Arcaica da un lato, con «la fedeltà alle origini e la strutturazione su base familiare». Modernissima dall’altro, grazie a «massima flessibilità ed intuito affaristico-finanziario che la proietta all’esterno». Un mostro dai due volti, la ‘ndrangheta secondo l’ultima relazione semestrale della Dia, che «si conferma l’assoluta dominatrice della scena criminale anche al di fuori dei tradizionali territori d’influenza».
La Dia e la ‘Ndrangheta nel Nord Italia e in Calabria
Se esistesse un campionato del crimine, la ‘ndrangheta sarebbe saldamente in testa alla classifica e con parecchi punti di vantaggio sui rivali. Innanzitutto perché – restando alla metafora sportiva – anche nelle trasferte più lontane gioca in casa. «Le inchieste sinora concluse hanno infatti consentito di individuare nel Nord Italia 46 locali, di cui 25 in Lombardia, 16 in Piemonte, 3 in Liguria, 1 in Veneto, 1 in Valle d’Aosta ed 1 in Trentino Alto Adige», riporta la Dia. E poi perché quando trova concorrenza sul territorio, tende ad «instaurare forme di collaborazione utilitaristiche con consorterie di diversa matrice mafiosa giustificate per lo più da specifiche contingenze».

L’analisi della presenza criminale di regione in regione si trasforma così in un lungo elenco di cognomi tristemente noti a queste latitudini. Si va dagli Alvaro e i Carzo ai Piromalli, passando per i Mancuso e i Morabito, i Grande Aracri e i Gallace, i Farao-Marincola e i Pelle, i Bellocco e molti altri ancora. Ci sono la capitale e il litorale romano, i grandi porti della Liguria ma anche la piccola Valle d’Aosta e il Sud Tirolo. Non importa si tratti di zone a vocazione industriale come la Lombardia, il Veneto e il Piemonte oppure di territori dove sono le piccole imprese a reggere l’economia, come l’Umbria. La ‘ndrangheta arriva e trova il modo di fare affari. Si tratti di appalti in Emilia, smaltimento di rifiuti in Toscana, trasporti in Friuli, ricostruzione post terremoto in Abruzzo.
Dia: la ‘Ndrangheta fuori dall’Italia
Impossibile non parlare di cocaina, il business che ha fatto la fortuna dei clan calabresi. La ‘ndrangheta ha ancora un porto come quello di Gioia Tauro in cui ha piantato le sue radici. Ma si dà da fare anche in quelli di Genova, La Spezia, Vado Ligure e Livorno per l’alto Tirreno. Perché «i sodalizi calabresi continuano a rappresentare gli interlocutori privilegiati per i cartelli sudamericani in ragione degli elevati livelli di affidabilità criminale e finanziaria, garantiti ormai da tempo». Quest’affidabilità ha permesso loro di espandere il giro d’affari finanche in Africa occidentale, «in particolare la Costa d’Avorio, la Guinea-Bissau e il Ghana».

Ma l’elenco della ramificazione capillare della ‘ndrangheta nel mondo è lunghissimo. L’egemonia criminale calabrese si registra nel campo delle scommesse online a Malta come nei grandi porti francesi, belgi, tedeschi e olandesi, sulla rotta dei Balcani (Romania in particolare) come nei paesi ex sovietici. Qui, scrive la Dia, «in particolare la ’ndrangheta – la più diffusa a livello globale e la più “liquida” fra le mafie – potrebbe trarre i maggiori vantaggi sia dai traffici illeciti indicati in premessa (droga, armi, sigarette e altre merci illegali, ndr), sia dalla ricostruzione postbellica». La ‘ndrangheta canadese ha acquistato maggiore autonomia, nonostante l’indissolubile legame con la provincia di Reggio. Quella statunitense coopera con Cosa Nostra grazie anche ai solidi rapporti che ha con i cartelli della droga dal Messico fino all’Argentina. In Australia è radicata da 100 anni.
Dove finiscono i soldi della coca
I clan trasformano così fiumi di droga in un mare di denaro che alimenta tutto il resto degli affari. La ‘ndrangheta con quei soldi, ad esempio, si propone «a imprenditori in crisi di liquidità dapprima come sostegno finanziario, subentrando poi negli asset e nelle governance societarie per capitalizzare illecitamente i propri investimenti». Come prendere due piccioni con una fava: riciclando i guadagni illeciti, le cosche riescono al contempo a impadronirsi di ampie fette di mercato inquinando l’economia legale.
E poi c’è l’area grigia in cui si muovono professionisti compiacenti e pubblici dipendenti infedeli che gestiscono la cosa pubblica. Lì, grazie alla loro comprovata abilità, le ‘ndrine sguazzano. Infiltrano «compagini amministrative ed elettorali degli enti locali al fine di acquisire il controllo delle risorse pubbliche e dei flussi finanziari, statali e comunitari, prodromici anche ad accrescere il proprio consenso sociale». Gli affari ora si fanno senza fare troppo rumore, indossando giacca e cravatta. Gli ‘ndranghetisti sono «straordinariamente abili nell’adattarsi ai diversi contesti territoriali e sociali prediligendo, specialmente al di fuori dai confini nazionali, strategie di sommersione in linea con il progresso e la globalizzazione».
Dia, I-CAN, ‘ndrangheta ed economia
Ma come si combatte un nemico del genere? In Italia si sta provando un po’ di tutto ma, per dirla con Guccini, quel tutto è ancora poco. Buoni risultati stanno arrivando dal progetto di cooperazione internazionale I-CAN, di cui abbiamo parlato spesso su I Calabresi nella rubrica Mafiosfera. Dal giugno 2020, riporta la Dia, l’attività operativa di I-CAN ha consentito di localizzare e trarre in arresto 26 latitanti appartenenti alla ‘ndrangheta:
- 2 in Albania,
- 3 in Argentina,
- 3 in Brasile,
- 1 in Canada,
- 1 in Costa Rica,
- 1 nella Repubblica Dominicana,
- 7 in Spagna,
- 3 in Svizzera,
- 1 in Portogallo,
- 1 in Turchia,
- 1 in Polonia
- 2 in Italia
La Dia stessa ha sottratto negli anni alle mafie beni per circa 7,5 miliardi di euro. Una cifra enorme, eppure infinitesimale rispetto al volume d’affari della criminalità organizzata nel medesimo periodo. Secondo uno studio della Banca d’Italia, infatti, «i volumi di affari legati alle attività illegali – attraverso le quali la criminalità organizzata si finanzia e si arricchisce – sono ingenti e si può stimare che rappresentino oltre il 2 per cento del PIL italiano». Nel medesimo documento di Palazzo Koch si spiega anche che «si può calcolare che un azzeramento dell’indice di presenza mafiosa nel Mezzogiorno si assocerebbe ad un aumento del tasso di crescita annuo del PIL dell’area di 5 decimi di punti percentuali (circa il doppio rispetto all’analogo esercizio per il Centro Nord)».