Autonomia scolastica: a rischio il 25% degli istituti

Le strategie del Governo che penalizzano il Sud. Ma il grande colpevole di questi tagli è il calo demografico. Il punto di vista di Vittorio Daniele e Vito Teti

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L’arsenale di armi puntate contro le aree deboli del Paese, e quindi contro il Mezzogiorno e la Calabria, si arricchisce. Accanto all’autonomia differenziata e alle gabbie salariali applicate agli insegnanti, ecco la proposta per il “dimensionamento e la riorganizzazione” delle scuole, già licenziata dal Governo e attualmente all’esame della Conferenza Stato – Regioni.

Calabria: a rischio il 25% delle scuole

Secondo il piano, le istituzioni scolastiche dotate di autonomia passerebbero, su tutto il territorio nazionale, da 8.158 a 7.461: meno 697 unità. Ma da un esame più approfondito della tabella pubblicata dal Corriere della Sera emerge che le regioni più colpite dal provvedimento sarebbero la Sicilia, la Campania e, sul podio come spessissimo accade per le cose negative, la Calabria, rispettivamente con – 146, – 109, – 79.
Nella parte medio – bassa della classifica si piazzano Lombardia e Piemonte (-20), Liguria (-18), Emilia Romagna (-15). Il dato percentuale è ancora più indicativo: nella nostra regione le scuole autonome sarebbero alla fine il 25 % in meno. Di gran lunga il dato relativo più alto di tutti!

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Un’aula deserta

La bassa demografia uccide le scuole in Calabria

Se il piano non dovesse essere approvato dalla Conferenza, lo Stato eserciterà il potere sostitutivo: perderanno l’autonomia gli Istituti con meno di 900 alunni. Mentre alcune Regioni si accingono ad impugnare la decisione davanti alla Consulta, è il caso di farsi qualche domanda. Se è vero che tali scelte sono la conseguenza diretta del calo demografico, che colpisce le regioni del Sud e con particolari virulenza e drammaticità la nostra, altrettanto lampante risulta la correlazione tra calo della popolazione e riduzione dei servizi, specie nelle aree interne.

Le Poste: un esempio in controtendenza

Queste azioni perpetuano un circolo vizioso: il cane si morde la coda perché nessuno gli offre la soluzione per smettere. Come, ad esempio, sta tentando di fare Poste italiane, che con il progetto “Polis” punta a promuovere la coesione economica nelle aree interne del Paese e a realizzare un nuovo punto di aggregazione per le persone. Si potranno ottenere i passaporti utilizzando l’Ufficio postale e sbrigare lì le pratiche burocratiche per il rilascio della carta d’identità. Un’applicazione da manuale del principio di sussidiarietà. Delle aree interne e dei piccoli agglomerati urbani, della necessità di preservarli, rilanciarli, tutelarli, si è molto scritto e detto. Lo spopolamento di interi pezzi di territorio è una delle ragioni del degrado, dal punto di vista geo morfologico, sociale, economico, civile, della lotta alla criminalità comune e organizzata.

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La presentazione del progetto Polis di Poste Italiane

La parola agli esperti

Nel momento in cui si fanno scelte penalizzanti, come questa, si dà un segnale di assoluta incoerenza tra il predicato e il praticato. Salvo poi stracciarsi le vesti quando, anche a causa della mancata presenza dell’uomo, la nostra terra viene squassata, ad esempio, da incendi, alluvioni, immani fenomeni franosi. Abbiamo voluto coinvolgere nell’esame degli argomenti trattati in questo articolo il professor Vittorio Daniele, docente di Politica economica dell’Università di Catanzaro, e il professor Vito Teti, docente di Antropologia culturale dell’UniCal.

Daniele: a furia di tagliare si fa il deserto

«Il dimensionamento delle istituzioni scolastiche – esordisce il prof Daniele – riduce dirigenti e personale di segreteria. Il criterio è contrarre la spesa riorganizzando la rete degli istituti e il Sud ne è particolarmente colpito».

