L’anagrafe ha archiviato un pezzo importante della storia calabrese contemporanea: l’architetto e urbanista Empio Malara.
Malara è scomparso la mattina del 19 gennaio alla non tenera – e, per molti, invidiabile – età di 90 anni, dopo averne passato molti a disegnare città, a valorizzarne altre e a sognarne altrettante.
Un architetto per due città
Vaga formazione anarchica e solida militanza socialista, il cosentino Empio Malara fece carriera nella Milano non ancora “da bere” degli anni ’70.
C’è da dire che si trovò bene anche in quest’ultima, dato che, grazie a una solidità professionale quasi senza pari e a una concezione visionaria dell’urbanistica, riuscì a superare indenne gli anni ruggenti del craxismo e la loro fine tragica.
Milanese d’adozione e cosentino legato alle origini, come i migranti vecchia maniera. E non a caso, i necrologi che lo ricordano sono usciti in contemporanea sulle testate calabresi (va da sé) e sul Corriere.
Empio Malara “polentone”
L’urbanistica è questione di sensibilità ed empatia, coi territori e chi li vive.
Non a caso, a Milano Malara si concentrò sui Navigli, che voleva pienamente navigabili, anche a scopi commerciali.
Al riguardo, c’è da scommettere che dietro la rivalutazione dellecase di ringhiera, una volta sinonimo di povertà (di cui resta traccia nei racconti di Giorgio Scerbanenco) ma oggi molto “trendy”, ci sia il suo zampino.
In ogni caso, Malara ha avuto molti riconoscimenti dalla Milano profonda, a partire da un attestato di benemerenza civica.
Empio Malara “terrone”
La parabola professionale di Malara in Calabria evoca il titolo di un film: Ritorno al futuro.
L’urbanista, già archistar fu ingaggiato da Cecchino Principe per evitare che lo sviluppo di Rende, lanciatissima dall’Unical, diventasse caotico.
Sensibilità ed empatia significavano una cosa nella Calabria degli anni ’70: immaginare i desideri di sviluppo e crescita economica degli abitanti della zona.
La Rende avveniristica di Empio Malara
Malara disegnò una Rende futuribile, in cui i palazzoni coesistevano col verde e, soprattutto, non evocavano certe immagini lugubri da socialismo reale (o, spesso fa lo stesso, da edilizia meridionale doc).
Uno dei suoi fiori all’occhiello resta Villaggio Europa: un quartiere popolare all’avanguardia, che comprendeva, al suo interno, scuole e strutture sportive.
Nel suo caso, l’architettura diventava il forcipe dell’emancipazione sociale: la povertà non era sinonimo di degrado e la necessità di ricorrere all’edilizia popolare non obbligava ad accontentarsi.
Un progetto tra due epoche
Fin qui (e in estrema sintesi) i meriti. Purtroppo, il tempo denuda anche i limiti.
La visione di Malara nacque in una fase storica in cui ancora non si parlava di “Grande Cosenza” né di città unica.
Cosenza era ancora al massimo della sua capacità urbana e Rende aveva appena iniziato il suo sviluppo prodigioso. Quindi la Rende ideata dal vecchio Principe e disegnata da Malara era bella ma non ambiziosa: era la prosecuzione ad est di Cosenza, troppo intasata e bloccata dai suoi colli per sviluppare a ovest.
Invece, a partire dagli anni ’80, la città del Campagnano si pose un altro obiettivo: far concorrenza al capoluogo per servizi e qualità della vita. Il disegno di Malara restava, ma i motivi ispiratori erano stravolti.
Le ultime polemiche
Offrono ancora parecchi spunti di riflessione le polemiche della scorsa primavera tra l’architetto e Sandro Principe.
Malara, da un lato, rivendicava il suo “disegno” originale, che si basava su un ruolo di Rende importante ma comunque subalterno.
Principe, dall’altro, ribadiva come la Rende di Malara fosse un sogno degli anni ’70 diventato “altro”, cioè una città autonoma e non “servente”.
Il ricordo
Non è questa la sede per approfondire certe dispute. Ma resta evidente che, in questo dibattito tra un amministratore col pallino dell’urbanistica e un urbanista che ha dato forma a un disegno politico, si è riflesso l’eterno dibattito tra tecnici e politici.
Malara, milanese adottivo se n’è andato anche come cittadino onorario di Rende, reso tale dall’attuale amministrazione che vive un rapporto problematico col passato riformista.
Di Malara rimane, al netto di polemiche evitabilissime (anche da parte sua), il ricordo di una visione legata al sogno di uno sviluppo mai realizzatosi per davvero.
Una promessa tradita? Senz’altro. Ma anche una promessa grande.