Prima le bombe, poi l’incuria: sos per il castello di Amantea

L'antica rocca, demolita a cannonate dai napoleonici, è al centro di un duello giudiziario tra il Comune, che tentò un esproprio a inizio millennio, e i proprietari, che vorrebbero cederlo a condizioni dignitose. Intanto la struttura perde pezzi e necessita di interventi urgenti

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Prima le bombe poi l’abbandono. E nessuna soluzione in vista per il castello di Amantea, un rudere maestoso che domina la collina a strapiombo sul mare.
Il castello e la torre – o meglio, i resti di entrambi – sono solo una parte, la più vistosa, di un problema più ampio: il pianoro su cui sorge l’antica roccaforte, circa 36mila metri quadri di terreno agricolo.
L’insieme è un’unica proprietà privata, divisa tra tre eredi: Giuseppe, Giovanni e Giacinto Folino, che ne hanno quote diseguali.
Dov’è il problema?

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Il rudere della torre sullo sfondo del mare

I problemi del castello di Amantea

Ricapitoliamo: una grossa proprietà limitata da due vincoli pesanti. Il primo è la sua natura agricola, che consente un’edificabilità molto limitata.
Il secondo è dovuto alla presenza dei ruderi, che ovviamente sono classificati come beni d’interesse storico-culturale.
Mantenere questo popò di roba senza metterla a frutto è un problema per chiunque.
A tacere dei costi di manutenzione, effettuata poco o nulla nell’ultimo ventennio e non per responsabilità dei proprietari. Cosa si aspetta ad acquisirla nel patrimonio pubblico?
Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, un po’ di storia.

Il castello e l’assedio di Amantea

Il castello è legato a una vicenda storica importante: l’eroica resistenza dei manteoti, guidati dal capitano Rodolfo (o, secondo alcune fonti, Ridolfo) Mirabelli, alle truppe napoleoniche.
L’assedio dura poco più di un anno tra alterne vicende.
Alla fine i francesi, comandati dal generale Jean Reynier, espugnano il castello in maniera spettacolare.
Dapprima, a fine gennaio 1807, bombardano a tappeto le mura e la cittadella interna con due cannoni pesanti e un obice, posizionati nelle colline circostanti.
Poi, il 5 febbraio, arriva il colpo di grazia: una mina da 1.900 libbre (633 kg) di polvere da sparo esplode sotto una parete del castello, che crolla. A questo punto, chi può scappa e Mirabelli tratta con gli assedianti. Amantea capitola due giorni dopo. Tuttora la zona di questa prima breccia si chiama ‘a Mina.

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I resti delle mura difensive

Un lungo declino

Tutto questo spiega perché il castello è un rudere. Ma non aiuta a capire come mai sia finito in mani private.
Il motivo è semplice: già c’era. Infatti, i terreni protetti dalla rocca sono in origine proprietà, in larga parte, dei Frati Minimi che li coltivano addirittura a grano.
Le successive espropriazioni favoriscono il passaggio di mano in mano del pianoro, ruderi inclusi, fino alla famiglia Folino. Ed eccoci di nuovo al XXI secolo.

L’esproprio infelice del castello di Amantea

Il primo che prova a espropriare è Franco La Rupa. Il votatissimo (e poi discusso e infine plurinquisito) ex sindaco di Amantea, ordina l’occupazione dell’area del castello il due ottobre del 2000.
Per il Comune, l’occupazione è il primo step di un processo più complesso, che dovrebbe finire con l’espropriazione, per realizzare il rifacimento del centro storico della cittadina. Peccato solo che la procedura non sia a prova di bomba.
Infatti, la famiglia Folino impugna il provvedimento e stravince.
La prima volta al Tar di Catanzaro, nel 2001, e la seconda al Consiglio di Stato, nel 2006.
Dalla duplice vittoria emerge un dato: il Comune ha occupato illegittimamente una proprietà privata.

Il rudere della torre in primo piano

Il duro negoziato

Questa vittoria non comporta l’automatica restituzione del bene.
L’era La Rupa è finita. Al suo posto c’è Franco Tonnara, che tenta un negoziato con la proprietà attraverso il proprio assessore ai Lavori pubblici: Sante Mazzei, che tra l’altro conosce bene il problema, perché è stato sindaco poco prima di La Rupa.
Il Comune propone non l’acquisto, bensì l’acquisizione del castello ai proprietari.
La differenza tra questi due concetti non è proprio leggera: l’acquisto è una normale compravendita, l’acquisizione, invece, è un esproprio soft. In parole povere: il Comune prende il bene con un decreto, ma lo paga secondo una stima effettuata da uno o più esperti.
L’esperto ingaggiato dal municipio è Gabrio Celani, che valuta tutto. Ma, pare, in maniera insoddisfacente per i proprietari.

Riprende il duello sul castello

A questo punto, la faccenda, già non semplice di suo, si complica di brutto.
Innanzitutto, per le vicissitudini politiche della giunta Tonnara, che subisce un commissariamento per mafia e torna in carica dopo un lungo duello giudiziario. Il quale, tuttavia, non serve granché: gravemente malato, il sindaco muore e si torna a una gestione provvisoria.
Anche l’aspetto giuridico non è da meno, perché i Folino propongono un compromesso: il Comune acquisisca pure, loro faranno un ricorso solo per il prezzo.
Ma anche quest’ipotesi salta.

Le erbacce infestano il pianoro del castello

La vittoria inutile

Si arriva al 2021, un anno decisivo nella storia contemporanea del castello. Il 10 marzo 2021, la famiglia Folino, difesa dall’avvocato Stanislao De Santis, ottiene la sua terza vittoria contro il Comune, difeso dall’avvocato Gregorio Barba.
Stavolta il Tribunale amministrativo mette nero su bianco che l’occupazione iniziata nel 2000 è illegittima.
E mette il municipio con le spalle al muro: o acquisisce il bene oppure lo restituisce e paga i danni, che verranno quantizzati dal giudice, e i canoni, stimati nel 5% del valore commerciale del pianoro, del castello e della torre. Il risarcimento non si annuncia leggero, perché il valore commerciale non è piccolo.
Nel frattempo, il rudere perde qualche pezzo e il terreno stesso denuncia un immediato bisogno di manutenzione. Che però i proprietari non possono assicurare, perché il bene risulta tuttora occupato.

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Altri resti del bastione

I nuovi negoziati

I bene informati riferiscono di una ripresa dei contatti tra i proprietari e il Comune, che nel frattempo è uscito dal recente commissariamento per mafia ed è amministrato da Vincenzo Pellegrino, eletto lo scorso giugno.
Non si sa a che punto sia l’abboccamento. Quel che è certo è che c’è un bene di grande valore culturale che dev’essere messo in sicurezza e – magari attraverso un restauro conservativo – potrebbe essere messo a frutto e restituito alla comunità.
Certo, la situazione finanziaria di Amantea non è florida e i problemi politici sono all’ordine del giorno, come dimostra il recente tentativo di “secessione” di Campora, la frazione ricca e popolosa che confina con Falerna. Ma si apprende pure che i proprietari sarebbero disposti ad accontentarsi.
La parola, a questo punto, dovrebbe passare al buonsenso.

(Le foto dei ruderi del castello sono opera di Giuliano Guido. Le pubblichiamo su sua gentile concessione)

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