Alla base della scelta vi è un fatto oggettivo: «La riduzione del numero di alunni dovuta alla bassa natalità, aggravata nel Mezzogiorno dall’emigrazione che riguarda in particolare i centri interni. La Calabria è la regione col più elevato tasso migratorio verso il Nord del Paese». Questa profonda modificazione demografica «porta allo spopolamento dei comuni interni. Nella logica della razionalizzazione economica, esso si accompagna con la riorganizzazione dei servizi pubblici nel territorio: la chiusura, cioè, di uffici postali, reparti ospedalieri, scuole, sedi di tribunali e, per la stessa logica, sportelli bancari: desertificazione demografica ed economica».

Vittorio Daniele
L’economista Vittorio Daniele

Un circolo vizioso

E, invece di invertire la rotta, si continua a percorrere una strada che, oggettivamente, porta ad un inasprimento del problema. «La chiusura dei servizi – continua Daniele – alimenta il processo perché riduce i posti di lavoro diretti e indotti che essi creano nel fragile tessuto economico di quei centri e, privando quei luoghi di servizi, spinge i residenti, soprattutto i più giovani, a spostarsi altrove. La necessità di ridurre la spesa pubblica, considerata dal lato dei costi ma non dei benefici complessivi per la popolazione, peggiora i problemi sociali ed economici di molti territori già economicamente marginali. Non può essere solo la logica ragionieristica dei costi a guidare l’azione pubblica». La politica pubblica deve porsi l’obiettivo, più generale, del «benessere della popolazione e la creazione di condizioni di effettiva uguaglianza».

Teti: giù le mani dalle scuole in Calabria

Il progetto di accorpamento scolastico, se portato a compimento, «causerà – secondo l’antropologo Vito Teti – difficoltà e disagi a ragazzi, studenti, cittadini, famiglie. Esso è ingiusto e contiene possibili profili di incostituzionalità perché comporterebbe una restrizione dei diritti in alcune aree del Paese». Verrebbero penalizzati i cittadini che vi abitano e che già hanno problemi di lavoro, di trasporti, di assenza o carenza di vie di comunicazione, di insufficienza dei servizi sanitari.

Fuga dalla Calabria senza servizi e scuole

«Essi – sostiene Teti – sono privati di qualcosa di essenziale per la vita dei centri abitati di piccole dimensioni. Rendere più difficile l’accesso all’istruzione scoraggia la tensione al miglioramento e restringe l’area dei diritti». La questione delle aree interne non è però limitata a quelle calabresi. «Investe tutto l’Appennino e le Alpi».

Non finisce qui. Infatti, continua l’antropologo originario di San Nicola da Crissa, in provincia di Vibo: «La Calabria ha perso circa 100mila abitanti nell’ultimo anno. A questo fenomeno epocale non viene data però la giusta rilevanza. Interi paesi, entro 10 o 20 anni, moriranno. Un danno per questi e per quelli delle coste, e anche per i centri urbani più grandi». Non è solo una questione culturale e demografica. «I paesi interni – spiega Teti – sono anche dei presidi ecologici: non devono destare meraviglia fenomeni estremi e disastrosi come quelli di Soverato o di Crotone, o i continui e micidiali movimenti franosi o gli incendi che distruggono interi boschi».

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L’antropologo Vito Teti

Ci salverà il paesaggio?

«Bisogna investire sulla tutela del territorio, sui boschi, sulla pietra. Il paesaggio dovrebbe costituire, se opportunamente popolato e quindi manutenuto, una risorsa, non un problema. In questa direzione ho suggerito provocatoriamente anni fa che ogni paese dovrebbe avere un piccolo museo per raccogliere la memoria e le speranze dei suoi abitanti e per fungere da luogo di cultura e di aggregazione: per guardare la partita, giocare a carte, presentare libri. Se si chiude tutto, nessuno vorrà restare o tornare in un posto invivibile per l’assenza di ogni servizio alla persona e alla collettività».

