Sud chiama Sud: con Filippo Cogliandro il ponte sullo Stretto arriva fino in Gambia

Con i suoi piatti e le battaglie contro il racket è diventato uno dei più famosi ambasciatori dei sapori calabresi. Ma l'impegno tra i fornelli dello chef reggino fa il paio con quello verso il prossimo. Come dimostra il suo ultimo progetto nel più piccolo Stato africano

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«Ci tornerò presto. Voglio tornarci. Devo. Ci penso da quando sono rientrato. È una strana sensazione: col corpo sono qui, ma la mia mente è sempre lì». È una soleggiata domenica di dicembre quando incontro lo chef Filippo Cogliandro, Ambasciatore dei Sapori, dei Colori e della Creatività della Calabria nel mondo, un lungo impegno insieme a Don Ciotti, patron del Ristorante L’Accademia, che aderisce all’Alleanza Slow Food dei cuochi, la rete di oltre 700 professionisti della ristorazione che sostengono i piccoli produttori custodi della biodiversità, impiegando i prodotti dei Presìdi. «Sono i prodotti della mia terra a raccontare il mio amore per la Calabria e per le sue tradizioni. Far incontrare eccellenze di diversi presìdi Slow Food serve a innovare la tradizione, costruendo una rete di scambio, di tutela, di opportunità».

 

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Filippo Cogliandro

Di lui si conosce la storia della sua lotta contro il pizzo. Ma quello che racconto oggi è il suo impegno per i Sud. Perché il luogo dove Filippo vuole tornare è il Gambia, il più piccolo dei Paesi africani continentali. «Poco dopo il mio rientro sono arrivate le foto dei banchi che abbiamo acquistato per aiutare la scuola islamica del villaggio di Jiffarong nel distretto di Kiang West. È stata una grande emozione. Tubabo (uomo bianco in wolof, nda) – il sottoscritto! – ha fatto un buon lavoro».

Filippo è l’emblema di ciò che significa fare rete: contattare e mettere in contatto persone, aziende territori e sviluppare nuove opportunità. Il suo viaggio alla scoperta del Gambia, assieme ai suoi cuochi gambiani, sponsorizzato da Olearia San Giorgio, presidio Slow Food del reggino, ne è prova.

La Notte dello Chef Afro-solidale

La sua storia inizia diversi anni fa: «Fui contattato dall’associazione Destino Benin, che mi propose di realizzare qualcosa assieme per raccogliere fondi a favore del Benin. Da quell’incontro nacque l’idea della Notte dello Chef Afro-solidale, una sorta di contest cui aderivano i cuochi di Reggio che avevo coinvolto. Organizzavamo un menù degustazione di dieci portate che comprendeva una quota di partecipazione per gli ospiti. Ogni cuoco era chiamato a presentare un proprio piatto. Io acquistavo la materia prima e la mettevo a disposizione di chi l’avrebbe trattata. Tutto l’incasso delle serate veniva devoluto a Destino Benin che lo utilizzava per portare avanti i propri progetti di solidarietà e cooperazione.

 

Ogni anno veniva eletto lo chef afro-solidale dell’anno, i cui piatti erano stati scelti e/o preferiti agli altri. Poi la pandemia non solo ci ha bloccati, ma ha impedito che il residuo dei fondi donati all’associazione potesse essere speso. Quel residuo sono i soldi che poi sono stati utilizzati durante la mia missione per acquistare quei banchi per i 92 bambini della scuola di Jiffarong, il villaggio di Salihu, perché le scuole arabe non ricevono fondi statali e la loro attività si basa sulla possibilità delle famiglie di finanziarle. Cosa non sempre scontata».

Il Gambia e il sistema scolastico

Il Gambia, a maggioranza musulmana, solo nel 2017 ha abbattuto la dittatura che lo opprimeva. Oggi è una Repubblica nuova e fragile che chiaramente ha bisogno di tutto. Il suo sistema scolastico è basato su quello inglese. Esistono asili statali laici, privati e islamici, ma solo i primi sono oggetto di finanziamento pubblico. Nonostante l’articolo 30 della Costituzione preveda un’istruzione libera, obbligatoria e accessibile a tutti, nella pratica il governo non è riuscito a renderla gratuita fino al 2013 per la scuola primaria, al 2014 per la scuola media e al 2015 per la scuola secondaria.

Accanto al sistema scolastico laico statale ne esiste anche uno islamico con oltre 300 mandrasa dove, oltre alle normali materie scolastiche, vengono insegnati i valori islamici e le sure del Corano a memoria. Le statistiche riportano che, nel 2014, approssimativamente il 15% dei bambini ha completato lì i cicli scolastici obbligatori. Una percentuale importante che dà il polso di come avvenga l’istruzione nei villaggi rurali lontani dalla capitale Banjun.

Filippo Cogliandro, Abdou Dibbasey e Salihu Barrow

Il rapporto di Filippo Cogliandro con l’Africa e col Gambia è figlio di una storia precedente. Nel 2013 Abdou Dibbasey e Salihu Barrow sbarcano in Italia. Li attende la trafila di tutti i richiedenti asilo, dato che il Gambia è sotto la dittatura di Jammeh: la richiesta di protezione, l’audizione in Commissione Territoriale, il programma di accoglienza. I ragazzi iniziano il loro percorso di inserimento fin quando, su richiesta della struttura, Filippo attiva dei corsi professionalizzanti di cucina per gli utenti stranieri che di lì a poco sarebbero usciti dai programmi e avrebbero dovuto trovare lavoro. Saper cucinare li avrebbe facilitati.

