Il Paese torna a crescere, la Calabria resta ferma al palo

La regola del calabrone non vale per l'economia dell'ultima regione dello Stivale. Che nel 2020 ha addirittura segnato un -11,6 % nel suo settore più competitivo: l'agricoltura. Per non parlare di giustizia, sanità e innovazione

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Gli economisti hanno spesso cercato spiegazioni sull’andamento dell’economia italiana, spesso paragonata al paradosso del calabrone: tutte le leggi indurrebbero a ritenere che non possa alzarsi in volo, eppure accade. Sta succedendo anche in questo 2021, con l’Italia che fa registrare incrementi della ricchezza prodotta superiori a quella degli altri principali Paesi occidentali. Ma la regola del calabrone non vale per la Calabria. Cerchiamo di capire perché.

Una crisi anomala

Quella del Covid è stata una crisi anomala rispetto alle esperienze del capitalismo moderno. Se nelle recessioni tradizionali le componenti della domanda che registrano le contrazioni più ampie sono i consumi di beni durevoli, questa volta è caduta molto, e più a lungo, la domanda di servizi che solitamente presenta tendenze relativamente stabili (turismo, viaggi aerei e ferroviari, alberghi, ristoranti, spettacoli), nonché alcuni consumi che hanno risentito in maniera indiretta della crisi per effetto del mutamento degli stili di vita, come l’abbigliamento e le calzature. Per contro, si sono verificati andamenti positivi per altre filiere, come le attività legate alla digitalizzazione ed all’informatica, ed i servizi di trasporto e logistica, per effetto della diffusione dell’e-commerce.

I valori in picchiata del 2020

Il calo del Pil è stato nel 2020 relativamente omogeneo a livello territoriale, con un Sud leggermente meno colpito: -8,2% nella media delle regioni meridionali e -9,1% nel Centro-Nord, con una punta del -9,4% nel Nord-Est e una dinamica al Centro in linea con la media nazionale (-8,9%). Nel 2020 il valore aggiunto del settore agricolo, meno toccato dal rallentamento complessivo, ha segnato una contrazione del 3,8% rispetto al 2019. La flessione è leggermente più intensa al Centro-Nord (-4,4%) rispetto al Mezzogiorno (-2,9%); tuttavia, a differenza del Centro-Nord, la contrazione del comparto interviene nel Sud dopo un 2019 molto positivo (+3,6%).

La crisi ha determinato effetti differenziati nelle varie regioni meridionali. La contrazione maggiore tra il 2019 e il 2020 è stata quella della Calabria (-11,6%): questo crollo non è assolutamente connesso alle caratteristiche pandemiche, e traccia un solco profondo rispetto al resto del Paese. Questo è il primo segno di una anomalia calabrese che va osservata con estrema attenzione.

Clementine della Sibaritide, una delle eccellenze agricole calabresi
La crisi del settore manifatturiero

Considerando il comparto manifatturiero, la differenza di performance tra le due macro-aree dell’Italia è risultata più accentuata: il valore aggiunto manifatturiero è diminuito del -10,1% al Sud, mentre per le industrie localizzate nelle regioni centro-settentrionali la riduzione è stata del -11,6%.

Anche nel terziario, il cuore della crisi pandemica, il crollo delle attività è stato molto rilevante. Il valore aggiunto prodotto dai servizi in Italia segna un calo dell’8,1% nel 2020 rispetto al 2019: al Centro-Nord leggermente più alto (-8,2%) rispetto al Mezzogiorno (-7,8%). Complessivamente, il valore aggiunto della Calabria mostra durante la pandemia un calo più alto della media della circoscrizione meridionale (-9,3%): questo andamento è dovuto alla maggiore flessione di agricoltura (-11,6%), costruzioni (-11,2%) e servizi (-9,1%); inferiore alla media del Sud risulta la flessione dell’industria in senso stretto (-9,1%).

