anni, politiche universitarie discutibili e progressivi tagli ai finanziamenti hanno portato alla scomparsa di molti dipartimenti di Geologia e Scienze della Terra, o nel migliore dei casi alla loro fusione con altri dipartimenti, riducendo di fatto la loro visibilità e ruolo di riferimento per gli studi del territorio. Questo, unito alla mancata attenzione e riconoscimento da parte sia della politica che della società civile della figura del geologo e delle sue capacità, ha contribuito alla riduzione del numero di iscritti di studenti nelle discipline di Scienze della Terra. Calo che porterà nei prossimi anni ad una progressiva riduzione di competenze sia a livello locale che nazionale in un circolo vizioso che, salvo investimenti sostanziali, potrà solo peggiorare.

Centoquarant’anni e non sentirli

Per quanto concerne le carte geologiche, pochi mesi dopo l’atto formale di unificazione del Regno d’Italia (17 marzo 1861) veniva istituita una giunta consultiva che doveva “discutere i metodi e stabilire le norme per la formazione della Carta Geologica del Regno d’Italia” che porterà nel 1881 in occasione del 2° Congresso Internazionale di Geologia tenutosi a Bologna di pubblicare “per cura del Regio Ufficio geologico” la prima edizione della Carta geologica d’Italia in scala 1:1.000.000. Dopo 140 anni, ci troviamo oggi nella situazione in cui in Italia non abbiamo ancora una carta geologica aggiornata in grado di rappresentare tutto il territorio nazionale.

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17 marzo 1861, nasce il Regno d’Italia

Il programma di Cartografia Geologica nazionale CARG, lanciato alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, rischia di fermarsi nuovamente per la mancanza di finanziamenti dopo che nel 2020 aveva ripreso dopo 20 anni di inattività per carenza di fondi. I fogli CARG rappresentano una banca dati fondamentale per la conoscenza del territorio e del sottosuolo necessaria per mappare le aree a rischio e metterle in sicurezza e procedere con una idonea pianificazione urbanistica. Come recentemente annunciato dall’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale (ISPRA), «quella a rischio è un’importante infrastruttura di ricerca strategica per la Nazione che oggi rappresenta lo strumento più completo per leggere il passato e il presente del nostro territorio».

Per un pugno di euro

Il tutto per una cifra tutt’altro che esorbitante (5 milioni l’anno) rispetto alle conoscenze e benefici che ne deriverebbero, sebbene questo dovrebbe essere una priorità per il Paese a prescindere dal costo. A titolo di esempio, Francia, Germania e Inghilterra hanno una carta geologica che copre tutto il territorio e la stessa viene aggiornata regolarmente.
A livello nazionale, la copertura odierna della carta geologica CARG si attesta a poco più della metà del territorio: 348 carte geologiche su 636 totali.
La Calabria è tra le regioni con minore copertura con solo 15 carte geologiche completate (incluse due a cavallo tra Calabria e Basilicata) e due in fase di realizzazione rispetto alle 42 necessarie a coprire il territorio regionale.

Copertura regionale delle carte geologiche CARG in Calabria (Fonte Ispra)

Il ruolo delle Scienze della Terra

Solo conoscendo il territorio, la sua composizione e variabilità geologica è possibile una corretta pianificazione e gestione per proteggere la vita dei cittadini e anche le infrastrutture. Senza una pianificazione e sostegno finanziario e culturale, lavorando nel medio e lungo periodo per dotarsi degli strumenti e delle figure professionali necessarie per monitorare il territorio, i proclami post-evento hanno poca efficacia. Se non quella di rispondere, in emergenza, ad evento già avvenuto.
Quello su cui si deve lavorare è sostenere e valorizzare gli studi delle Scienze della Terra. Allo stesso tempo permettere di realizzare gli strumenti necessari a prevenire gli effetti legati ad eventi naturali. Ad esempio, mettendo in sicurezza le aree a rischio o limitando le stesse nelle situazioni in cui è necessario convivere con i rischi perché impossibili da risolvere a meno di non evacuare la popolazione spostandola su altri siti.

Lo sfasciume pendulo sul mare è ancora lì

Nel lontano 1904, quando le prime carte geologiche d’Italia erano da poco state realizzate permettendo di colmare un divario con le altre nazioni e conoscere il territorio anche da un punto di vista geologico, Giustino Fortunato (politico e storico italiano) definì, a ragione, la Calabria come uno «sfasciume pendulo sul mare». A più di cento anni di distanza, lo sfasciume pendulo è ancora lì intento, nella sua lenta ma inarrestabile evoluzione geologica. Purtroppo, gli strumenti per conoscerlo e monitorarlo sono spesso ancora gli stessi consultati da Giustino Fortunato. Dire che da allora ad oggi si sarebbe potuto fare di più è retorica.

 

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