Cannabis per uso personale, quel primato tutto calabrese

Oggi la Consulta si pronuncerà sul referendum che potrebbe depenalizzare la coltivazione di marijuana. Una questione che va oltre gli aspetti ricreativi, come dimostra una battaglia civile che iniziò in Calabria 30 anni fa e fece giurisprudenza

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Da sempre in Calabria le persone affette da patologie trattabili con la cannabis vivono un calvario senza fine. E nelle altre regioni la situazione non è migliore. La normativa proibizionista su coltivazione, vendita ed uso ricreativo finisce per penalizzare i pazienti che ne fanno richiesta. Tantissimi di loro aspettano di sapere cosa dirà stasera la Consulta sull’ammissibilità del referendum che vorrebbe far decidere agli italiani se introdurre o meno la possibilità di coltivare cannabis per uso personale.

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Allo stesso modo, tantissimi e qualificati sono gli studi scientifici, tra i quali le ricerche condotte sin dagli anni Settanta dal medico Giancarlo Arnao, che sostengono l’efficacia dei preparati a base di canapa nel trattamento dei sintomi di gravi patologie come glaucoma, sclerosi multipla, Alzheimer, epilessia, traumi cerebrali ed ictus, sindrome di Tourette, glioblastomi, artride reumatoide, morbo di Crohn, colite ulcerosa. Inoltre è un efficace antiemetico in chemioterapia e coadiuvante nella terapia del dolore e nella stimolazione dell’appetito nell’AIDS.

Cannabis, un primato tutto calabrese

La Calabria vanta pure un singolare primato. È calabrese il primo paziente ad aver ottenuto in Italia il diritto di impiegare la preziosa infiorescenza per curarsi. Quella di Gianpiero Tiano è una battaglia estenuante, iniziata 30 anni fa. Nel 1992 rimase vittima di un terribile incidente stradale. Durante la lunga convalescenza, scoprì che il violento trauma gli aveva provocato una grave forma di epilessia. Aveva letto un articolo sulla cannabis come valida alternativa ai farmaci tossici. Decise così di provare assumendo dei quantitativi minimi e si rese conto che le infiorescenze della pianta funzionavano: le crisi epilettiche erano sparite. Già in quegli anni, però, le pene previste per chi la maneggiava erano altissime.

Non potendo acquistarla, decise di coltivarla come prezzemolo, basilico e mentuccia. È noto che alle latitudini di Calabria la marijuana cresce rigogliosa. La conferma scientifica è arrivata pochi anni fa, quando uno studioso calabrese, il geologo Giovanni Salerno, ha realizzato un’accurata mappa dei siti calabresi ideali per la produzione di cannabis. All’epoca Gianpiero versò pochi semini nei vasi esposti alla finestra del balcone di casa, a San Giovanni in Fiore. Dal terreno spuntarono 6 germogli. Ma ben presto ricevette la visita dei carabinieri, forse allertati da qualche delazione. Così gli costarono care quelle piantine appena sbocciate. Finì in carcere, nonostante le sue precarie condizioni di salute.

Cannabis e Giustizia, l’impresa di Mazzotta

In primo grado il tribunale di Cosenza lo condannò. I giudici non ammisero che la documentazione presentata dalla difesa avesse valore probatorio. Ma in appello, difeso dal geniale e coraggioso avvocato Giuseppe Mazzotta, la sentenza ridusse la pena sospesa e per la prima volta riconobbe che Tiano aveva realizzato la minicoltivazione non per spaccio, bensì per un uso terapeutico. Quel testo era destinato a fare giurisprudenza. Negli anni successivi, innumerevoli sono state le sentenze assolutorie dei tribunali italiani nei confronti di persone che hanno deciso di coltivare in proprio, e per uso esclusivamente personale, la pianta tabù.

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L’ingresso del tribunale di Cosenza

Ottenuto un dispositivo non criminalizzante, a Gianpiero rimaneva però il problema di come approvvigionarsi della sostanza, vista la rigorosità della permanente normativa proibizionista. Si fece allora promotore di una battaglia civile. Scrisse lettere aperte ai parlamentari, nel 1999 fu tra i fondatori dell’associazione Cannabis terapeutica, trovò un valido sostenitore nel professore Andrea Pelliccia dell’università La Sapienza, che gli prescrisse l’uso dei preparati a base di THC, il principio attivo della cannabis.

Nel 2001 presentò alle autorità competenti formale richiesta ed ottenne che il sistema sanitario importasse le infiorescenze da un’azienda olandese. Nel 2002, nel summit sulle droghe a Genova, insieme ad altri attivisti dell’associazione fu ricevuto dal ministro della Salute, Umberto Veronesi, e gli consegnò un libro bianco sul diritto negato di assumere cannabis ad uso terapeutico.

Cannabis e appetito

«Oggi – denuncia Gianpiero Tiano – mi sembra d’essere tornato al punto di partenza. Non c’è nessun neurologo che me la prescriva. Il medico di famiglia non ne vuole sapere. Conosco tanti altri pazienti calabresi che, come me, sono costretti a compiere clamorose azioni di protesta per tornare a sollevare il problema. Ritengo che i principali ostacoli al riconoscimento dell’uso terapeutico della cannabis derivino dagli interessi delle multinazionali farmaceutiche che per tutelare i loro famelici profitti, nella nostra regione pilotano medici, gruppi di pressione e apparati politici contrari a questa prospettiva.

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«Una cura alternativa a base di cannabinoidi – prosegue Tiano – sarebbe competitiva nei confronti di altri costosissimi farmaci già impiegati per certe patologie. Inoltre, più difficile è ottenere la canapa, maggiori sono i profitti delle farmacie galeniche, le uniche abilitate a preparare i prodotti a base di cannabis. Per capire l’entità dei profitti, si pensi che nel biennio 2015 – 2017 tra Lamezia, Catanzaro e Crotone il costo di questi preparati è aumentato del 400%. Gli stessi consiglieri regionali che in anni passati sono stati promotori di iniziative politiche in Calabria si sono rivelati una delusione, un bluff. Volevano solo farsi pubblicità proponendo assurde spending review preventive, ma è chiaro che non avevano la minima intenzione di raggiungere un obiettivo che sarebbe prima di tutto sanitario». Dietro uno scontro in apparenza ideologico, dunque, si muovono ben altre manovre. È risaputo che la marijuana provoca appetiti non solo alimentari.

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