Droga e “rispetto”, armi e denaro, case sicure e figli scostumati. C’è un filo rosso che lega Elvis Demce – il narcos albanese che si era preso una fetta importante del mercato della coca nella Capitale e che progettava di fare fuori i magistrati Francesco e Giuseppe Cascini – e la ‘ndrangheta.
Un filo che intreccia il solito fiume di cocaina sull’asse Roma Calabria e che si aggroviglia con la ricerca spasmodica e continua di nuove armi, perché il mercato, dopo esserselo preso, tocca mantenerlo. E il canale delle ‘ndrine è sempre ben rifornito: basta avere gli agganci giusti e anche l’improvviso arresto del sidernese che si occupava di rifornire il clan albanese può essere bypassato, spostandosi di pochi chilometri appena: è il gran bazar della ‘ndrangheta, a cui la batteria romana si “abbevera” di continuo e ai cui rappresentanti va mostrato il rispetto dovuto, almeno ufficialmente.
Pensavano di non essere intercettati
Sono le conversazioni decriptate dagli specialisti dell’Interpol a tratteggiare l’ennesimo romanzo criminale che la gang di Demce e i suoi “compari” ‘ndranghetisti recitano sentendosi al sicuro dietro lo schermo della Skyecc, la compagnia canadese che si illudeva di garantire ai propri clienti l’assoluta inviolabilità dei propri, costosissimi, dispositivi. Ed è nelle chat disvelate dei criptofonini sequestrati che gli investigatori del carabinieri di Roma trovano i pezzi di un puzzle complicato ed in parte ancora da decifrare. Un puzzle fatto di nomi in codice e codici identificativi che certificano il ruolo dei calabresi come fornitori dei “grossisti” che operano nelle redditizie piazze di spaccio all’interno del raccordo: “Zio” e “Spartaco”, “Rangara”, “er Chiappa” e “Noodles”: tutti ingranaggi di un meccanismo che, una volta avviato, era in grado di garantire fino a 50 chili di cocaina a spedizione. E che, all’occorrenza, era in grado di recuperare kalashnikov e mitragliette Uzi.
All inclusive
«Dice che domani stanno a venì du parenti loro a Tiburtina, tu basta che li pigli in stazione e li porti a casa. Fra’ me raccomando, stai appresso a sti ragazzi, fammi fare bella figura». Gli emissari delle ‘ndrine sono in arrivo a Roma: saranno loro a garantire il flusso di coca per le piazze di spaccio capitoline e Demce è preoccupato che tutto vada nel migliore dei modi. Tocca alla sua organizzazione occuparsi delle necessità logistiche per i due narcos in arrivo e tutto deve filare nel migliore dei modi perché «so’ pesanti sti calabresi e mi interessano i padroni loro che ci mandano lavoro, quindi curameli un po’. Mo ti mando i soldi e je pii na machina in affitto per loro, troviamo uno do se pia senza carta de credito».
Il canale tra la gang dell’albanese e i fornitori calabresi – rimasti ancora senza un nome – si sta consolidando. I primi carichi sono andati a buon fine e ora si prospettano affari ancora più succulenti, ma per sedere al tavolo dei pezzi grossi, bisogna dimostrare di essere gangster veri. Anche quando si tratta di saldare i debiti per tempo: sul piatto ci sono 400mila euro per un carico di cocaina di qualità “ndo”, meno pregiata della “Fr1” «ma piace lo stesso» che tocca consegnare direttamente allo “zio”, l’emissario delle cosche di base nella Capitale.
«Quattro piotte a sti calabrotti»
«Mo famo na cosa – dice il boss albanese istruendo un sodale – organizzamo de mannà quattro piotte a sti calabrotti, così se sbrigano a mandare» altri carichi di droga. Un’operazione che deve filare liscia: «I soldi je li portate tu e Braccio, dovete stare lì e loro ve li devono contare davanti e confermare che so 4 piotte pare. Fai scrivere a “zio” al suo capo che è tutto ok e gli fai mandare un foto ai padroni sua, che so brava gente».
Gli affari sono affari
Con i calabresi tocca comportarsi con rispetto e deferenza, e farsi trovare sempre pronti alle loro richieste, almeno quando si tratta di pezzi grossi questo Demce lo sa. Ed è per questo che il boss albanese si mette in moto per organizzare la logistica per l’arrivo di un carico destinato ad altri trafficanti: «Dovete andare a San Cesareo compare – dice al telefono, forte della convinzione di non potere essere intercettato, l’albanese al boss calabrese – con un camion, che un camion non da nell’occhio in una zona industriale». Ma i criminali restano criminali e la regola del “cane non mangia cane” che viene buona per le ricostruzioni romanzate, non trova spazio nella realtà; e così, se si trova il giusto meccanismo, si possono truffare anche i galoppini dei propri soci.
Volevano “fare la cresta” ai calabresi
I calabresi hanno bisogno di comprare una casa isolata fuori città e con un pezzo di terra dove nascondere i «pacchi» di droga in arrivo. È il gruppo di Demce che si deve occupare di trovare la giusta soluzione: una soluzione su cui si può anche tirare su una bella sommetta di straforo: «Trova urgente sta cazzo de casa isolata col terreno per sti pecorari – dice il boss al telefono al suo braccio destro – vedi quanto vonno per sta casa e in base a quello che costa te metti d’accordo col proprietario e ce carichi 50 mila sopra, tanto pagano loro, i sordi ce stanno. E ce li spartimo. Se la casa costa 100, tu je dici 150 e via. E ce esce una mezza candela pulita per noi».
Gran bazar delle armi
Ma il canale calabrese non si occupa solo di rifornire cocaina. All’occorrenza, i narcos possono anche trovare armi da guerra e mitragliette corte da usare per fare «le punture» ai rivali, se il fornitore abituale è momentaneamente impossibilitato a farlo.
È lo stesso Demce a raccontarlo durante una conversazione decrittata con il mammasantissima calabrese che si nasconde dietro il codice identificativo “6ffefa”: «Compare, io prima per le armi mi servivo da un mio caro amico di Siderno che le trattava, ma ora è dentro. Voglio comprarmi 20mila euro di armi, potete aiutarmi? Mi serve un Ak47, un Uzi, M12 Scorpion. Poi le corte mi servono Glok 17, Beretta 9×21 parabellum e qualche 3-4 bombe a mano ananas. Avevo chiesto a “Rangara” ma non si è interessato». Demce si fida del suo interlocutore e gli confessa che le armi gli servono «per educare qualche figlio scostumato, che se non gli fai qualche puntura poi si sentono le briglie sciolte. E per quelli come noi che siamo uomini di classe e di intelletto comparuccio, è dovere nostro istruire questi figli persi».