Da Rosarno alla Lombardia, passando per Ostia: affari e alleanze della cosca Bellocco

L'operazione "Blu notte" mostra i tentacoli del clan calabrese al Nord. I legami con gli Spada del litorale romano. Il boss con il cellulare in carcere

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Uno dei casati storici della ‘ndrangheta reggina. Di quelli capaci di sedersi al tavolo con l’élite della criminalità organizzata calabrese, per dirimere controversie, per determinare strategie della ‘ndrangheta unitaria. La cosca Bellocco di Rosarno non ha mai perso, però, la propria vena imprenditoriale, con la capacità di colonizzare territori diversi, allacciando alleanze con altre consorterie criminali. Alternando, inoltre, il volto “pulito” degli affari, con quello più violento dell’intimidazione tipicamente mafiosa. Una cosca capace di rigenerarsi, anche grazie alle nuove leve, succedute ai boss più anziani.

Gli affari della cosca Bellocco

Un quadro che emerge in tutta la sua completezza con gli arresti che hanno sconquassato non solo il territorio calabrese, ma anche quello lombardo e laziale. Un’operazione congiunta, tra la Dda di Reggio Calabria, che ha curato la sponda dell’inchiesta denominata “Blu notte” e quella di Brescia, la cui indagine è denominata “Ritorno”. Complessivamente 65 soggetti arrestati – 47 in carcere, 16 agli arresti domiciliari e 2 sottoposti all’obbligo di dimora –  ritenuti responsabili – in particolare – di associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, porto e detenzione di armi comuni e da guerra, estorsioni, usura e danneggiamenti aggravati dalle finalità mafiose, riciclaggio e autoriciclaggio, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.

Un settore di importanza strategica è risultato essere quello della spartizione dei proventi relativi allo sfruttamento delle risorse boschive. Stando a quanto sostenuto dagli inquirenti, i contratti per lo sfruttamento delle risorse montane venivano stabiliti proprio dal vertice della cosca Bellocco: «I contratti delle montagne o si fanno in questa casa o se li fanno a Laureana, siccome io sono delegato pure da quell’altri si fanno in questa casa». A pronunciare queste parole nel novembre 2019 è Francesco Benito Palaia, 49 anni, considerato uno degli uomini di fiducia di suo cognato, il boss Umberto Bellocco detto “Chiacchiera”, 39enne e nuovo capo del clan.

La successione

Gli accertamenti, infatti, avrebbero delineato i nuovi equilibri della cosca Bellocco e le proiezioni di questa cosca di ‘ndrangheta nel Nord Italia. Come le cosche più importanti, infatti, negli anni anche la famiglia Bellocco ha subito l’offensiva dello Stato. Ma ha saputo rimanere in piedi, retta sulle spalle dell’anziano patriarca Umberto Bellocco, classe 1937, deceduto alcuni mesi fa. Uomo dal carisma criminale indiscusso, cui viene persino ricondotta la nascita della Sacra Corona Unita pugliese – fatta risalire alla notte di Natale del 1981 all’interno del carcere di Bari.

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Umberto Bellocco, patriarca dell’omonima cosca, morto di recente

Alla morte del boss, allora, la diretta prosecuzione del comando sarebbe finita al nipote omonimo, classe 1983. Un’ascesa naturale non frenata nemmeno dalla detenzione in carcere. Come documentato dagli accertamenti svolti dai carabinieri, Bellocco poteva godere, dietro le sbarre, di telefoni cellulari, grazie al supporto di altri detenuti e dei familiari di questi, per lo più semiliberi e/o ammessi ai colloqui.

Ancora una volta, da una maxi-inchiesta contro la ‘ndrangheta, emerge il ruolo crescente rivestito dalle donne. In questo caso, spicca la figura di Maria Serafina Nocera, 69enne madre del nuovo boss Umberto Bellocco. Sarebbe stata lei a tenere la chiave della “cassa comune” cui il clan attingeva. Un “tesoretto” che serviva per il sostentamento dei detenuti e per l’attuazione del programma criminale del figlio.

I brindisi per le nuove cariche

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Il giovane Umberto Bellocco ha ereditato il potere da suo nonno

Anche dal carcere, Bellocco avrebbe potuto supervisionare le nuove cariche, deciso i nuovi assetti, arginato le frizioni. L’inchiesta coordinata dal pm antimafia Francesco Ponzetta ha documentato anche il brindisi con il quale un anziano della consorteria, davanti ai nuovi adepti ed agli alti ranghi della cosca, ha voluto esaltare quel momento di vita associativa pronunciando la frase: «È cadda… è fridda… e cala comu nenti, a saluti nostra e di novi componenti».

Moltissimi sono i summit di mafia che l’inchiesta sarebbe riuscita a ricostruire. Alcuni necessari all’attuazione del programma criminale della cosca, che generalmente avvenivano all’interno dell’abitazione della sorella di Umberto Bellocco, e quelli, ben più complessi, organizzati nelle aziende agrumicole di Rosarno, dove si regolavano le controversie con gli altri esponenti della ‘ndrangheta.

Ai summit era solito prendere parte, in diretta, anche il boss detenuto dal carcere, che con la propria presenza, “partecipata” a distanza, era naturalmente portato ad irretire le iniziative dei convenuti.