Il paradosso del calabrone

Il calabrone calabrese non si libra in volo perché da tempo sta perdendo capacità competitiva. Le ragioni sono molteplici, sinteticamente le individuiamo nella demografia, nella giustizia, nella sanità e nell’innovazione. Cominciamo dalla demografia. Se osserviamo il periodo tra il 2010 ed il 2018, prima della pandemia, la Calabria è una delle sei regioni italiane che perde addetti, ed è la terza in questa speciale graduatoria (-5.447 unità), preceduta solo da Sicilia e Sardegna.

Nel 2020, il saldo migratorio interno è in media negativo al Sud per oltre 50mila unità a favore delle regioni del Centro-Nord (era pari a – 71 mila nel 2019). Questo fenomeno non è omogeneo nelle diverse aree.  Il saldo demografico dei comuni delle aree interne tra il 2012 ed il 2020 è stato negativo per il 9,4% in Calabria, la seconda performance più negativa del Paese, migliore solo rispetto all’Abruzzo (9,8%).

Tempi lunghi per i procedimenti civili

Passiamo al nodo della giustizia, che pesa sul contesto sociale ed economico. Il Mezzogiorno presenta la più alta domanda di giustizia, con una media di 777 nuovi casi (ogni 10mila abitanti) iscritti a ruolo ogni anno a fronte dei 704 del Centro e dei 541 del Nord. Non è solo questione di personale. Il Sud dispone in media di una dotazione di personale togato superiore alla media nazionale: nel 2019 operavano al Sud circa 11 magistrati ogni 100mila abitanti (con punte di 15 magistrati in Calabria e 13 in Campania) a fronte dei circa 9 del Centro e 7 al Nord.

L’ingresso del tribunale di Cosenza

Nel 2019 per chiudere un procedimento civile occorrevano circa 280 giorni nei tribunali del Nord, 380 al Centro e quasi 500 nel Mezzogiorno (dati pesati per la popolazione). Va tuttavia segnalato come il sistema giustizia al Sud, partito da una situazione molto critica (nel 2004 occorrevano in media 650 giorni per chiudere un procedimento), nei 15 anni osservati sia riuscito a registrare il miglioramento più significativo contraendo i tempi dei processi di circa il 25%.

Per la giustizia penale si brancola nel buio

Mentre si è registrato un progresso, sia pure in un ritardo persistente, nel settore della giustizia civile nel Mezzogiorno, per la giustizia penale si brancola ancora nel buio. Nel 2019 un processo penale si chiudeva al Nord in 290 giorni (+9% rispetto al 2004), in 450 giorni al Centro (+23% rispetto al 2004) e in 475 giorni (+7%) nel Mezzogiorno.

Non è migliore la situazione nel settore della salute. Se prendiamo in considerazione i punteggi regionali sui livelli essenziali di assistenza nella sanità, la Calabria si colloca nel 2019 al penultimo posto nella graduatoria nazionale, seguita solo dalla Sardegna. Rispetto alle regioni settentrionali del Paese i valori sono pari quasi alla metà e nel confronto con le altre regioni del Sud siamo ad un valore inferiore di un quarto. Non bisogna poi stupirsi di quello che è accaduto in Calabria durante la pandemia.

Calabria ultima per ricercatori

Nela ricerca e nella innovazione la situazione è catastrofica. La Calabria è assisa sul podio negativo per numero di ricercatori ogni 10mila abitanti, con un indicatore pari a 0,9, preceduta solo da Valle d’Aosta e Basilicata. Anche in termini di numero di ricercatori occupati nelle imprese in percentuale sul totale degli addetti la Calabria si colloca all’ultimo posto in graduatoria in Italia assieme alla Basilicata (0,2%). Il numero degli incubatori in Calabria è pari solo a due, con una performance migliore esclusivamente rispetto al Molise, che ne registra uno solo. Infine, la graduatoria sulla percentuale di persone che usano regolarmente Internet vede la Calabria all’ultimo posto (67%), assieme alla Puglia ed alla Basilicata.

Il calabrone calabrese è appesantito dunque da diversi fattori strutturali che piombano le ali. Su questi elementi si deve lavorare per tentare di spiccare il volo, come ancora riesce a fare il resto dell’Italia. Non c’è più molto tempo per recuperare i gap che affossano ancora la Calabria.

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