L’unica notizia uscita dal convegno Bilancio regionale 2021 e Corte dei Conti: quello che i calabresi non sanno, tenutosi a Villa Rendano lo scorso 20 gennaio, è che il Consiglio regionale non ha detto una parola.
Ed è gravissimo: i rilievi pesanti fatti a dicembre dalla magistratura contabile meritavano più di una riflessione politica in Calabria.
Vi ha provveduto, in parte, la Fondazione Attilio e Elena Giuliani, che ha radunato attorno al classico tavolo un economista, Giuseppe Nicoletti, un veterano del sindacato, Roberto Castagna, e due sindaci, Stanislao Martire e Pietro Caracciolo, rispettivamente di Casali del Manco e Montalto Uffugo.
Il tutto, sotto la moderazione del giornalista Antonlivio Perfetti.

Corte dei Conti: la Calabria si confronta
Le affermazioni della Sezione regionale della Corte dei Conti sono piuttosto note.
Ma l’analisi di Nicoletti mette a nudo i problemi con particolare crudezza, perché si basa sulla comparazione tra la Calabria e altre due regioni di media grandezza per rapporto abitanti-territorio: la Liguria e le Marche.
In apparenza, i dati sembrano simili; tutte e tre le Regioni hanno difficoltà a riscuotere i tributi, e soffrono, inoltre, di forti vincoli ai bilanci, oscillanti in media sul 70%, dovuti alle spese sanitarie.
Allora, dov’è l’inghippo?
La povertà fa la differenza
Quel che ci danneggia, prosegue Nicoletti, è la sostanziale povertà del sistema socio-economico: il reddito medio del calabrese (ci si riferisce solo ai contribuenti e non al “nero”) è di 13.837 euro annui, contro i 22.250 della Liguria e i 19.750 delle Marche.
Quindi, non riuscire a recuperare un miliardo e mezzo sui sette e rotti di entrate tributarie accertate non è grave: è tragico.
Soprattutto perché l’aspetto più debole è costituito dalle entrate “libere”, cioè utilizzabili senza vincoli, solo il 12%, dalla spesa per il finanziamento del debito sanitario, non ancora quantificato (155 milioni) e dall’emigrazione sanitaria (242 milioni). Manca poco all’asfissia.
Le lacune del sindacato
Roberto Castagna, il segretario generale dei pensionati della Uil, fa in parte un mea culpa: il sindacato è intervenuto tardi nel dibattito dopo aver latitato.
Il che non è poco, in una Regione dove la tenuta sociale e il sistema dei diritti sono a forte rischio. E questo senza invocare il peso della criminalità organizzata.
Si rende necessaria, a questo punto, una forte presenza delle sigle dei lavoratori, soprattutto nei settori “caldi”, dalla pubblica amministrazione alla Sanità, appunto.
L’ira dei sindaci
Sempre a proposito di Sanità, la provocazione più forte “volata” dal dibattito riguarda le frizioni campaniliste tra Catanzaro e Cosenza per il Corso di laurea in Medicina.
La proposta, lanciata dal moderatore, di aprire un dibattito tra i rettori di Unical e Magna Graecia, ha punzecchiato a dovere i due sindaci.
Parteciperemo senz’altro e in prima fila, affermano Martire e Caracciolo.
La condizione finanziaria della Calabria pesa tantissimo sui Comuni, che restano spesso col classico cerino in mano.
Così è per molte imposte, di cui sono i riscossori, così per i servizi.

Acqua e rifiuti
I servizi idrici sono un punto dolente fortissimo, su cui Martire e Caracciolo hanno insistito tantissimo: con che risorse possiamo provvedere alla manutenzione della rete idrica se la maggior parte delle somme va alla società di gestione?
Discorso simile per i rifiuti: i Comuni si accollano lo spazzamento e la gestione delle discariche. Per questo motivo l’ipotesi, avanzata da Roberto Occhiuto, di centralizzare a livello regionale la riscossione, più che perplessità desta allarmi. E via discorrendo.
La grande malata: i conti della Sanità in Calabria
Solo di recente la Calabria ha istituito i “tavoli” di confronto tra sindaci e Regione. E il coordinamento tardivo, ovviamente, non aiuta a lenire la situazione.
Soprattutto se si pensa che i veri problemi sono altrove. E li rivela un acronimo sinistro: Lea, cioè livelli essenziali di assistenza, dove siamo gli ultimissimi, con un punteggio di 125 su un minimo di 160. Per la Sanità può bastare. O forse no: manca alla conta la quantificazione effettiva del debito. E i 500 milioni rilevati all’Asp di Reggio non fanno sperare bene.

Fondi europei e Calabria: i conti non tornano
Altra nota dolente, i finanziamenti statali ed europei, che sono l’unica vera risorsa di cui disponiamo. La Calabria spende poco (circa 300 milioni l’anno) su un budget di 2 miliardi e rotti. Peggio ancora per le somme da recuperare per sospetta frode o irregolarità: 260 milioni.
In una situazione così, i conti non bastano: occorrono gli scongiuri.