«Rosarno è nostro e deve essere per sempre nostro… sennò non è di nessuno»

Come detto, la famiglia Bellocco, da sempre, appartiene al gotha della ‘ndrangheta, dividendosi il controllo su Rosarno e San Ferdinando con l’altra potentissima cosca dei Pesce ed estendendo la propria influenza anche sul porto di Gioia Tauro, dove, comunque, un ruolo primario lo hanno da sempre i clan gioiesi Piromalli e Molè.

 

Diverse, negli anni, le inchieste che hanno colpito la cosca. A cominciare da quella “Tallone d’Achille”, con la coraggiosa denuncia dell’imprenditore Gaetano Saffioti, passando poi per le inchieste “Nasca” e “Timpano”. E, ancora, l’inchiesta “Pettirosso” curata dall’allora pm antimafia Roberto Di Palma, che ha permesso di ricostruire tutto il circuito criminale che ha favorito per anni la latitanza di Gregorio e Giuseppe Bellocco, esponenti di vertice della cosca rosarnese considerati fra i trenta ricercati più pericolosi d’Italia. In un’indagine di qualche tempo fa, proprio l’anziano patriarca Umberto Bellocco dirà: «Rosarno è nostro e deve essere per sempre nostro… sennò non è di nessuno».

I Bellocco al Nord

Già le inchieste degli scorsi anni “Vento del Nord”, “Blue call” e “Sant’Anna” avevano certificato la presenza e lo strapotere del clan su territori lontani dalla nativa Rosarno. L’Emilia Romagna, in particolare, era diventata una terra di conquista florida, dove poter far proliferare gli affari.

La sponda bresciana dell’inchiesta avrebbe invece confermato la presenza attiva dei Bellocco in Lombardia. Non solo nella provincia di Brescia, ma anche in quella di Bergamo. Anche su quei territori, senza mai perdere il contatto con la casa madre calabrese, i Bellocco avrebbero infiltrato la fiorente economia legale di quei luoghi.

 

Nell’operazione sono stati individuati «i terminali calabresi (stanziali a Rosarno) della struttura criminale lombarda i quali concorrevano nella gestione delle molteplici attività economiche di interesse del sodalizio realizzate prevalentemente tramite un imprenditore» attivo tra Brescia e Bergamo nei settori edile e immobiliare.

Il traffico internazionale di stupefacenti

Da tempo, peraltro, gli inquirenti, hanno messo nel mirino il ruolo crescente del clan nel traffico internazionale di stupefacenti. Il 18 giugno 2019 si conclude l’operazione “Balboa” della Guardia di Finanza di Reggio Calabria che arresta cinque persone. Lavoravano per conto della cosca Bellocco per l’importazione dal Sud America di eroina da far arrivare nel porto di Gioia Tauro. Pochi mesi dopo, a novembre, sono invece ben 45 gli arresti nell’ambito dell’inchiesta “Magma”, anche in questo caso con l’accusa di narcotraffico internazionale.

La droga arrivava dal Sudamerica, dall’area tra Buenos Aires e Montevideo, dove i clan erano riusciti a stringere legami con diversi colletti bianchi locali. E sembrerebbe che grazie a questi contatti e pagando l’equivalente di 50.000 euro siano riusciti a liberare Rocco Morabito detto “U Tamunga” evaso il 29 marzo 2019 dal carcere di Montevideo.

L’alleanza dei Bellocco con la famiglia Spada

Quelle indagini già cristallizzavano l’importanza criminale della cosca in provincia di Roma. Ma sono gli arresti delle ultime ore a sancire ulteriormente i rapporti illeciti con quei territori. Uno dei dati di maggior interesse investigativo emerge con l’alleanza tra la cosca di Rosarno e il potente clan degli Spada, egemone a Ostia e sul litorale romano. Gli Spada sono emersi negli anni come clan violento e capace di esercitare un controllo oppressivo sulle attività economiche del Lazio, anche in combutta con l’altra nota famiglia Casamonica. Negli scorsi mesi, peraltro, la famiglia Spada è stata riconosciuta da alcune sentenze come organizzazione mafiosa.

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Anzio vista dall’alto

Un’alleanza, soprattutto per quanto concerne il traffico di cocaina, che sarebbe nata proprio dietro le sbarre. In particolare, l’accordo stretto tra gli esponenti dei due clan, oltre a scandire le gerarchie criminali all’interno del penitenziario, ha riguardato i traffici di cocaina effettuati dalla Calabria verso il litorale romano e la risoluzione di situazioni conflittuali tra gli Spada e alcuni calabresi titolari di attività commerciali nelle aree urbane di Ostia ed Anzio.

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Gioacchino Bonarrigo ad Amsterdam

«La verità fra’, la verità! Oggi io sono stato invitato ad un tavolo, eravamo diciassette persone, tutti… la ‘Ndrangheta!», dice in un’intercettazione uno degli indagati. Le cimici dei carabinieri hanno anche captato il tentativo di vendita di una consistente partita di cocaina da parte del clan Bellocco in favore di narcotrafficanti di Ostia esponenti degli Spada.

Per conto dei calabresi, a condurre le trattative con il clan romano sarebbe stato Gioacchino Bonarrigo, di 38 anni, che risulta tra le persone coinvolte nel blitz. Soggetto storicamente inserito non solo nella ‘ndrangheta, ma anche nel narcotraffico. Arrestato nel 2017 da latitante ad Amsterdam. Bonarrigo si sarebbe recato più volte a Ostia per incontrare esponenti degli Spada che voleva rifornire con la droga importata dall’estero.

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