«L’obiettivo era dunque quello di trasmettere gli elementi basici della cucina italiana ed europea. Dalla pasta fresca alle salse base. Fu un’esperienza bellissima. Abdou e Salihu si erano dimostrati molto interessati. Poi, quel centro di accoglienza venne chiuso e gli utenti distribuiti in tutta la Regione. Saliou ed Abdou, che erano arrivati in Italia insieme, che avevano condiviso quel viaggio e che, fin dal Gambia, si sostenevano a vicenda, furono separati. Mi scrivevano dicendo che volevano rientrare a Reggio e volevano farlo insieme. Ma non esisteva altra possibilità che chiedere il loro affidamento. E questo feci. Iniziammo le procedure. Nel frattempo, Abdou divenne maggiorenne ed era sul punto di dover lasciare il centro dove risiedeva. La mia proposta fu quella di fargli un contratto di apprendistato. Salihu che, invece, era ancora minorenne, mi fu affidato per quattro mesi fino al compimento dei suoi diciotto anni. Anche lui mi chiese di poter diventare un cuoco e anche a lui proposi un contratto di apprendistato.

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Abdou Dibbasey e Salihu Barrow

Ancora oggi sono qui con me, sono i miei cuochi e non hanno solo imparato a cucinare, ma anche a gestire un’azienda di ristorazione: analizzare i costi di approvvigionamento, gestire la sala, occuparsi della parte finanziaria. È la dimostrazione di due cose importanti: la prima è che se vuoi, se ti impegni, ce la fai; la seconda è che stringere alleanze permette di raggiungere obiettivi importanti. Abdou e Salihu sono la ragione che mi ha portato in Gambia, sono stati i miei compagni di viaggio e sono i primi mattoni del ponte che sto costruendo».

Un ponte tra la Reggio e il Gambia: Sud chiama Sud

Si tratta del ponte tra Reggio e il Gambia. Abdou è il più giovane cuoco extracomunitario dell’Alleanza Slow Food in Italia; insieme lui e Salhiu, Filippo visita il Gambia in qualità di ambasciatore di Slow Food Calabria. L’idea è diffonderne i valori e l’attività ed entrare in relazione con il Convivium Slow Food Gambia. L’incontro con la referente, Ndeye Corr-Sarr, getta le basi per esplorare opportunità di scambio tra i prodotti calabresi e gambiani.

Un momento del viaggio di Filippo Cogliandro in Gambia

«Non mi aspettavo un’accoglienza tanto calorosa. Ho incontrato le massime autorità del Paese: il Presidente della Repubblica Barrow, il ministro degli Esteri, quello dell’Istruzione, il Presidente dell’Assemblea parlamentare e quello del partito di maggioranza. Proprio il Presidente Barrow mi ha detto: “Se volete davvero aiutarci, fate in modo che i nostri ragazzi non lascino il Gambia. Se vanno via i giovani, scompare il futuro“. Vorrei tornare lì e aprire un punto di ristorazione che sia attività imprenditoriale e centro di formazione per chi vuole fare cucina. E voglio che Abdou e Salihu, che desiderano fare ritorno, possano mettere a disposizione le competenze che ho trasmesso loro e fare ciò che io ho fatto con loro: formare e addestrare altri ragazzi. Per questo il viaggio è servito anche a prendere i primi contatti con le scuole alberghiere del luogo.

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Filippo Cogliandro e Adama Barrow, Presidente della Repubblica del Gambia

Lo stesso ministro degli Esteri ha accolto con grande piacere la mia proposta e sta valutando la possibilità di creare un consolato onorario a Reggio che sia punto di riferimento per i gambiani che risiedono in Calabria, Sicilia, Puglia. Un primo passo per aprire nuove opportunità di interscambio commerciale tra Reggio e Gambia, dove esiste un buon artigianato, ma manca la piccola industria e non vi sono processi di produzione moderni».
Gli emigrati gambiani giocano un ruolo importante. Già con le loro rimesse e il loro sostegno dall’estero inviano aiuti in patria che spesso sono impiegati migliorare la vita dei loro villaggi. A Jiffarong, ad esempio, stanno realizzando la delimitazione dello spazio cimiteriale assediato dagli animali selvatici. Persone come Abdou e Salihu potrebbero portare, oltre al denaro, le competenze.

Le prospettive future

«Proseguiremo con la realizzazione del tetto della scuola di Jiffarong, sostituendo il vecchio in lamiera con un nuovo coibentato. Noi compreremo i materiali e le famiglie degli studenti lo realizzeranno. Entro fine anno, prima dell’inizio della stagione delle piogge, doneremo i 2000 euro necessari che stiamo raccogliendo, cosicché i ragazzi possano frequentare la scuola in condizioni più dignitose. Tubabo tornerà per continuare a seminare. Perché questo primo viaggio mi ha cambiato la vita e mi ha insegnato la solidarietà. Una solidarietà che ho visto praticare da chi ha nulla o quasi.

Considera questo: con i soldi che Abdou mandava a casa, il padre acquistava le batterie di alimentazione per gli impianti solari della sua casa. E, sapendo che i suoi vicini l’elettricità non ce l’avevano, inviava loro un suo cavo con la lampadina di modo che la luce arrivasse anche a loro. La bella storia di emigrazione del figlio era un dono di Dio e questa fortuna doveva essere condivisa. Oggi guardo le loro storie e rivedo, pur nella loro diversità, le storie di emigrazione italiana in Australia, America, Francia, Belgio, Svizzera. Lasciare il proprio paese è sempre dura, anche se oggi Internet ci consente di mantenere un contatto stabile».

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