L’elogio della bruttezza: il grand tour fra Lamezia, Vibo e Soverato

La Calabria della cementificazione intensiva, quella che inneggia al bello anche dove è davvero difficile trovarne traccia

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Diciamolo una volta per tutte e senza timore: di verdeggianti paesaggi e panorami mozzafiato non se ne può più. Abbattiamo, assieme a pregiudizi e stereotipi, anche la retorica visiva sulle bellezze della Calabria. Basta bergamotti in ogni dove, basta celebrazioni sui Bronzi, basta foto di mari e monti. Soprattutto basta borghi.

Se la Regione è un po’ confusa, ma diciamo anche indecisa, tra il puntare sulla «valorizzazione delle aree industriali» di cui ha parlato Roberto Occhiuto a Expo Dubai, oppure sui «marcatori identitari distintivi» riproposti nelle scorse settimane alla Bit di Milano, rilanciamo la nostra controproposta per dare una scossa alla narrazione turistica della Calabria: gli horror tour.

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Il lungomare Ginepri “interrotto” a Lamezia

Piuttosto che continuare a nascondere la polvere sotto il tappeto, o ad accusare chi la polvere la solleva provando a spazzarla via, potremmo per una volta a volgere a nostro vantaggio il «carattere di mitomani» che Corrado Alvaro riconosceva ai meridionali come inesorabile eredità dei Greci.

Ci sono sui territori tracce visibilissime, ma davvero poco sfruttate, che si possono unire fino a farne degli itinerari che rendono piccola piccola, quale effettivamente è, la retorica della riserva indiana cui siamo puntualmente sottoposti dagli osservatori esterni. Sempre tanto compiaciuti delle nostre quotidiane miserie quanto pronti a insegnarci come uscirne.

Abbiamo già focalizzato alcune di queste brutture nella Locride. Ora, risalendo sulla statale 106 jonica e poi passando sull’altra costa, proviamo a indicarne delle altre. Nella consapevolezza che si tratti di un itinerario parziale e incompleto, ma pur sempre di un punto di partenza.

Soverato: perla jonica e cementificata

La cementificazione intensiva di Soverato, per dire, è un elemento che finora nessuno ha pensato di tramutare in motivo di attrazione. Se la chiamano «perla» come non più di altre tre o quattro località costiere della regione, e se per una settimana di agosto si chiedono affitti (in nero) a livello Elon Musk, allora facciamone altri di appartamenti. Coliamo più cemento e alziamo nuovi pilastri fino a nasconderlo del tutto, questo sopravvalutato orizzonte jonico, ché un po’ ha stancato.

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L’urbanizzazione spinta di Soverato vista dalla Statale 106

Gli esperimenti di architettura ultramoderna già realizzati sulle colline attorno a Squillace dimostrano che fare peggio di com’è oggi è difficile, ma ce la possiamo fare e magari ne avremo anche un profitto. Per esempio puntando sulle aree interne, come quelle che si trovano muovendo verso l’altra costa per una strada poco battuta, una sorta di “Due Mari” dei poveri.

Cemento à gogo sulla collina che sovrasta il mare a Squillace

La Calabria delle rotonde e delle pale eoliche

Andando per provinciali e colline ben curate si passa in mezzo ad Amaroni, Girifalco, Cortale e Jacurso. E si contano decine di rotonde – che disciplinano un traffico inesistente – e centinaia di pale eoliche – che ancora non risolvono il caro bolletta. Così si attraversa senza annoiarsi l’istmo di Marcellinara, il famoso punto più stretto d’Italia. Poi si spunta a Maida, dove sorge uno dei centri commerciali più larghi della Calabria.

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L’immancabile eolico tra lo Jonio e il Tirreno

Lamezia tra zucchero e il porto d’Arabia

Avvicinandoci alla principale porta d’ingresso della Calabria– che vabbè, è anche quella d’uscita per tanti nostri cervelli – si può osservare cosa abbiano lasciato certi sogni industriali degli anni belli. Come l’ex zuccherificio a ridosso della stazione di Lamezia, con annesso murales neorealista. O il famigerato pontile dove le navi che dovevano rifornire la mai realizzata Sir non sono evidentemente attraccate neanche una volta.