La lotta ai terremoti crea lavoro

Cosa si può e si deve fare, allora? «Non ci si può illudere  – commenta Teti – di risolvere il problema in 5 o 10 anni. Bisogna pensare a un progetto per creare posti di lavoro allettanti, utili, uno stimolo per i giovani a rimanere e, nel contempo, creatori di realtà dove essi abbiano voglia di rimanere. Occorre avviare un’opera di risanamento e quindi di tutela del paesaggio e dei centri storici. La Calabria è zona sismica, nella quale mettere in sicurezza edifici pubblici abitazioni private creerebbe lavoro produttivo, non assistenza, utilizzando manodopera locale e risorse materiali locali come legno e pietra. La nostra regione ha un’evidente vocazione turistica, ma se si svuota chi accoglierà i turisti?».

Reggio devastata dal terremoto del 1908

Intanto «la scelta ecologica è fondamentale, soprattutto se messa in relazione con la crisi climatica. La Calabria, nonostante scempi ed errori, ha tanto, e non ha bisogno di ulteriore cemento. È necessario tornare alla terra, certo non in forme e modalità arcaiche; valorizzare i prodotti tipici, che non solo non vengono valorizzati ma neanche coltivati. Prodotti provenienti da altre parti del mondo vengono spacciati per locali. Abbiamo il mare, la montagna, la collina, e i relativi frutti». Si tratta di un unicum nel Mediterraneo, non solo in Italia».

Storia di chi (non) torna

«All’inizio vi è stata l’impressione che molti volessero tornare. Ma chi è rientrato a lavorare da remoto ha trovato difficoltà a rimanere in posti che offrivano poco o nulla a livello di servizi. Il lavoro a distanza va calato in una comunità complessivamente funzionante, dove ci sono negozi, luoghi di ritrovo, servizi pubblici e privati. Non si possono chiedere atti di eroismo alle persone, cioè tornare in luoghi invivibili. Se chi viene rimane deluso non lo farà più definitivamente, e la fiammella della speranza si spegnerà.

E i musei come quello del mare a Reggio? Teti risponde: «Non conosco il progetto di Reggio. In linea di massima i musei sono un’ottima opportunità, ma se hanno certe caratteristiche. Ho proposto un museo per ogni paese. Musei che raccontino la storia e la memoria della collettività, che attivino forme di socialità e collaborazione culturale. La domanda da porsi è: quanti posti di lavoro crea una realizzazione? Se ne consegue la possibilità di rimanere per chi lo vuole, va bene. Ovviamente per chi vuole, non per chi desidera andare via ritenendo di poter migliorarsi altrove».

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Il progetto del Museo del mare di Reggio Calabria

Scuole e non solo: rimedi peggio del male

Cosa resta da fare? «Da 40 anni – argomenta Teti – parlo di museo dell’identità calabrese e di contrasto allo spopolamento. Nessuno dava importanza a questi temi, a queste proposte. Ora che i buoi sono scappati si tenta di rimediare con risposte sbagliate o, come abbiamo visto, con provvedimenti peggiorativi. Abbiamo 800 km di costa. La crisi climatica può comportare grandi problemi, e già l’innalzamento del livello del mare ha generato spese enormi per la protezione delle vie di comunicazione e degli abitati costieri. Nonostante ciò, essa viene vissuta come una cosa lontana, che non ci riguarda. Se non si ha la consapevolezza necessaria, tutti i problemi sono irrisolvibili».

Questa la conclusione di Vito Teti, implicitamente rivolta a tutti, ai cittadini come ai decisori pubblici. La Calabria era “sfasciume pendulo sul mare”, secondo Giustino Fortunato. Nel futuro, se non s’inverte il trend, diventerà «sfasciume deserto pendulo sul mare».

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