Capita sempre più spesso che a Cardeto arrivino turisti. Una volta chi parlava straniero era un emigrante che aveva quasi dimenticato la strada di casa, non i suoi profumi. Oggi succede di incrociare giapponesi, tedeschi: molto spesso si perdono al bivio che sta all’ingresso del paese. A sinistra si va verso l’Aspromonte, a destra si scende verso la sponda destra del torrente Sant’Agata, terra di cardi e di greco antico.
Un motivo per questo via-vai c’è, un piccolo ristorante a metri zero, perché l’orto è proprio accanto. Si chiama Il Tipico Calabrese, ed è gestito da Giovanna Quattrone e Marcello Manti. Lui faceva il graphic-designer nelle Marche e poi ha deciso di tornare. Lei è la grande custode delle tradizioni di famiglia.
Cardeto su TasteAtlas
Ora che il loro nome è apparso nelle classifiche mondiali di TasteAtlas, con un lusinghiero 4,8 su 5, forse è il caso di rileggere loro storia, esempio di Calabria resistente, attenta alla memoria e alla cultura contadina, con un piede nel futuro. Io l’ho raccontata nel libro A sud del Sud, ma ogni volta si arricchisce di nuovi capitoli.
È Cardeto un paese di castagneti a filiera con pianori a nord e a sud, fagioli, grano e pere dai mille nomi. Solo Marcello vi spiega le differenze fra una e l’altra, e vengono in mente quei frutti che facevano il profumo nelle case dei contadini, buon augurio nel giorno del matrimonio. E del resto in lingua grecanica capra e albero si possono dire in decine di modi, qui servirebbe Gerhard Rohlfs, il glottologo tedesco che faceva da interprete fra i calabresi di valli diverse.
Entrare al Tipico disorienta: potrebbe essere un Museo, una Biblioteca (Marcello ha una invidiabile collezione di libri sulla Calabria), una sala di musica dove gli strumenti antichi non sono impolverati ma usati spesso. La cucina? Lì Giovanna e Marcello vi tengono per mano stagione per stagione, la ‘nduja è l’unico prodotto non paesano, quei quaranta minuti che ci vogliono da Reggio non sono mai spesi male, anche per via del panorama. A poco a poco Il Tipico è entrato nelle guide di tendenza, premiato più volte da Slow Food. Ora, addirittura, TasteAtlas.
I canti delle donne di Cardeto
Resta una storia da ripetersi, fatevela raccontare da Marcello, perché ha una sua magia. Intorno al ‘53 arrivò a Cardeto dalla montagna uno scassato pullmino Volkswagen: a bordo c’erano Alan Lomax, l’antropologo che aveva scoperto Woody Guthrie, accompagnato dall’etno-musicologo Diego Carpitella.
Avevano sentito parlare dei canti delle donne di Cardeto: loro ogni mattina per andare sui campi a lavorare ci mettevano due ore (quindi 4 a fine giornata). Lomax registrò quelle melodie per studiarle, offrendo dei soldi in cambio. Anche oggi c’è qualche vecchietta che dice: «Vu’ ricordati u’mericanu ch’ ‘ndi pavava m’ cantamu? Vi ricordate l’americano che ci pagava per cantare?».
Il giro del mondo
Poco prima della pandemia, nel gennaio 2020, Anna Lomax, figlia di Alan, anche lei antropologa, è tornata sulle tracce del padre, ha incontrato Marcello e gli ha consegnato i nastri originali. Ha detto: «Ora capisco perché mio padre tornava senza soldi in America». Dentro il ristorante c’è una targa, i canti di Cardeto – come quelli dei pescatori della tonnara di Vibo – sono così di nuovo a casa dopo aver fatto il giro del mondo.
Grazie a quel 4,8, è il momento di fare un brindisi in musica.