L’ex zuccherificio di Lamezia

Ora, invece che portarci le comitive ad ammirare tanta identitaria decadenza, vorrebbero fare da quelle parti un porto turistico intitolandolo a uno sceicco arabo. E tutti hanno ovviamente paura che la cosa finisca peggio di com’è andata con i pezzi di lungomare lametino che oggi, in un capolavoro di esistenzialismo non colto dai tour operator, collegano un nulla all’altro di questo tratto di costa.

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Il pontile ex Sir a Lamezia Terme

 

Il cemento da patrimonio Unesco a Vibo

Lo stesso vuoto alberga in una struttura ammirabile all’ingresso di Pizzo. Sta subito sotto l’autostrada e non c’è, tra agrumeti e fichi d’india, nemmeno una via d’accesso per arrivarci e visitarne le cavità antropologiche. La medesima poco valorizzata bruttezza caratterizza un edificio che forse doveva ricordare una nave e che incombe sulla suggestiva insenatura della Seggiola. Invece poco più a Sud, a Vibo Marina, non si sono fatti intimidire e col cemento sono andati fino in fondo. C’è un quartiere, il Pennello, in cui l’abusivismo ha toccato vette di audacia così alte che meriterebbe di essere almeno proposto a patrimonio Unesco.

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Il mega-albergo vuoto di Pizzo

Salendo verso il capoluogo vibonese, poi, si può notare, senza che incredibilmente nessuna guida ne faccia vanto di fronte a manipoli di turisti dell’orrido, come a svettare sulla città non sia il castello Normanno-Svevo, nella zona dove probabilmente si trovava anche l’Acropoli di Hipponion, ma le quasi gotiche antenne radiotelevisive che qualche anno fa, invece di proporre un tour congiunto museo-tralicci, qualcuno si è spinto a sequestrare per fosche ipotesi di elettrosmog.

Panorama con antenne a Vibo Valentia

È inutile: non sappiamo proprio valorizzarci. Altrimenti non si spiega perché un cartello mancante in pieno centro a Vibo, che dovrebbe indicare l’itinerario di un parco archeologico in larga parte inaccessibile e infestato da erbacce e spazzatura, non diventa una Mecca del situazionismo o un luogo feticcio degli amanti del teatro beckettiano.

Cemento “selvatico” lungo la Statale 18

Il cemento anarchico della Statale 18

La teoria delle potenzialità inespresse della Calabria continua procedendo lungo l’altra mitologica statale, la 18. Se avessimo avuto anche noi un Guccini sarebbe stata leggenda come la 17, la via Emilia e pure il West messi insieme. Ai lati di questa strada il cemento spunta dalla vegetazione come fosse selvatico. Genuino e autoctono, niente lo trattiene: è potente, anarchico e futurista al tempo stesso. C’è dentro tutto il Novecento e se ne possono ammirare diversi avanguardistici esempi andando in auto dal Vibonese verso la Piana. Ma purtroppo nessuno ha pensato a dei tour organizzati con accompagnatori che indichino a quali cosche di ‘ndrangheta sia assegnato ogni singolo chilometro.

Soffrono di un imperdonabile abbandono turistico anche cattedrali mancate come la stazione ferroviaria di Mileto, un ibrido metallico tra post barocco e brutalismo, e la Fornace Tranquilla, una fabbrica abbandonata dove un ragazzo africano è stato ammazzato per una lamiera. Da anni, e ancora oggi, alla Tranquilla sono interrate tonnellate di rifiuti tossici. Altrove sarebbe meta di pellegrinaggi di dark tourism, noi invece l’abbiamo dimenticata.

Come la ex statale 110, una strada che fin dai tempi dei Borbone univa le due coste alle montagne delle Serre e che a causa di alcune frane è chiusa da qualche anno. Un ignoto esteta ne ha decorato i margini con copertoni e bombole di gas. Incompreso, come le tante monumentali bruttezze che in Calabria abbiamo sotto la finestra e che facciamo finta di non vedere.

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