Dodici anni con una Seicento per casa: Francesca, signora dei gatti

Il giorno del funerale di sua madre ha dormito in macchina e da allora è diventata la sua abitazione. Il quartiere l'ha adottata, dandole una mano a trovare una struttura in cui ricevere le cure mediche di cui ha avuto all'improvviso bisogno. Ma lei sogna di tornare presto alla sua vita libera e agli amati animali che le fanno compagnia

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Ha vissuto dodici anni in una Seicento nel centro della città. Oggi Francesca, la homeless di via Macallè, ha una stanza con i riscaldamenti e un bel panorama dalla finestra, il suo letto e un bagno personale. Ha anche nuovi amici nella struttura residenziale che l’ha accolta dopo tante peripezie.
Francesca ha 65 anni, capelli brizzolati lunghi e curati, dizione perfetta, lessico ricco, ama il cinema e le mostre. Tanti fatti da raccontare di inverni freddi, acqua gelida, stenti, angherie da parte di delinquenti e disperati.
La sua Seicento colore blu Capri è parcheggiata nel centro di Cosenza, a pochi passi dal museo all’aperto e dal passeggio del sabato sera, sempre più sobrio tra una pandemia e una guerra.

Un cortile come soggiorno e cucina

Ha una ferita sulla pancia, a ricordarle l’operazione per occlusione intestinale che le ha salvato la vita. Doveva diventare un medico e si è ritrovata a vivere in strada con i suoi gatti che conosceva uno per uno, che accudiva ogni giorno elemosinando cibo per sfamarli e coinvolgendo veterinari di buon cuore. Perché è difficile rispondere con un no al suo garbo e al suo sorriso.
Una vita durissima, con coltelli piantati in gola in piena notte, vandali, ladruncoli che le hanno portato via finanche la carta d’identità.

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Il cortile di Francesca (foto Benedetta Caira) – I Calabresi

Ha abitato estate e inverno in un minuscolo cortile, che è stato il suo soggiorno e la sua cucina. Chi passa può vedere le piantine che curava, le stoviglie, le sedie e un tavolino sgangherato. È dallo scorso dicembre che la gattara non c’è più. C’è un silenzio irreale tra i suoi cartoni, le sue coperte, i ricordi di oltre un decennio. Il malore di dicembre ha cambiato tutto. Adesso ha anche un amministratore di sostegno. Il tribunale di Cosenza l’ha affidata all’avvocato Giacomo Ammerata. Sarà il professionista a decidere per lei da ora in poi. Un’assistente sociale ha fatto richiesta urgente alla sezione Giudice tutelare e in tre giorni ha avuto la risposta.

Un’assistente sociale per tre ospedali

Manuela Bartucci è l’unica assistente sociale dei tre ospedali dell’Azienda sanitaria cosentina. È una che le storie maledette non le scansa, ma le abbraccia strette fino a quando non trova una soluzione. Dal pronto soccorso ai reparti è un inferno dei viventi. Miseria, drammi familiari, destini bui. Nel momento in cui il dottore Pietro Aiello, responsabile di medicina d’urgenza, le ha affidato Francesca, ha iniziato a bussare a tante porte, prima per assicurarle un soggiorno di riabilitazione, poi per non farla più tornare in macchina.

«Se non avesse avuto una ferita importante – dice Manuela, – e un percorso terapeutico da affrontare per altre patologie, probabilmente l’avrei lasciata alla sua libertà. In questo momento si trova in una struttura residenziale e assistenziale e i suoi gatti sono stati adottati da un veterinario. Io non l’ho mai abbandonata. Proprio oggi la medicina di base ha rilasciato il suo codice esenzione per le spese sanitarie e nel frattempo mi sto dando da fare per farle ottenere la pensione d’invalidità».

Francesca, la Seicento e i gatti

Per la signora clochard si è messa in moto una rete solidale, ma non tutto è filato liscio. Farle avere un letto nella casa d’assistenza non è stato semplice. Senza documenti e senza il suo consenso. Perché Francesca voleva tornare nella Seicento, prendersi ancora cura dei suoi gatti, continuare a vivere in strada. E a quel punto Manuela Bartucci ha pensato di farle avere un tutore per superare l’ostacolo.

