Barricate ad Arghillà, cosa resta dopo la rivolta

Proteste dopo la decisione del Comune di trasferire nel quartiere gli ultimi migranti sbarcati. Cittadini in strada, rifiuti dati alle fiamme e tensioni con le forze dell'ordine fino al parziale dietrofront del municipio. Ma i problemi restano

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«Scusate, sapete quando riaprono la strada? L’autobus mi ha lasciata alla chiesa ed è tornato indietro, dice che non si passa. Sono dovuta venire a piedi». Più che una vera risposta, la signora con passo affannato che si affaccia a parlare con un volontario della protezione civile al lavoro nella ex scuola di Arghillà cerca una sponda con cui lamentarsi, dopo la scarpinata in salita che si è dovuta sorbire di ritorno dalla città. Lo stradone che taglia in due questa estrema periferia di Reggio Calabria è ancora in parte bloccato dalle macerie lasciate ieri dalla protesta volante contro l’arrivo dei migranti sbarcati al porto qualche ora prima e gli autobus hanno smesso di fare il giro completo del quartiere, in attesa che qualcuno sgombri la carreggiata.

Arrivano i migranti

La targa all’ingresso recita “Istituto comprensivo Radice – Alighieri”, ma è stata una scuola solo per una manciata d’anni, giusto il tempo di rimettere in sesto lo stabile di Catona che era stato dichiarato inagibile. Poi i lavori nella scuola a valle sono terminati e i bambini del comprensorio, così come erano arrivati ad Arghillà, sono tornati via e la struttura, che in passato ha anche ospitato gli uffici dell’ottava circoscrizione e un presidio della polizia, è tornata ad essere sprangata e assediata dalle erbacce.

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Almeno fino a martedì pomeriggio quando il Comune, “sorpreso” dall’arrivo in porto dell’ennesima carretta del mare carica di disperati, ha scelto proprio quel palazzone della periferia nord per sistemare temporaneamente il nuovo carico di migranti. Ad Arghillà – palazzoni occupati, strade invase da montagne di spazzatura e capannoni sventrati dal tempo su una terrazza magica affacciata sulla Sicilia – non hanno preso per niente bene la decisione, tanto che all’arrivo dei primi autobus con a bordo i migranti – tra loro anche famiglie con bambini – in tanti sono scesi in strada.

Fuoco alla barricata

La protesta è degenerata con la costruzione di una barricata di rifiuti a cui è stato successivamente dato fuoco. Si è rimasti sull’orlo di una crisi di nervi per diverse ore, con le forze dell’ordine a mantenere calmi gli animi. Infine, la decisione salomonica dell’amministrazione reggina: confermata la presenza dei 72 migranti già nella scuola, rinculato il resto del gruppo (80 persone) verso lo “scatolone”, il palazzetto a due passi dal Granillo.

Dal canto loro, i migranti stanno bene, e dopo gli iniziali momenti di tensione hanno trascorso una notte tranquilla. Su di loro, oltre alle auto di carabinieri e polizia che presidiano la struttura, vegliano i volontari della protezione civile che hanno provveduto a portare i beni di prima necessità, giocattoli compresi, alle famiglie venute dal mare.

Lo slalom verso il carcere

Un po’ rivolta contro l’arrivo dei migranti, un po’ grido d’allarme su una periferia abbandonata che ricorda degradi pasoliniani, il giorno dopo la protesta di Arghillà quello che resta è una striscia indefinita di vecchi mobili e sacchi d’immondizia bruciati che ancora bloccano a metà la strada principale del quartiere e attraverso cui sono costretti a fare manovra anche i mezzi della penitenziaria e le auto di magistrati e forze dell’ordine che devono raggiungere il carcere poco più a monte.

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«La protesta non è stata violenta ma erano tanti – dice Marco, che davanti alla montagna di rifiuti che martedì è stata data alle fiamme, gestisce un tabaccaio – e non ce l’avevano tanto con i migranti. Quelli sono solo l’ultimo dei problemi di questo quartiere. Si guardi intorno, avevano pulito dalla spazzatura un po’ di tempo fa, ora siamo di nuovo punto e a capo. Non si può vivere così». Qualche curioso si ferma a guardare la barricata che occupa metà della strada, altri allungano il collo verso la ex scuola, indicando le persone alle finestre: «Si levanu giovedì, rissiru. Virimu».

A Roccella va peggio

E se Reggio piange, a Roccella la situazione è sull’orlo del collasso. I continui sbarchi delle ultime settimane hanno infatti messo a dura prova la collaudata macchina dell’accoglienza. Il problema è sempre lo stesso: se i trasferimenti verso le strutture attrezzate non arrivano in tempo, i migranti finiscono per essere stipati per giorni e giorni in stabili non adeguati. In questo momento sono circa 300 le persone arrivate sulle banchine del porto delle Grazie di Roccella negli ultimi venti giorni e rimaste ancora in zona in attesa di trasferimento.

Sono in 123 all’ex ospedaletto, alla periferia nord della cittadina jonica; altri 80 sono sistemati alla meno peggio dentro il palazzetto dello sport e altri 90 sono stati parcheggiati in una struttura di Siderno Superiore, per una situazione che sta mettendo a dura prova tutti gli attori impegnati nella prima accoglienza, dalle forze dell’ordine ai volontari della croce rossa e della protezione civile.

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