In fondo al mar: le meraviglie della Calabria sommersa

Il Mediterraneo sta male, ma le aree protette della regione si difendono, grazie all'impegno di amministratori, esperti, sub e appassionati. Sotto le onde di Tirreno e Jonio c'è un paradiso che potrebbe stimolare il turismo di qualità

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«Il Mediterraneo è morto», diceva Cousteau in una delle sue ultime interviste. Era una provocazione, ma certo il nostro mare già allora non stava bene e oggi sta peggio.
Lo sguardo che daremo andrà oltre la schiumetta che troppo spesso galleggia sulla superficie. Si porterà nelle profondità dei fondali della Calabria, dove si celano forme di biodiversità di straordinaria bellezza, la cui tutela potrebbe funzionare anche da attrattore turistico. Coniugare la protezione dell’ambiente con la turisticizzazione degli spazi non è facile. Ma il turismo subacqueo è particolare: non è di massa, è specializzato e per questo pregiato sul piano propriamente commerciale.
Le aree protette in Calabria sono il Parco di Isola Capo Rizzuto e cinque altre zone tra Tirreno e Ionio. A gestirle sono Raffaele Ganeri e Ilario Treccosti.

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Gorgonie sul fondale di Scilla (foto Cristina Condemi)

Qui va tutto benissimo. O quasi

Ganeri è a capo del Parco di Isola Capo Rizzuto, tornato alla gestione della Provincia di Crotone dopo circa tre anni di affidamento alla Regione. «La legge Delrio aveva sottratto alle province la gestione delle partecipate e per tre anni tutto è rimasto abbandonato», spiega Ganeri. Poi insiste sulla necessità di ripartire quasi da zero con i progetti e le infrastrutture. «Siamo in piena fase di ripresa dei lavori, con ricognizioni sull’area e rilancio delle attività subacquee per il turismo e con il coinvolgimento dei pescatori del luogo». Più ampia e dislocata su punti tra loro lontani è invece l’area protetta cui deve vigilare Ilario Treccosti.

Le riserve sono cinque, dal nord del Tirreno incontriamo la Riviera dei Cedri, dall’Isola di Dino fino alla Scoglio della Regina, passando da Cirella; poi gli scogli d’Isca, tra Belmonte ed Amantea; la zona tra Ricadi e Pizzo; la Riviera dei Gelsomini e sullo ionio la baia di Soverato. «Le condizioni delle aree tutelate sono eccellenti», giura Treccosti. Che annuncia anche opere di protezione attorno alle zone di maggior pregio per impedire la pesca a strascico su quei fondali, ma anche il posizionamento di cartelli indicatori sulle strade in corrispondenza della presenza di aree marine protette.

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Un branco di barracuda (foto Cristina Condemi)

Il biologo: i controlli, questi sconosciuti

«Quello che manca sono i controlli», dice senza esitazioni Domenico Asprea, biologo marino che ha lavorato all’Asinara e in Liguria. Indicare un’area come protetta e poi non proteggerla è un bel guaio. Le cause sono essenzialmente legate alla logistica e alle risorse. Molte zone sono lontane dai porti dove fa base la Capitaneria e poche sono le imbarcazioni su cui il corpo può contare. Ed ecco che «frequentemente sono stati segnalati fenomeni di pesca abusiva nell’area di Capo Rizzuto». Ma c’è anche un altro problema ed è legato al monitoraggio. «Non è corretto che le risorse della Regione Calabria per la tutela ambientale vadano a società di altre regioni, qui ci sono competenze e professionalità di alto livello», spiega il ricercatore, aggiungendo che a governare certe decisioni sono «scelte chiaramente politiche».

La febbre del mare

«Il Mediterraneo ha la febbre», dice Eleonora De Sabata, giornalista e appassionata di immersioni. Per questo ha deciso di andarne a misurare la temperatura, proprio come farebbe un medico con un paziente. Eleonora è protagonista dell’Associazione MedFever, che sostiene assieme ai centri subacquei la ricerca. Si immerge, e posiziona a quote prestabilite dei rilevatori di temperatura, andando poi periodicamente e registrarne i dati. Il progetto è appoggiato dall’Enea e vede la collaborazione dei Diving. «In Calabria abbiamo posizionato diverse stazioni di rilevamento sui fondali di Scilla. Questo lavoro colma un vuoto. I satelliti rilevano la temperatura del mare con precisione, ma i dati sono quelli della superficie. Così invece avremo i dati a varie quote».

