La Calabria è una regione che ha fatto della contraddizione la sua geografia. Le montagne rocciose che si tuffano nel mare senza soluzione di continuità sono la più limpida dichiarazione di questo concetto: niente sfumature, nessuna via di mezzo.
In questa terra perentoria, abitano uomini che più di altri sono abituati ai compromessi e alle sfumature. La terra che ha i tassi di analfabetismo (funzionale e non) tra i più alti d’Europa è anche la terra da cui sono partiti fiumi di insegnanti.
Proprio nella scuola bisogna andare per capire chi sono i prossimi calabresi e come sarà la Calabria di domani.
Scuola e adolescenti, generazioni a confronto
L’attuale generazione di adolescenti si è dimostrata incredibilmente sensibile a questioni che quella precedente non si è mai posta: si pensi alle manifestazioni sul cambiamento climatico, sulle differenze di genere e finanche sulla validità del sistema economico capitalista. Il dibattito sociologico si sta interrogando su fenomeni come la Great Resignation (dimissioni di massa da parte di lavori poco pagati e molto sfruttati). La Calabria, nonostante la narrazione che la considera periferia d’Europa, partecipa da protagonista a questi dibattiti ed è percorsa da queste spinte.
Il nuovo impegno
Gli esempi si sprecano: il dibattito e la proposta di legge sul voto ai fuorisede parte da un collettivo calabrese (il Collettivo Valarioti); le battaglie di resistenza e riqualificazione del patrimonio storico a Cosenza – che hanno comportato provvedimenti repressivi, ora decaduti – sono portati avanti da ragazzi poco più che ventenni (Jessica Cosenza e Simone Guglielmelli); l’occupazione dell’Ospedale di Cariati, un modello studiato nelle tesi universitarie, è gestito da giovani impegnati.
E poi la vicenda più dibattuta: l’occupazione del liceo Valentini-Majorana in seguito a presunte molestie. In tutti questi casi, al pari dei corrispettivi mondiali, le istituzioni sembrano incapaci di rinnovarsi, ingabbiate tra burocrazia e valori generazionali logori, e i giovani si prendono la scena.
Calabria, una storia di insegnanti
A tutti questi la scuola cosa ha da insegnare? Una parte della storia calabrese è una storia di insegnanti. A cominciare da uno dei più celebri intellettuali calabresi: Corrado Alvaro, giornalista, poeta, scrittore. Europeo di Calabria, come si è definito. La sua oltre che un’opera di narrazione è un’opera pedagogica. Racconta le genti di Aspromonte senza giudicarle.
Da cronisti come Alvaro provengono storie di ragazzi che contendono pagine di manuali scolastici alle capre in istituti diroccati: entrambi, capre e ragazzi, “mangiavano con la cultura”. Insegnanti che bocciano studenti per tenerli qualche mese in più tra i banchi e non nella miseria.
Scuola o esercito: fughe dalla Calabria
Le regioni meridionali sono state per anni zone nelle quali, chi poteva, sceglieva una formazione liceale anziché professionale, a differenza del Nord. Perché? Semplice: l’unica via d’uscita, se non di fuga, era insegnare al Nord. Un’altra possibilità era arruolarsi. E in questo modo per anni molte poesie di D’Annunzio o di Pascoli hanno le consonanti accentuate o distorte tipiche della cadenza calabrese.
Non è poi tanto diverso da quel che accade oggi, quando molti ragazzi si dedicano all’insegnamento come ripiego di altre carriere precluse.
Elena Cupello: il giudizio della preside
Di tutto questo patrimonio cosa resta? Elena Cupello è una delle persone più adatte a rispondere: decenni dietro la cattedra, poi preside. Chiunque l’abbia conosciuta ne ha un ottimo ricordo, perché gli istituti da lei diretti diventavano laboratori di sperimentazione umana e didattica. Ora è stata chiamata proprio a dirigere quel liceo Valentini-Maiorana diventato simbolo di “altro”.
Possibile che proprio in una terra che dovrebbe cullare anime critiche e ribelli, la scuola salga agli onori della cronaca per questi episodi? Funziona la scuola in Calabria? La sua voce è stanca, ma non si sottrae: «Sono delusa e sfiduciata. La scuola negli anni in cui l’ho vissuta è cambiata molto. Ci sono valide professionalità, ma l’istituzione resta imbrigliata e forse impaurita da gabbie burocratiche, regole e mille altre cose. Bisognerebbe ripensarla altrimenti».
Burocrazie “maledette” e studenti assenti
Ma questi tanti lacci impediscono ai professori di mettere passione e aprire dibattiti su problematiche reali, oppure c’è un divario e un’incomunicabilità data dall’età, ma anche da mille altri interessi (politici ed economici) che giocano la loro parte? «C’è sicuramente un problema di età: il vissuto di molti insegnanti è completamente diverso da quello dei loro studenti per motivi anagrafici. Ma il problema vero è cosa si richiede alla scuola oggi. Gli insegnanti che conosco fanno per la maggior parte il loro dovere e lo fanno al meglio. Tuttavia, ciò che si chiede alla scuola spesso non è in linea con quel che avviene nella società. Molti ragazzini hanno sviluppato competenze e interessi autonomamente e per altre vie rispetto a quanto avviene a scuola. Nelle aule studiano, consegnano quanto gli viene richiesto, ma perdono interesse perché non è quello che vivono. Però non si può fare di più e andare oltre con questo concetto di scuola: al di là ci sono genitori sempre meno collaborativi, regole sempre più stringenti».
Poi c’è l’altra parte: «Ci sono studenti svegli e attivi, ma non sono la maggior parte: magari aggregano e tirano, però la maggioranza sta altrove». La Cupello chiude con una metafora: «La scuola è affetta dal morbo di Osgood-Schlatter, c’è uno squilibrio di sviluppo: lo scheletro cresce più velocemente dei muscoli e dei legamenti».
Un’altra scuola è possibile in Calabria
Come darle torto? Nel momento in cui le istituzioni hanno perso credibilità ed efficacia nel garantire alternative, i ragazzi si muovono verso altri attrattori. Però, forse proprio in Calabria, quel qualcos’altro che cerca la preside Cupello nella scuola c’è. Sono i Punti Luce di Save the Children, le associazioni, gli esperimenti pedagogici che nascono proprio intorno a quelle scuole che chiudono classi per mancanza di alunni.
Loro restano aperti nei pomeriggi proprio per tenere qualche altra ora i ragazzi, proprio come i vecchi maestri.
Tra quei banchi colorati siedono calabresi e immigrati di seconda generazione. «Il bilancio nelle classi è ormai metà e metà tra vecchi e nuovi calabresi», dicono gli operatori volontari, tra cui molti studenti più grandi, precari e disoccupati. Sono loro che come in una trasfusione iniettano nuovo entusiasmo. Hanno fame e voglia di riscatto: non a caso primeggiano nelle prove di valutazione nelle quali molti studenti italiani e meridionali deludono. Hanno quella sana rabbia, che, salvo le eccezioni prima declinate, si è persa negli altri. In molti di loro il pensiero che “vivere onestamente non serva”, la grande paura di Alvaro, non ha ancora preso il sopravvento.
Saverio Di Giorno