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Uno dei gatti di Francesca

«Francesca è una cara persona. Si è abituata a vivere così con il passare del tempo. Studiava medicina a Roma – racconta Antonia De Rose, un’amica del quartiere. – Si è ritirata dalla facoltà della Sapienza e ha vissuto con la madre in una casa nei pressi di via Macallè. Alla morte della madre, proprio dopo il funerale, mi ha raccontato, non è riuscita più ad entrare in casa per via di contrasti familiari con altri parenti. La sera stessa ha dormito in macchina. La Seicento è da sempre parcheggiata nello stesso angolo di strada, le ruote si sono sciolte sull’asfalto».

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Manuela Bartucci, assistente sociale in ospedale a Cosenza

Adottata dal quartiere

Ciò che è incredibile, dicono nel quartiere, che pur vivendo da barbona è sempre riuscita a conservare la sua signorilità.
«L’aspetto bello della storia di Francesca – racconta ancora Manuela Bartucci, – è che il quartiere l’ha adottata. Sono stati gli abitanti e i commercianti a comprare il corredo per il ricovero, dai pigiami alle vestaglie ai saponi. Hanno rispettato la sua scelta e le hanno sempre dato una mano. Anche le forze dell’ordine hanno cercato di proteggerla e di aiutarla. Nel vicinato c’era chi le offriva il proprio magazzino e una fontana da usare, chi la lavatrice per il bucato e qualcuno ogni tanto le dava un po’ di soldi per garantirle qualche giorno di sopravvivenza».

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Francesca sorridente nella struttura che la ospita in questo momento

Manuela Bartucci incontra tante storie disperate ogni giorno, non ha colleghi con cui dividere il lavoro. Gli altri assistenti sociali sono sparsi sul territorio. Sicuramente non in via Macallè.
Nei pensieri di Manuela in queste ore c’è Blessing, una giovane nigeriana richiedente asilo e senza fissa dimora. È stata dimessa da poco dal reparto covid e ha avuto tanti ricoveri, in diverse città, per problemi psichiatrici. «Un’altra storia che mi è rimasta nel cuore è quella di Roberto, un ragazzo disabile accompagnato in pronto soccorso, per una febbre alta, da sua madre Maria, diabetica e cardiopatica. Dopo aver affidato suo figlio ai sanitari, si è sentita male ed è morta. Roberto adesso vive all’estero con i suoi fratelli».

The lady in the Seicento

Nella residenza assistenziale Francesca sta bene, è serena ma ogni tanto le viene la nostalgia. «Voglio tornare a “casa”, a sistemare le mie cose», dice a medici e infermieri. «Vorremmo accontentarla, ma per il rischio covid non possiamo prendere iniziative e inoltre la paziente dovrà presto affrontare una terapia salva vita». Una battaglia dura e lei ne è consapevole.
Chiacchiera e stupisce tutti per i termini medici appropriati che usa. Racconta di aver fatto l’infermiera e di aver studiato alla Sapienza. Dell’ateneo romano la colpì l’omicidio della studentessa Marta Russo. Episodio che non ha mai dimenticato, che l’ha misteriosamente tormentata per anni.

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Una scena di The lady in the van

«Anche oggi l’ho sentita per telefono – continua la sua amica Antonia, – pensa ai suoi gatti e mi ha detto che vuole recuperare una valigia con le sue cose. Vorrebbe riavere alcune fotografie scattate durante un viaggio in Sicilia». Uno dei tanti della sua vita vissuta in una macchina ma come in un romanzo. Francesca come Miss Mary Shepherd di The lady in the van, personaggio ispirato a una tosta signora inglese che ha vissuto in un furgone tra il ’74 e l’‘89 nel vialetto di casa di Alan Bennett, lo sceneggiatore che su questa storia vera poi ha scritto il film.
La lady in the Seicento di via Macallè ha avuto una città che l’ha protetta. «Se fosse stata Roma o un altro luogo – conclude Antonia, – la vita di Francesca sarebbe stata più difficile e probabilmente più breve».

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