Come un sovrano che prova a salvare il salvabile con il nemico alle porte. A nascondere, magari bruciare, i documenti sconvenienti. Nelle ore antecedenti e successive alla condanna per il “caso Miramare”, Giuseppe Falcomatà ha fatto un po’ così. Il nemico non era alle porte. Ma il tempo stringeva comunque.
La sospensione
Alle 20.22 di ieri sera, sostanzialmente cinque ore dopo la sentenza pronunciata dal Tribunale, il prefetto di Reggio Calabria, Massimo Mariani, ha infatti comunicato la sospensione dalla carica del sindaco di Reggio Calabria. Poco dopo le 15, il Collegio presieduto da Fabio Lauria lo aveva condannato a un anno e quattro mesi per abuso d’ufficio. Punito per l’assegnazione diretta, senza un bando di evidenza pubblica, dell’ex albergo Miramare all’imprenditore Paolo Zagarella. Suo amico di vecchia data.
Un provvedimento automatico, in forza della Legge Severino. Falcomatà, che è pure avvocato, già nel commento a caldo della sentenza lo dava per scontato. «L’Amministrazione andrà avanti», aveva però detto al folto numero di giornalisti presenti presso l’aula bunker di Reggio Calabria.
La frenesia delle nomine
Per questo si è adoperato parecchio. Circa un paio d’ore prima rispetto alla sospensione, Falcomatà, che, come è noto, è anche sindaco della Città Metropolitana, ha proceduto, da condannato in primo grado, alla nomina del nuovo vicesindaco metropolitano, Carmelo Versace. A essere colpito dalla sentenza (e, quindi, dalla Legge Severino) è infatti anche il fido avvocato Armando Neri, che, fino alla condanna, ha ricoperto il ruolo di vicesindaco metropolitano.
Ma le nomine per Falcomatà erano un pensiero già da tempo. Poco dopo le 14 (quindi sostanzialmente un’ora prima rispetto alla condanna) Falcomatà aveva già nominato il nuovo vicesindaco. Defenestrato in parte il professor Tonino Perna. Chiamato in pompa magna alcuni mesi prima, per dar lustro alla Giunta Comunale. Vicesindaco da esterno. Lui che aveva ricoperto ruoli importanti. Assessore con Renato Accorinti a Messina. Presidente del Parco Nazionale d’Aspromonte. Ma, soprattutto, intellettuale riconosciuto e apprezzato in città.
Parzialmente defenestrato perché Perna resta in Giunta. Con qualche delega minore. Al suo posto, Paolo Brunetti. Maresciallo della Guardia di Finanza. Una nomina che fa discutere. Perché Brunetti, negli anni, è stato assessore alla Depurazione e, oggi, all’Ambiente e al Ciclo Integrato dei Rifiuti. Che, in una città che patisce una cronica carenza idrica e che, in alcune sue zone, è letteralmente sommersa dall’immondizia, non è di certo un buon biglietto da visita.
E, sicuramente, non un motivo per una “promozione”.
Alla ricerca di uno “yes man”
Ma, soprattutto, Paolo Brunetti non è un esponente del Partito Democratico, il partito di Giuseppe Falcomatà. Brunetti, infatti, da qualche mese ha aderito a Italia Viva. Tra i pochi a scegliere il partito di Matteo Renzi. Che in altre province – non ultima quella cosentina, del renziano per eccellenza, Ernesto Magorno – ha cifre di iscritti poco lusinghiere.
Cosa si cela dietro questa scelta? Di certo Perna, per la sua storia di antagonismo, non poteva essere definito uno “yes man”. Non dava quindi sufficienti garanzie sulla linea da seguire in questi mesi. Perché, allora, accettare questa manovra al ribasso? Peraltro, Falcomatà era un po’ a corto di fedelissimi in Giunta. Non solo Neri, ma anche Giovanni Muraca è stato condannato nel processo “Miramare”. Proprio quel Giovanni Muraca candidato del sindaco alle ultime consultazioni regionali.
