In politica non esistono spazi vuoti. È una regola conosciuta da tutti. E così, da scelte poco coraggiose, da comportamenti ondivaghi, non può che nascere il caos. Con il ritorno in auge anche di chi sembrava ormai finito nell’oblio definitivo sotto il profilo istituzionale. È quanto sta accadendo a Reggio Calabria. La città è nel bel mezzo di una crisi politico-amministrativa, dopo la condanna del sindaco Giuseppe Falcomatà nell’ambito del processo sul cosiddetto “Caso Miramare”. Un anno e quattro mesi per aver di fatto “regalato” a un imprenditore amico una parte di uno dei “gioielli di famiglia” della città. Una sentenza che ha portato all’automatica sospensione del primo cittadino in base alla Legge Severino.
Una settimana fa
A distanza di una settimana, la città naviga a vista. Falcomatà si è affrettato a spargere nomine qua e là, tagliando fuori, di fatto, il Partito Democratico. Il Comune di Reggio Calabria e la Città Metropolitana sono oggi retti da un nuovo vicesindaco, Paolo Brunetti. Esponente di Italia Viva, nominato in fretta e furia prima che la condanna cadesse sulla testa del giovane sindaco. Inoltre, per la nomina di vicesindaco della Città Metropolitana, Falcomatà ha dato un ulteriore schiaffo al Pd: con la nomina di Carmelo Versace, esponente di Azione, il movimento di Carlo Calenda.
Ma non finisce qui. Con una mossa che per molti è sembrata incredibile, Falcomatà ha rimosso dal ruolo di vicesindaco il professor Tonino Perna. Intellettuale molto conosciuto e stimato in città, era stato chiamato per rianimare l’Amministrazione dopo i primi cinque anni oggettivamente deludenti. Senza nemmeno una telefonata, Falcomatà lo ha degradato ad assessore.

Una scelta che Perna non ha accettato. Non poteva accettarla. E così, ha rassegnato le dimissioni. Non prima, però di aver demolito la figura personale e politica di Falcomatà nel corso di una conferenza stampa. Perna ha parlato di «città allo sbando». Ha ammonito sul concreto rischio, per Reggio Calabria, di perdere cospicui fondi per l’occupazione giovanile, se non si interverrà entro dicembre. «Sarebbe un atto criminale» ha detto. Ha definito Falcomatà «una personalità complessa, da studiare». Dove per molti il «da studiare» significa “da curare”.
Comportamenti schizofrenici
La chiarezza non è di casa. Per nessuno dei protagonisti. Falcomatà, infatti, ha preannunciato ricorso contro la sospensione. Di fatto, continua a fare il sindaco, almeno stando a quanto emerge dai social, dove commenta interventi di manutenzione e supervisiona i cantieri. Eppure è ormai acclarata quella che sembra essere una exit strategy per il primo cittadino: la vittoria di un concorso come dipendente amministrativo presso il Comune di Milano. Qualcosa che parrebbe presagire un piano B per il giovane esponente del Pd, ormai ai ferri corti con il suo partito.
Già, il Pd. I retroscena raccontano della furia del responsabile Enti locali dei Democratici, Francesco Boccia, in alcune riunioni dopo la sospensione di Falcomatà. Al Pd, le scelte del sindaco sospeso sono sembrate un appiattimento sulla posizione di Matteo Renzi. Cui Falcomatà, un tempo, era molto legato. In tanti ricordano endorsement e selfie tra i due. Maestri della (eccessiva) comunicazione tramite social. Ma, come spesso accade quando di mezzo c’è il Partito Democratico, la montagna ha partorito un topolino. Perché dalle lunghe riunioni interne, l’ira funesta del Pd si è trasformata in una posizione a dir poco ibrida. I Democratici si limitano a chiedere nuovo slancio all’Amministrazione Falcomatà/Brunetti. Con un rimpasto o, al massimo un azzeramento della Giunta.
Parola d’ordine: conservazione
Posizione ben diversa rispetto a quanto sostenuto, in passato, tanto dal Pd, quanto da Italia Viva, sostanzialmente. «Ora bisogna andare subito al voto anticipato: lo dobbiamo ai calabresi». Così si esprimeva l’allora segretario regionale del Pd, Ernesto Magorno. Fine marzo 2014. Giuseppe Scopelliti è presidente della Giunta Regionale della Calabria e poche ore prima è stato condannato in primo grado a sei anni nell’ambito del “Caso Fallara”. Sentenza, negli anni, divenuta definitiva e irrevocabile, portando l’ex sindaco del “Modello Reggio” dietro le sbarre.

