L’allarme tsunami diramato in tutta fretta dalla Protezione civile il 4 dicembre scorso ha mandato in fibrillazione tutti i comuni della costa tirrenica. Hanno chiuso scuole, uffici, bar e tutto ciò che si trova sul lungomare. Poi, cessato l’allarme, i residenti hanno cominciato a porsi domande. Basta la caduta di un costone dello Stromboli per diramare un allarme tsunami? Basta un’onda di un metro e mezzo per chiudere scuole e attività produttive? E le mareggiate invernali con onde fino a 9 metri, come quelle di qualche settimana fa, dove le mettiamo? È fin troppo logico e chiaro che qualcosa nelle nostre coste è cambiato, e di molto. Il problema sta tutto nell’erosione costiera che colpisce l’intera Calabria da almeno venti anni. Procede rapida, ma poco o nulla hanno fatto i nostri amministratori pubblici per cercare di fermarla o, almeno, arginarla.
La speculazione edilizia sulla costa tirrenica
Paghiamo il prezzo della speculazione edilizia degli anni ’80, quando la sabbia del mare servì per costruire villaggi e alberghi. E paghiamo anche il saccheggio dei fiumi. Milioni di metri cubi di sabbia trasportata per millenni dai corsi d’acqua servirono per costruire ogni sorta di edificio. Poi la prima grande mareggiata portò a gettare a mare migliaia e migliaia di massi di cemento. Sarebbero dovuti servire a difendere la linea ferroviaria e, naturalmente, tutto ciò che di abusivo si era realizzato lungo le coste. Ditte legate alla cosca di Cetraro bucarono montagne e colline per trasportare massi che non servirono a fermare la furia delle mareggiate che anno dopo anno divoravano decine di metri di spiaggia. Poi, in nome del turismo, ecco la nascita di chioschi e stabilimenti balneari che tolsero altra spiaggia. Un disastro annunciato.
La febbre dei porti
Come se non bastasse, arrivò la corsa ai porti. Negli anni ’90 la portualità ricevette dall’Europa e dai governi milioni a non finire. A lucrarci su furono tanti, i risultati positivi pressoché nulli. L’erosione continuava, ma bracci a mare distrutti poi dalle mareggiate nascevano comunque. Cittadella del Capo, Diamante, Belvedere, Scalea, Fuscaldo, Paola, Campora San Giovanni: ogni Comune presentò un progetto per avere il proprio porto. Alcuni ebbero anche qualche autorizzazione che li indusse a gettare massi per costruire i bracci, ma solo i comuni di Campora e di Cetraro riuscirono a costruirli. Peccato che non lo abbiano fatto nel migliore dei modi, tant’è che ogni anno si registrano insabbiamenti, con relativo esborso per liberare i pescherecci incagliati.
Costa tirrenica, arrivano le dune
Adesso arrivano le dune a difesa di caseggiati e lidi balneari, chissà se tutte autorizzate. I lidi, lasciati soli, fanno da sé. Ed ecco in azione decine di ruspe che per km, lungo tutte le spiagge, si mettono al lavoro per alzare dune di difesa. Questo vuol dire un grave danno alla vegetazione dunale, alle stesse dune naturali. Così facendo, paradossalmente, si favorisce ancora l’erosione costiera. Il mare non trova alcun ostacolo e avanza, inglobando pezzi interi di spiaggia.
Franano le colline
Il prolungarsi delle piogge rende i terreni collinari più fragili; massi e pietrame si staccano e ostruiscono la linea ferroviaria e le strade. La tragedia di Ischia ha portato a riflettere (speriamo) sulla speculazione edilizia su quell’isola, ma il problema riguarda l’intero Sud ed i cambiamenti climatici stanno mettendo in evidenza tutte le criticità. Due frane hanno interessato altrettanti paesi della costa nei giorni scorsi. Una si è verificata a San Lucido: è crollato un costone roccioso che sovrasta il tracciato ferroviario della galleria San Lucido-Paola e ha rischiato di interrompere il traffico ferroviario. L’altra è avvenuta a San Nicola, con Italia Nostra a organizzare un sit-in lungo la strada provinciale per smuovere le autorità.
L’associazione ambientalista, in un comunicato del 12 dicembre scorso, spiega che «la Provincia di Cosenza nella persona del dirigente Gianluca Morrone e del responsabile del Servizio tecnico viabilità, Settimio Gravina interviene sulla questione specificando che “l’evento franoso che ha causato l’interruzione della SP n.1 è dovuto allo smottamento di un gran quantitativo di materiale terroso di riporto ed usato come riempimento di un impluvio naturale per la realizzazione di un’area di parcheggio di proprietà della Società Immobiliare Mediterranea S.P.A”».
Una goccia nel mare di cemento
La cosa, si legge ancora nel comunicato, ha portato la stessa Provincia a diffidare l’azienda affinché provveda «ad eseguire con la massima urgenza i lavori di messa in sicurezza della scarpata sovrastanti la strada provinciale , mediante la realizzazione di tutte le opere necessarie al consolidamento del versante». In caso contrario, «qualora si dovessero prorogare i tempi di ripristino della viabilità la Provincia si determinerà ai fini giuridici per la richiesta di eventuali risarcimenti anche per il disservizio creato all’utenza», riporta ancora Italia Nostra.
Ma non basterà mettere una toppa a San Nicola, perché tutto il territorio collinare è stato devastato. Basta guardare le nostre colline per vedere a che livelli di cementificazione si è giunti. E lo capiremo meglio nei prossimi mesi se il maltempo non si fermerà.