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Un cavalluccio marino (foto di Ernesto Sestito)

I termometri sono stati posizionati a 5, 15 e 30 metri. Ma considerata la caratteristica dei fondali di Scilla e la loro unicità, alcuni termometri sono stati posti fino a 70 metri. «È ancora troppo presto per trarre conclusioni, ma abbiamo cominciato a raccogliere i dati, importanti soprattutto in aree come Scilla dove il respiro del mare, l’incontro tra le correnti fredde dello Ionio e quelle più calde del Tirreno, fanno segnare sbalzi significativi».

Le sentinelle dei mari

Il lavoro di Eleonora De Sabata si poggia molto sulla collaborazione dei professionisti delle immersioni. Loro sono una sorta di sentinelle delle condizioni mutate del mare. «Scilla ha una delle foreste di Gorgonie più belle del Mediterraneo, con un ecosistema meraviglioso, ma molto fragile», racconta Paolo Barone.
Romano, ma calabrese da sempre, è lo storico leader dello Scilla diving center. Barone viene da mille immersioni e spedizioni esplorative. E aggiunge che quell’habitat negli ultimi cinque anni è stato messo a dura prova dal mutamento climatico. Per questo quei luoghi magici sono costantemente monitorati, affinché chi verrà dopo ne possa godere. Incredibilmente però, malgrado le straordinarie bellezze nascoste nei suoi fondali, Scilla non è tra le aree protette e questa “distrazione istituzionale” non aiuta.

Lo spirografo, un’altra meraviglia degli abissi marini (foto Cristina Condemi)

Giorgio Chiappetta è un altro storico istruttore subacqueo e il suo diving è difronte l’Isola di Dino. Chiappetta si dice soddisfatto del grado di conservazione dell’habitat dei fondali dell’isola, dalle gorgonie sul frontone che guarda al largo a tutti gli altri siti. Annuncia l’inizio di un progetto di riforestazione della Posidonia, una pianta marina fondamentale per la vita dei fondali. «Si tratta di un progetto portato avanti assieme all’amministrazione comunale e consiste nel piazzare in aree ben individuate dei contenitori bio solubili che rilasciano i semi della posidonia favorendo la sua ricrescita»

Sempre meno cavallucci

Oreste Montebello è un fotografo con un passato di guida e imprenditore del turismo subacqueo. Nel corso del tempo ha visto il graduale declino della presenza del Cavalluccio marino nella Baia di Soverato. «Per 15 anni ho portato turisti in immersione nella baia, per mostrare loro i Cavallucci. Se ne potevano incontrare decine nel corso di ogni immersione, oggi sono significativamente diminuiti», racconta Montebello.
Quali sono a suo parere le cause della diminuzione dell’Ippocampo? «L’introduzione sistematica di ingegneria marina, con bracci e porti, ha modificato l’arrivo di nutrienti della Cymodocea nodosa, che costituisce l’habitat del Cavalluccio», spiega il fotografo che può essere considerato una specie di testimone del mutamento dei fondali di Soverato. Del resto dei cinque centri di immersione che si affacciavano sulla baia, ne è rimasto operativo uno solo, segno di come siano andate le cose.

Una murena attaccata allo scoglio (foto Cristina Condemi)

Il corallo ad Amantea

L’altro testimone del mare calabrese è Piero Greco, probabilmente il più vecchio tra gli istruttori subacquei della regione. Quando lo sentiamo è appena uscito da una immersione a 56 metri nei fondali di Amantea. Subito racconta «che laggiù è ancora presente il corallo, ma assottigliato, meno rigoglioso». Greco non pensa si tratti di inquinamento, ma dei primi segni di riscaldamento del mare, «mentre in buone condizioni rimane la prateria di posidonia nel mare di Diamante». I segni negativi però ci sono tutti, «basti pensare che a Briatico è presente una colonia di pesci pappagallo, segnalati qualche tempo fa nel mare della Sicilia. Forse questo vuol dire che il Mediterraneo si sta tropicalizzando». E non è una buona notizia.

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