Magorno chiedeva le dimissioni di Scopelliti: «La notizia di questa sera conferma, anche dal punto di visto etico, la necessità di ridare la parola ai calabresi. La Calabria deve voltare pagina, ritrovare fiducia nella politica e affidarsi ad un’esperienza di rinnovamento e buon governo, che ponga come priorità la questione morale e della lotta alla criminalità». Oggi il Pd tace sulla cosiddetta “questione morale”. È infatti palese che condurre il Comune verso il commissariamento significherebbe correre verso una sonora sconfitta elettorale alla prima occasione utile. Il consenso di Falcomatà e del centrosinistra, infatti, è ai minimi termini. Gode invece Italia Viva. Irrilevante nei numeri, ma ad amministrare il comune di una città metropolitana. E lo stesso Magorno, renziano della prima ora e quindi passato a Italia Viva, è, ovviamente, tra i principali sostenitori dell’Amministrazione Comunale di Reggio Calabria, decapitata.
A volte ritornano
Un simile scenario non può non aver fatto ringalluzzire chi sembrava (giustamente) destinato all’oblio. Nelle riunioni partitiche e interpartitiche, infatti, è tornato a fare la voce grossa persino l’ex assessore regionale al Lavoro, Nino De Gaetano. Scomparso dai radar dopo essere finito agli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta “Erga omnes”, sullo scandalo dei rimborsi elettorali del Consiglio Regionale. Soggetto che il Pd aveva, per un periodo, tenuto ai margini, anche per via di alcune pesanti risultanze investigative della Dda di Reggio Calabria. Nel covo dove verrà catturato il superboss Giovanni Tegano, infatti, saranno ritrovati “santini” di Nino De Gaetano. Indicato come candidato gradito alla potente famiglia di Archi, per il tramite del suocero, oggi defunto.
Ma già nel corso delle ultime consultazioni regionali, De Gaetano era riuscito a infiltrare nuovamente il Partito Democratico piazzando lì il suo fidato Antonio Billari. Consigliere regionale uscente, perché ripescato dopo le dimissioni di Pippo Callipo nel corso della precedente consiliatura. Oggi sogna un nuovo ingresso, qualora Nicola Irto dovesse optare per una candidatura alla Camera dei Deputati, appena possibile.
Cosa accadrà?
De Gaetano, quindi, è riaffiorato dalla penombra in cui era sprofondato. E adesso detta la linea. È stato lui stesso a parlare per primo di azzeramento della Giunta comunale. Un messaggio alla città che doveva arrivare dal sindaco sospeso Falcomatà. O dal suo facente funzioni, Brunetti. O, magari, dal Pd, che è il principale partito rappresentato in consiglio comunale.

Non di certo da De Gaetano, che non avrebbe titolo per parlare. Ma la sua compagine politica è determinante nei numeri. E, quindi, passano appena poche ore e il facente funzioni Brunetti, con una nota ufficiale, cede ai desiderata. Annunciando un azzeramento delle deleghe nel giro di pochi giorni.
Il toto-nomi
E, ovviamente, si scatena il toto-nomi. Il Pd, principale azionista dell’amministrazione comunale reggina, si ritrova attualmente con un solo assessore, l’anziano Rocco Albanese, in consiglio comunale da una vita. Ma De Gaetano & co. chiedono spazio. E sono almeno quattro i consiglieri comunali che fanno riferimento all’ex assessore regionale. Uno o forse due, tra questi, potrebbero entrare in Giunta. Mentre il Pd, che vanta il maggior numero di donne, potrebbe puntare ad alcuni ingressi in nome delle “quote rosa”.
A fare spazio potrebbe essere qualche esterno, quindi. Vacilla, allora, la posizione di Rosanna Scopelliti, figlia del giudice Antonino Scopelliti. Anche lei, come Perna, era entrata nel “secondo tempo” dell’Amministrazione Falcomatà per ridare slancio. Ma adesso potrebbe ricevere un “arrivederci e grazie”.
L’impalpabile centrodestra
In tutto ciò, sul podio delle posizioni imbarazzanti, non può che salire anche la (non) posizione del centrodestra. Che, almeno sulla carta, dovrebbe effettuare una serrata opposizione alla maggioranza di centrosinistra. E, invece, nell’arco di una settimana, non è riuscito a mettere in piedi una posizione pubblica che fosse una. Solo nelle ultime ore, una nota firmata, tra gli altri, dal deputato di Forza Italia, Francesco Cannizzaro e dalla sua omologa di Fratelli d’Italia, Wanda Ferro. I due hanno chiesto una posizione netta al Governo sul caso Reggio Calabria. Attribuendo anche al sottosegretario Nicola Molteni frasi che lascerebbero presagire la possibilità di decisioni gravi sul Comune di Reggio Calabria. Ma, al momento, tutto sembra un bluff. Anche per celare l’imbarazzante comportamento dell’opposizione nella lunga settimana post sentenza sul “Caso Miramare”.
Incollati alla poltrona

Nelle ore successive alla condanna di Falcomatà trapelava l’idea di dimissioni di massa. Ma, alla conta, non più della metà dei consiglieri di minoranza avrebbe effettivamente lasciato il proprio posto. Tra i fondoschiena maggiormente incollati alla poltrona, quello del (presunto) capo dell’opposizione. Quell’Antonino Minicuci che, per il voto del settembre 2020, era stato scelto addirittura da Matteo Salvini. Perderà nettamente contro Falcomatà, ma dopo averlo costretto al ballottaggio. A distanza di un oltre un anno, di Minicuci si ricordano solo alcune tragicomiche uscite in Consiglio Comunale. Tra frasi dialettali e parolacce.
Ma l’impressione è che, se si tornasse al voto, persino lui potrebbe vincere contro un centrosinistra così ridotto ai minimi termini.