Brunetti non ha un profilo nemmeno paragonabile a quello di Perna. Ma, di certo, offre più garanzie sulla linea da seguire. Ma non è un esponente del Pd. E, con Italia Viva che, a livello nazionale, sembra sempre più appiattita sulle posizioni del centrodestra, questo potrebbe non essere troppo gradito.
Gioco di equilibri
Insieme a Nicola Irto, Giuseppe Falcomatà è sicuramente uno dei giovani politici emergenti del Partito Democratico. Che, come ha dimostrato la scelta non troppo convincente di Amalia Bruni come candidata alla presidenza della Regione, ha diversi problemi nel ricambio generazionale. Nonostante gli anni da sindaco di Reggio Calabria non siano stati particolarmente esaltanti, Falcomatà rimaneva comunque uno dei giovani esponenti democratici più apprezzati.
La condanna, seppur di primo grado, segna ora una prima, vera, brusca frenata nella carriera politica di Falcomatà. Ma la scelta di non designare come sindaco facente funzioni un esponente del Pd, magari un esterno, potrebbe nascondere qualcosa di molto interessante sotto il profilo politico.
Innanzitutto, dice qualcosa sui rapporti che il sindaco (sospeso) di Reggio Calabria potrebbe avere con il proprio partito. Nelle ore successive alla condanna, infatti, Falcomatà ha incassato la solidarietà dell’Anci. Persino del sindaco di Catanzaro, Sergio Abramo, già Forza Italia e oggi Coraggio Italia. Ma nessun leader del Pd è intervenuto.
Ma, ancor più interessante, forse, sarebbe la necessità di tenere compatta la maggioranza. Che, con un Comune decapitato, si sarebbe potuta anche sfaldare. E questo Falcomatà non lo vuole. E proprio nell’ultima settimana, la maggioranza consiliare aveva mostrato qualche preoccupante scricchiolio. In Commissione, alcune mozioni presentate dai consiglieri di maggioranza non erano passate, anche a causa del “fuoco amico” di altri colleghi di partito e di coalizione. Che, uscendo dall’aula, avevano fatto mancare il numero legale.
Insomma, l’obiettivo è chiaro: evitare una escalation pericolosa.
Fine?
Sì, perché Falcomatà sogna già il ritorno. Innanzitutto per il ricorso pendente davanti alla Corte Costituzionale sulla Legge Severino. E poi per la possibilità di impugnare (con successo) il provvedimento di sospensione. In passato, infatti, da Luigi De Magistris a Vincenzo De Luca, tanti sono stati i politici che hanno vinto la battaglia amministrativa. Ironia della sorte, gli unici a non impugnare la sospensione, nella storia, sono stati Silvio Berlusconi e Giuseppe Scopelliti.
Falcomatà, quindi, potrebbe tornare in sella molto presto qualora decidesse di opporsi alla Legge Severino. Per questo serviva mantenere la maggioranza compatta. Lo scioglimento del consiglio comunale avrebbe portato a un commissariamento che, con i soldi del PNRR in arrivo, sarebbe stato esiziale sotto il profilo politico.
Ancor di più pensando che, appena un anno fa, Falcomatà è riuscito a essere riconfermato sindaco solo al ballottaggio. Sebbene il centrodestra esprimesse un candidato della Lega oggettivamente poco gradito alla cittadinanza. Un ritorno al voto, quindi, potrebbe avere esiti molto incerti.
Ma, al momento, nonostante alcune uscite nazionali (su tutte, quella di Matteo Salvini) l’ipotesi non sembra essere contemplata. Di certo, Giuseppe Falcomatà non si aspettava un percorso del genere. Lui, figlio di Italo Falcomatà, sindaco della Primavera Reggina. Lui che era stato eletto sindaco dopo gli anni del “Modello Reggio”. E dopo la vergogna nazionale dello scioglimento per contiguità con la ‘ndrangheta.
Lui che doveva risollevare Reggio Calabria. E che è stato travolto, come tanti, dall’onda della giustizia.